Serena Mollicone, assoluzione “irrevocabile” per il carabiniere Suprano. Torna in servizio, i suoi legali: «Orgoglioso della divisa»


E’ tornato alla sua vita, quella di cittadino innocente davanti alla legge e di carabiniere nel pieno delle funzioni. E’ «irrevocabile» la sentenza di assoluzione per il carabiniere Francesco Suprano classe 68’ originario di Itri (Lt) ma da anni residente a Sora, finito a processo, con l’accusa di favoreggiamento, per il delitto di Serena Mollicone. La Corte d’appello di Roma, la scorsa estate con la conferma dell’assoluzione pronunciata dalla Corte d’assise di Cassino nel 2022, ha scritto la parola fine sul suo coinvolgimento nel delitto la 18enne assassinata nel 2001 ad Arce. 
Finito l’incubo giudiziario durato quasi 14 anni e dopo cinque anni di sospensione dal servizio, il carabiniere è tornato a lavoro già da qualche mese ed ha scelto la stazione di Balsorano, in Abruzzo. E’ tornato alla sua vita e soprattutto ad indossare la sua divisa dell’Arma. «Suprano è un militare e, in quanto tale, non ha mai dubitato del trionfo della giustizia e della verità. Ora è felicissimo e orgoglioso di essere tornato ad indossare la divisa», dicono gli avvocati Cinzia Mancini ed Emiliano Germani, che lo hanno assistito nei due gradi di giudizio. Il calvario giudiziario per l’Appuntato Scelto inizia nel 2011, quando la procura di Cassino, per la prima volta iscrive nel registro degli indagati l’ex maresciallo comandante dalla stazione di Arce Franco Mottola, suo figlio Marco insieme altre quattro persone. Tra esse compare anche Suprano al quale viene contestato il concorso nell’omicidio di Serena Mollicone. 
ACCERTAMENTI GENETICI
Per oltre quattro anni vengono portate avanti le indagini, con accertamenti anche di natura genetica, ma alla fine, nel febbraio 2014, la sua posizione viene archiviata. Passano un paio di anni e, nel 2016, con la riapertura delle indagini sul Giallo di Arce e gli accertamenti attorno alla caserma – dove viene ipotizzato sia stata uccisa la giovane – nel mese di maggio dello stesso anno viene iscritto nuovamente sul registro degli indagati. Questa volta la procura gli contesta il «favoreggiamento personale nei confronti del maresciallo Mottola». Suprano, infatti, nel 2001, quando Serena Mollicone, viene uccisa, era in servizio alla stazione di Arce. Per lui era stato ipotizzato l’aiuto al maresciallo Mottola per far “sparire” l’arma del delitto: la porta contro la quale, per l’accusa, la 18enne sarebbe stata sbattuta prima di essere soffocata con una busta di plastica sulla testa. 
IL RINVIO A GIUDIZIO
Nel 2019 dopo che la Procura chiede il rinvio a giudizio per lui e gli altri imputati (Franco, Marco e Anna Maria Mottola e Vincenzo Quatrale) scatta la sospensione dal servizio, gli viene ritirata l’arma di ordinanza e il tesserino di riconoscimento: non può più indossare la divisa. Iniziano per lui gli anni più difficili, ma vissuti sempre con la consapevolezza di «essere innocente». Dinanzi alla corte d’assise di Cassino e in appello è sempre stato presente in aula, ha seguito in prima persona tutte le udienze. «Suprano – spiegano i suoi legali – ha sempre detto la verità: quella porta era stata spostata nel suo appartamento perchè temeva che il proprietario chiedesse i danni per il segno di rottura che c’era».
Dichiarazioni che, nel corso degli anni, non sono mai state cambiate e, dopo l’assoluzione in primo grado, la procura ha appellato la sentenza. In appello a Roma pur essendo intervenuta la prescrizione per il reato di favoreggiamento, a sorpresa vi ha rinunciato, e di conseguenza è stata chiesta la condanna a 4 anni, ma per lui e per tutti gli imputati c’è stata l’assoluzione. 
Nella sentenza la corte d’assise d’appello ha rimarcato che «la nebulosità delle prove relative all’omicidio si riverbera anche sulla realizzazione di un’attività di favoreggiamento e nella vicenda in esame non è dimostrato che Suprano abbia prestato aiuto gli autori, veri o presunti, dell’omicidio». La procura generale a novembre scorso non ha impugnato la sentenza e di conseguenza ora è «irrevocabile». 
«Il nostro assistito – hanno concluso i legali – non si è mai sottratto agli accertamenti d’indagine prima e alle fasi processuali poi, con l’unico obiettivo: far emergere la verità. Ora che la sentenza è irrevocabile ed è tornato in servizio oltre ad essere felicissimo, chiede di vivere la propria vita lontano dai riflettori e a totale servizio dell’Arma». 

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