La strada del multilateralismo per l’Italia stretta tra Ue e Usa


Quando Usa e Europa litigano per l’Italia tutto si fa più difficile: oggi ci separano in dazi e la corte penale internazionale. È possibile una via autonoma se siamo leali e manteniamo lo spirito multilaterale. Usare astuzia e multilateralismo infatti è nelle nostre corde e porta risultati 

Se Europa e Stati Uniti litigano per l’Italia è sempre un problema. Dalla nascita della Repubblica abbiamo sempre avuto una doppia scansione: quella (classica) Nato/Usa versus Patto di Varsavia/Urss, difficile da gestire per la presenza del più grande partito comunista d’Occidente.

Ma anche quella, più in filigrana, Usa contro Europa. Quest’ultima è venuta in superficie alcune volte lasciando delle cicatrici ancora oggi visibili. Innanzi tutto i complessi dibattiti sul ruolo della Nato stessa che ci ha visti, ad esempio, opposti alla politica della Francia (che con De Gaulle lasciò l’alleanza militare nel 1966 per tornarvi soltanto con Sarkozy nel 2009). La contraddizione è stata anche interna, con una parte dell’opinione moderata e di destra italiana, con una certa simpatia tra le forze armate, che non amava l’alleanza atlantica (ricordate chi tracciava sui muri delle città lo slogan: «né Nato né Urss»?).

La vicinanza agli Stati Uniti 

Va detto che sulla Nato siamo stati sempre più vicini ai britannici che agli altri europei e questo resta iscritto nella cooperazione militar-industriale con Londra. Poi ci fu il sostegno italiano alla guerra in Vietnam, politico e non militare ma indubbiamente solido rispetto alle tergiversazioni europee (anche qui in particolare dei francesi). Negli anni Ottanta ci fu la crisi degli Euromissili con molti dubbi europei, la contrarietà tedesca e l’originale posizione francese (che possiede missili atomici ma sostiene da sempre l’autonomia strategica): l’Italia si allineò con Washington e accettò la presenza dei Cruise e Pershing sul proprio territorio.

Più recentemente ci sono state le due guerre del Golfo (1990-1991 e 2003) nelle quali l’Italia si è schierata entrambe le volte con gli Usa. Nel 2003 ciò la separò da quasi tutti gli europei, ancora una volta soprattutto dalla Francia che si mise di traverso al consiglio di sicurezza (ricordate il discorso del ministro chiracchiano De Villepin: «siamo per la forza del diritto e non per il diritto della forza»?).

Oggi abbiamo due terreni sui quali la posizione italiana differisce apparentemente (almeno per ora) da quella degli altri partner europei: i dazi e la corte penale internazionale (Cpi). La nostra posizione non sorprende nessuno in Europa: da sempre siamo considerati gli «amichetti di Washington» che prima di ogni scelta ascoltano ciò che hanno da dire gli americani.

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Non è nemmeno più un’accusa ma un ritornello che in particolare ci fa la Francia («voi obbedite sempre all’America») e alla quale facilmente rispondiamo che in genere siamo messi al corrente delle decisioni franco-tedesche (e prima franco-britannico-tedesche) solo a cose fatte. Si tratta di una specie di vecchio giochetto a somma zero.

Dal punto di vista storico-politico l’Italia sa bene che soltanto gli Stati Uniti hanno avuto per noi un occhio di riguardo nel dopoguerra e che se fosse dipeso dai franco-britannici non avremmo mai potuto ridecollare così presto. Gli Usa ci hanno permesso l’entrata nell’Onu ben prima della Germania (1955 invece che 1973) e ci hanno incluso nel G5 (che così divenne G7 con noi e il Canada) contro il parere degli altri europei.

Autonomia e multilateralismo 

Ma anche in Italia c’è sempre stata un linea “autonomista”, una posizione di terzietà, tanto che in molti a destra (e talvolta anche a sinistra) hanno apprezzato la politica di De Gaulle in questo senso, malgrado la sua effimera volatilità. A molti piaceva l’idea –in realtà irrealizzabile – di un’Italia strategicamente indipendente.

I democristiani invece hanno sempre rimasti ancorati a un’idea del tutto pragmatica: l’Italia non può fare nulla di decisivo senza gli americani o – peggio ancora – contro gli americani. Siamo un paese alleato di grado medio e questo deve diventare realista consapevolezza. Tuttavia non va dimenticato che, grazie alla medesima linea di pragmatismo, dobbiamo rimanere molto multilateralisti. Ecco perché ci conviene continuare ad essere paladini del commercio internazionale così come del diritto internazionale.

Ricordate il modo con cui abbiamo fatto liberare i marò? Facendo leva con scaltrezza sulla public diplomacy multilaterale. Di conseguenza la nostra attuale posizione deve essere portata avanti con il fioretto: astuzia machiavellica piuttosto che spallate, urla o dichiarazioni aggressive. Serve una diplomazia intelligente e non il muro contro muro, nemmeno con la Cpi. Più che una Sigonella al contrario, segnalerei l’abilità con la quale Fanfani mise su le operazioni Marigold e Killy, triangolando addirittura con la Polonia comunista, per cercare di mediare nella guerra del Vietnam.

Gli americani alla fine si opposero ma non si offesero mai e permisero all’Italia di tentare. C’è un’autonomia possibile nella lealtà con tutti. Tutti – incluso il sistema giuridico multilaterale – apprezzano la capacità italiana di mediare: per storia, cultura e risorse possiamo fare moltissimo, a condizione di usare l’atteggiamento giusto, senza arroganza né spirito di contrapposizione. Ce n’è già troppo in giro e con pessimi risultati. 

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