di Marcella Raiola
Lorenzo, Giuliano, Giuseppe: sono i nomi di tre studenti morti durante una sessione di “alternanza Scuola-lavoro”, sfruttamento di minori come manodopera a costo zero introdotto dalla Legge 107 del 2015 (la “Buona Scuola” renziana) e spacciato per “innovazione” delle pratiche didattiche.
A questi tre è stato aggiunto il nome di Patrizio Spasiano, sottopagato operaio “tirocinante” di diciannove anni, gli stessi di un maturando, lasciato a morire in solitudine in una fabbrica di Gricignano d’Aversa, soffocato dall’ammoniaca.
Tre studenti-lavoratori e un lavoratore che avrebbe dovuto essere uno studente, e che invece aveva già iniziato a sperimentare la violenza padronale, il lavoro in subappalto, la scandalosa mancanza di tutela e sicurezza, il salario da fame. Gli studenti e le studentesse dei collettivi di Napoli e provincia che venerdì scorso hanno dato vita ad un colorato e rabbioso corteo di protesta lo hanno associato alle altre vittime perché hanno compreso bene che quello di Patrizio, nascosto dalla retorica governativa dell’istruzione smart e telematizzata, è il destino riservato alla maggior parte dei ragazzi che frequentano la scuola del 4+2, una scuola in cui i contenuti culturali e critici sono “essenzializzati” – per usare un’espressione dell’ex ministro Bianchi – e che è completamente asservita agli interessi di chi chiede lavoratori flessibili (licenziabili o riconvertibili a piacimento), per nulla consapevoli dei propri diritti, ricattabili e già tanto preparati al proprio alienante lavoro da consentire ai padroni di risparmiare sulla formazione iniziale. Pronti all’uso e all’abuso, insomma.
Il corteo di San Valentino ha attraversato le principali vie della città, muovendo da Piazza del Gesù e giungendo fino a Piazza Plebiscito, davanti al palazzo della prefettura, dove i giovani si sono trattenuti in presidio, sfidando la pioggia battente e il vento. A protestare sono stati in tanti, almeno 300, studenti e studentesse che quasi sempre hanno vita difficile nei loro istituti, che vengono colpiti da sanzioni o perfino denunciati perché assumono posizioni politiche e per di più contrarie alle devastanti riforme dei governi eterodiretti e neoliberisti (come se la “neutralità” e l’applicazione di un insulso politically correct, costantemente raccomandate dai dirigenti, non fossero anch’esse scelte politiche!); sono quei giovani che denunciano il dimensionamento degli istituti secondo una logica finanziaria e aziendalistica che considera antieconomiche e improduttive le scuole di periferia o quelle con meno di 900 alunni; sono quelli che contestano la riduzione del percorso di studi di un anno, finalizzata all’immediata messa a valore delle braccia degli studenti, specie quelli di estrazione sociale medio-bassa, cui viene di fatto negata ogni possibilità di emancipazione; sono quelli che non hanno paura di sostenere che un governo che taglia ospedali e scuole mentre stanzia 32 miliardi di euro per l’acquisto di armi “ha le mani sporche di sangue”, come gridato in uno slogan più volte scandito durante la manifestazione.
Lungo il percorso, sono state affisse ai muri delle irriverenti “pagelle” attribuite a Valditara, in cui erano riportate, in modo intelligente ed ironico, le “discipline” per cui l’attuale ministro ha mostrato particolare propensione ed in cui ha conseguito brillanti risultati, come Revisionismo storico, Arte della guerra, Storia e cultura del patriarcato e via graffiando con il sarcasmo più tagliente.
A Piazza Municipio il corteo ha sostato per ricordare Patrizio, accendendo un fumogeno e chiedendo giustizia e verità per il giovanissimo operaio, un ragazzo buono che ha rispettato tutte le regole di un gioco maledetto e sporco, che si è fidato di un sistema ignobile che si riempie la bocca di legalità e che ha lucrato sulla sua pelle fino a togliergli la vita.
Molte le bandiere palestinesi sventolate dai collettivi e dalle forze politiche presenti per solidarizzare con i giovani, che si sono mobilitati anche contro l’uso a fini repressivi del voto di condotta, contro la soppressione degli spazi di agibilità democratica all’interno della scuola (cosa che riguarda anche i docenti, purtroppo assenti dalle piazze e poco inclini a rivendicare sacrosanti diritti, primo fra tutti la libertà di insegnamento, ormai ridotta al lumicino) e contro la torsione semantica del termine “merito”, con il quale la scuola-azienda e l’Invalsi nascondono la reintroduzione del classismo, la selezione su base economico-sociale e la pronità o l’ossequio interessato a un sistema iniquo di produzione e distribuzione della ricchezza che semina morte, si autoassolve e pretende di non avere alternativa.
Invece l’alternativa c’è. Chi si è affacciato ai balconi, compiaciuto o sorpreso; chi ha applaudito al loro passaggio, commosso e liberato dal coraggio della verità finalmente proclamata su un paese che sta morendo, che non fa figli o li manda all’estero, che non vota e non ricorda più che cosa significhi Democrazia, che sta perdendo perfino la consapevolezza di essere unito da una storia, da un lutto e da una lingua comuni, l’ha vista.
L’ha vista sfilare per strade sottratte ai deprimenti riti consumistici delle masse e restituite a un popolo dimentico della sua vilipesa sovranità. L’ha vista. Viva, bella e ribelle. E ha ricominciato a sperare.
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