Appunti diVini, una produzione Naos Edizioni, io sono Susanna Basile, giornalista e psicologa delle famiglie del vino, dell’olio e della birra. Appunti di Vini è un format che vuole fare conoscere i produttori del nord, del sud, dell’est e dell’ovest, le strade del vino, i consorzi, le associazioni la storia e la cultura del vino. Di tutta la Sicilia e di tutta l’Italia isole comprese.
Alexandra Curatolo è la quinta generazione della famiglia Curatolo Arini e si trova a Marsala. Alexandra è la sintesi del Marsala perché ha una parte inglese e una parte siciliana. Questo testo è tratto dal sito dell’azienda:
Una violenta tempesta fu la causa della nascita del Marsala nel 1773. La nave di John Woodhouse, ricco commerciante di Liverpool, fu costretta ad attraccare Marsala a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Assaggiato il perpetum, il vino locale, decise di portarne in patria un grosso quantitativo e per assicurarne la conservazione fino al destino aggiunse dell’acqua e vite. Nacque così il Marsala.
Alexandra Curatolo: Esatto, questa è proprio l’origine del Marsala e questo accade nel 1773 per la precisione. Quindi diciamo che furono gli inglesi i primi a poter parlare di Marsala, anche se non subito l’hanno chiamato Marsala, ma inizialmente sai come lo chiamavano, lo chiamavano Sicilian Madeira. Perché la loro intenzione era quella di poter proporre in Inghilterra un vino che fosse simile, che fosse un’alternativa allo Sherry, al Porto, che già erano molto conosciuti in Inghilterra.
E quindi hanno visto, in quello che poi fu chiamato Marsala, un sostituto azzeccato proprio, per questo anche lo fortificarono in modo che fosse ben comparabile a questi altri vini. E tutto cominciò grazie agli inglesi, possiamo confermarlo.
Susanna Basile: Anche perché voi nella rotta venivate perfettamente, per tornare al discorso geografico, noi siamo a Catania, siamo dalla parte totalmente opposta, perché la Sicilia è grande, e quindi voi invece venivate perfetti, Marsala, Portogallo, Spagna e Inghilterra, siete molto più vicini da un punto di vista proprio di navigazione.
A.C.: Sì, sia da un punto di vista geografico, che comunque da un punto di vista climatico, perché ricordiamoci che il Marsala fa parte della fascia del sole, che sono quelle zone, quei territori, che hanno le stesse condizioni climatiche come lo Sherry, il Porto, il Madeira e Samos, in Grecia. Questi quattro DOC fanno tutti vini fortificati. Quali sono le similitudini? Caldo, abbiamo un clima molto caldo, molto ventoso, siamo tutti sul mare, quindi grande umidità, grande vento e territori molto soleggiati.
E questo ci permette comunque di avere delle uve che sono propense proprio a poter produrre dei vini come Marsala, Madeira, Sherry, Porto e Samos. E quindi siamo geograficamente tra il trentatresimo e il quarantatresimo parallelo. Noi siamo al trentottesimo a Marsala, ma in questa fascia del sole si ritrovano pure questi altri terroir, quindi queste altre denominazioni.
Come si fa il Marsala? Il Marsala è alla base un vino, noi lo facciamo soltanto con uva a bacca bianca, quindi da disciplinare possiamo usare Grillo, Inzolia, Cataratto e anche Damaschino, ma è poco utilizzato negli ultimi anni. Il vitigno principale è il Grillo, che noi usiamo in la quasi totalità ormai del nostro Marsala, e facciamo un vino base che cerchiamo di avere un vino base che abbia un alcol che arrivi intorno ai 15 gradi. Prima facciamo una macerazione sulle bucce per due settimane, venti giorni, in dei contenitori d’acciaio, quindi lì avviene il processo di fermentazione e macerazione sulle bucce per venti giorni.
Poi spostiamo questo primo vino, in contenitori di cemento, dove sta ancora tanti altri mesi, quindi tendiamo ad avere un vino base che abbia una bella struttura, un bel corpo in modo che possa essere la base per un vino che può invecchiare per tanti anni. Perché una volta che abbiamo questo vino base, che altro non è che è un vino bianco, però con un contenuto alcolico un po’ più alto e comunque una struttura molto robusta, sembra quasi un orange wine, sai questi orange wine che fanno molto di moda? Una volta che abbiamo questa base, decidiamo che tipo di marsala dovrà essere. Se vogliamo che sia un marsala vergine, proprio come il primo marsala che è stato inventato da Woodhouse, aggiungiamo solo un po’ di alcol e poi lo mettiamo ad invecchiare in botti diversi formati per almeno cinque anni, se vogliamo un marsala vergine.
Se dovesse essere un marsala vergine in riserva, deve stare almeno dieci anni. Poi questo vino non starà sempre nelle stesse botti, noi cominciamo sempre da botti un po’ più grandi, di rovere di Slavonia, poi piano piano negli anni lo passiamo in botti sempre più piccole, fino ad arrivare a delle barrique. In questo caso quindi avremo un marsala a 19 gradi, senza zucchero, non c’è un residuo zuccherino in questo caso, quindi sarà totalmente secco.
Se invece vogliamo dare una parte un po’ più dolce al marsala, possiamo aggiungere altri due ingredienti. Uno è la mistella, che è mosto fresco addizionato di alcol, quindi con l’alcol noi blocchiamo la fermentazione e facciamo in modo che si preservino tutti gli zuccheri naturali del mosto. Questo è proprio il nostro ingrediente dolce, che aggiungiamo al marsala per poter avere diversi gradi di residuo zuccherino.
E un altro ingrediente che possiamo aggiungere è il mosto cotto, che è un mosto che noi cuociamo durante 36 ore circa in un grosso recipiente che si chiama la quarara, dove il volume si riduce del 70%. Quindi arriviamo ad avere una specie di melassa che aggiungiamo un 1% sulla nostra massa totale per dare un tocco di colore e anche delle note particolari, perché questo mosto che cuoce per 36 ore è veramente unico. Quando noi lo facciamo, che succede solo una volta all’anno, qui è una grande festa, immaginati che il profumo si sente in tutta la cantina.
Io la chiamo la fabbrica di Willy Wonka perché sembra che c’è questo profumo veramente inebriante, che dura per diversi giorni. Questo mosto viene cotto a fuoco diretto, quindi c’è proprio un grande cammino. E l’ultimo giorno, per tradizione, noi facciamo una grigliata tutti insieme, ossia gli operai, gli impiegati, sui pallet montiamo una tavola lunga e facciamo la grigliata.
Questa è la nostra tradizionale mangiata del mosto cotto. La facciamo sicuramente dopo la vendemmia, come dice la nostra enorme in tempi di pace. Dopo la vendemmia cambia, non abbiamo la stessa data tutti gli anni, dipende un po’ dall’organizzazione e dalla produzione.
Allora abbiamo trovato la data in cui dobbiamo venire.
Ma le feste saranno tante, perché stiamo festeggiando 150 anni, quindi come tu dicevi io sono la quinta generazione, quindi quinta generazione significa che l’azienda è stata fondata nel 1875. Infatti è un po’ di storia, la storia quella che caratterizza la famiglia.
Per i siciliani, per i marsalesi era veramente una tradizione e tutti comunque avevano un pezzettino di terreno dove avevano delle vigne e utilizzavano quella uva per fare un po’ di vino, per la propria famiglia comunque. Stessa cosa succedeva con il mio trisavolo, Vito. Dove sono io adesso è il nostro baglio, quindi era la casa di campagna in cui la famiglia di mio nonno del mio trisavolo, tutta la famiglia Curatolo, veniva in vacanza.
Siamo a due chilometri e mezzo dal centro storico, però questa era aperta campagna, si veniva proprio in villeggiatura qui. C’erano i vigneti attorno, il mare vicino, siamo a 150 metri dal mare e quindi producevo il vino per la famiglia e per gli amici. Però nel 1875 decise di cominciare veramente a commercializzarlo, quindi in onore alla madre decide di fondare l’azienda e chiamarla Curatolo Arini.
Per questo abbiamo il doppio cognome, quindi Curatolo è il nome suo di Vito e Arini era il nome della mamma, Rosaria Arini. Ti confesso che ho fatto anche io con i miei figli il doppio cognome, non bisogna dimenticarle queste mamme fondamentali.
No, assolutamente, tra l’altro è così bello avere un doppio cognome, secondo me dà anche un senso più di nobiltà, la nobiltà viene da dentro, però che ce n’è anche un po’ fuori, non è male.
È giusto nel rispetto anche della madre e quindi per questo noi siamo Curatolo Arini, quindi ad oggi la famiglia che ancora gestisce l’azienda è la famiglia Curatolo, quindi dal lato di mio padre, però insomma c’è rimasto il nome commerciale Curatolo Arini in onore a Rosaria Arini, la mamma di Vito. Come dicevo io sono la quinta generazione dopo di Vito, c’è sempre stato un altro Vito, ma c’è stato un momento particolare in cui l’azienda è stata gestita da una donna, perché quando Vito fondò l’azienda nel 1875, dopo pochi anni purtroppo viene a mancare e lascia le redini della cantina a sua moglie, a Rosa Fabruzza. Una signora che si ritrova alla fine del 1800 a dover gestire una cantina già avviata e sette figli, ben sette figli, ma tutti minorenni, quindi decide di chiedere l’aiuto a dei consulenti stranieri, Palermo in quel momento, in quel periodo c’erano tanti svizzeri che vivevano a Palermo per commercio di stoffe, di cioccolato, di altre risorse però loro l’hanno aiutata a continuare a vendere il Marsala e soprattutto l’hanno aiutata all’internazionalizzazione di questo Marsala, perché loro conoscevano bene le altre lingue e quindi hanno aperto altre vie di commercializzazione e da allora si è sempre continuato a vendere all’estero, tanto che ancora oggi il 90% della nostra produzione va all’estero e vendiamo in Italia da una decina d’anni.
Ma dove? Ovunque, dagli Stati Uniti, Europa in genere, in Asia, Australia, Giappone, insomma, un po’ ovunque nel mondo. La prima a cominciare questo processo di internazionalizzazione era proprio Rosa, alla fine del 1800. Dopo di lei i figli continuarono a gestire l’azienda, era il momento che noi chiamiamo dei fratelli Curatolo, quindi siamo alla seconda generazione e poi sono subentrati nella terza generazione mio nonno Vito con il fratello Antonio e mio zio Roberto, che è l’unico che è ancora in vita, ogni giorno è qua in cantina a guidarci.
Quindi loro hanno continuato e in quel periodo è stato un periodo molto importante per l’azienda perché inizialmente si faceva soltanto Marsala, si produceva soltanto Marsala, ma in quegli anni, quindi negli anni 70, si fece una joint venture con un gruppo di distribuzione di brand perché loro cercavano un partner in Sicilia, avevano capito il potenziale dei vitigni autoctoni siciliani e volevano produrre un vino per il mercato inglese. E in quel momento nasce un vino chiamato Nino che viene fatto proprio con le nostre uve autoctone di questa parte della Sicilia, quindi parliamo sempre di Grillo, Inzolia, Catarratto, per il mercato inglese. Un momento importante è lì che continua la storia della collaborazione anglosicula perché mio nonno che era il buyer della Seagram, quindi mio nonno inglese, portò mia madre qui in vacanza e mia madre si innamorò di mio padre.
Quindi continuiamo la storia del Marsala così. L’anno scorso abbiamo festeggiato i loro 50 anni di matrimonio, quindi un momento molto importante sia dal punto di vista romantico che dal punto di vista commerciale perché in quel momento abbiamo cominciato a fare anche vini non fortificati. Quindi questo Tonino era un progetto che è durato un bel po’ di anni, che ci ha permesso di conoscere tecniche di vinificazione che allora erano veramente all’avanguardia per una Sicilia negli anni 70 perché collaboravamo con degli enologi del Davis Institute della California.
Quindi questi enologi stranieri, anche francesi, ci venivano a gestire tutto il processo di vinificazione, guidarci nel processo di vinificazione e hanno introdotto in azienda delle tecniche che ancora oggi vengono utilizzate. Da lì questa joint venture finì, noi continuiamo comunque a produrre questo prodotto Tonino, ma abbiamo continuato a scommettere su vitigni autoctoni siciliani e infatti abbiamo una nostra linea di vini che si chiama Curatolo Arini, dove l’unico vitigno non autoctono è il Syrah. Per il resto ci concentriamo su monovarietali perché vogliamo proprio che siano l’espressione del varietale, quindi il grillo, l’inzolia, il catarratto, lo zibibbo e il nero d’avola.
Sia in versione secca, quindi abbiamo questi vini con una vinificazione tradizionale, che provengono da diversi territori, in questa parte occidentale della Sicilia siamo al massimo 40 chilometri dalla cantina, e poi abbiamo anche uno zibibbo liquoroso, un passito, uno zibibbo e chiaramente rimaniamo sempre fedeli ai nostri Marsala, quindi abbiamo una linea di Marsala di cui andiamo molto molto fieri. Abbiamo diverse zone la Sciarra Sovrana, la Spagnola, Gagliardetta e Chirchiaro. Che tipo di terroir c’è in queste zone? Considera che abbiamo veramente fatto una ricerca attenta per poter trovare il terroir adatto a quello che volevamo esprimere con i nostri vini, perché una volta i vigneti erano attorno all’azienda, quando verrai in azienda vedrai che non ci sono più i vigneti, perché ormai la città si espansa e quindi dovevamo per forza ricorrere a dei vigneti un po’ più lontani.
Dopo un’attenta ricerca con i nostri tecnici, tra cui anche un tecnico toscano, Alberto Antonini, con cui collaboriamo da quasi vent’anni credo, e con i nostri tecnici locali, abbiamo selezionato questi terreni, intanto la Spagnola, quindi Marsala, la Spagnola e Triglia Scaletta sono i territori dove crescono le uve del Marsala, quindi qui abbiamo bisogno di uve grillo e catarratto principalmente, e la vicinanza al mare ci dà una grandissima mineralità nei nostri vini e sono i terreni più ricchi per la produzione di uve da Marsala, quindi soprattutto Spagnola e Grillo, e poi per il catarratto e altro Grillo siamo nella zona di Triglia Scaletta, quindi proprio sul mare, a pochi passi dalle saline. Per quanto riguarda Chirchiaro, invece andiamo un po’ più alti, siamo nella zona di Salemi, è sempre nel Trapanese, lì andiamo salendo a 500-600 metri d’altezza, quindi questo ci permette di avere dei vini con una bellissima acidità, c’è un’escursione termica incredibile tra il giorno e la notte in questi vigneti, quindi il consiglio è che d’estate, magari quando qui a Marsala abbiamo 35°C, lì di giorno ci saliamo circa 30°C, ma di notte scendono a 20°C, a volte anche a 18°C, e questo ci permette di avere queste uve, anche in questo caso minerali, ma con una bellissima acidità, e possiamo con il Grillo, noi facciamo una base sfumante, quindi facciamo uno spumante 100% Grillo, è un vino fermo, Grillo, e poi lì cresciamo anche l’inzolia e il catarratto, quindi sono dei vigneti che vanno dai 500 ai 600 metri, su terreni di medio impasto, alcuni sono un po’ più calcari, con una presenza abbastanza importante di pietre, di roccia, ma in genere sono di medio impasto, e la cosa più bella di questi vigneti è che c’è una vista spettacolare.
Esatto, ed è una cosa che non si aspetta a nessuno, infatti tutti i turisti che vengono qua sono proprio sorpresi di trovare questi paesaggi, perché si aspettano sempre spiagge, questi paesaggi molto tropicali, invece vengono tutte queste montagne che non si aspettavano, sia per quanto riguarda il guidare attraverso questi territori non sempre facili da attraversare.
Il trapanese è il vigneto più grande d’Europa, abbiamo 63 mila ettari di vigna e questo è anche dovuto al fatto che gli inglesi, quando vennero alla fine del 1700, loro chiedevano ai viticoltori di piantare ancora più vigna perché avevano bisogno di produrre più uve, perché loro compravano il vino dai contadini o comunque poi le uve dai viticoltori.
E quindi questo ha cambiato un po’ la struttura agronomica della nostra provincia. La provincia di Trapani è la più grande provincia coltivata, cioè il più grande vigneto d’Europa, quindi la più grande provincia coltivata in Italia.
I matrimoni misti sono sempre migliori. Senti, ma un’altra particolarità che mi ricordo appunto durante le presentazioni è l’etichetta del vino, del Marsala, etichetta bellissima che ha a che fare con questa imprenditorialità femminile.
Eccola qua, guarda caso. Questa è la nostra damina, noi la chiamiamo la damina, ed è un’etichetta che Vito fece commissionò allo studio di Ernesto Basile alla fine del 1800, quindi ce l’abbiamo in azienda dalla fondazione quasi. Allora, che sia collegata alla mia bisnonna non te lo saprei dire, perché riguardando le foto non sappiamo esattamente chi potrebbe essere, quindi a noi piace pensare che sia stata o sia stata dipinta, sia stata rappresentata in modo un po’ più elegante rispetto alla realtà, oppure che era qualche altra donna, qualche musa a cui Vito ha voluto regalare l’etichetta.
Infatti noi non andiamo a questa signora, la chiamiamo la damina, the little lady, e quindi lei rappresenta tutte le nostre riserve di Marsala. Soltanto sulle riserve si troverà questa donna, poi sugli altri vini ci sono altre donne, però questa in concreto, questa dello studio di Basile, si ritrova sulle riserve di Marsala, quindi per adesso sul Dieci Anni, sul Vent’anni e sulla riserva di Vergine nel 1995. Tra l’altro Ernesto Basile è stato uno dei più grandi architetti siciliani, palermitano, e quindi da questo punto di vista sicuramente ne dovete avere cura.
Assolutamente, infatti anche nelle altre bottiglie dei vini fermi abbiamo cercato di mantenere un po’ questo stile Liberty, riprendendo i ventagli che erano tipici dello stile Liberty, riprendendo i colori. Vogliamo sempre comunque creare un fil rouge tra la nostra tradizione che è il Marsala e la nostra innovazione che sono i vini fermi. Hai parlato dei bianchi, abbiamo parlato dei bianchi, ma non abbiamo parlato dei rossi però.
Non abbiamo parlato dei rossi, prima di passare ai rossi, però scusami che abbiamo dimenticato un bianco. A Chirchiaro noi cresciamo le uve per Grillo, Inzolia e Catarratto, ma un’altra uva molto importante è Gagliardetta, siamo sempre in provincia di Trapani, siamo nella zona di Castellammare del Golfo. Gagliardetta è proprio il nome della contrada e lì crescono le uve Zibibbo per i nostri Zibibbo, perché noi produciamo sia uno Zibibbo secco, che è il nostro vino premium, che è un vino Zibibbo liquoroso, è un passito, questo è l’ultimo entrato nella famiglia.
È un passito che abbiamo fatto nel 2022, abbiamo cominciato a passire le uve proprio qui nella Corte del Baglio e abbiamo fatto poche bottiglie, giusto per far rivivere un ricordo che ci è stato raccontato.
Il racconto continua nell’intervista…
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