“Un po’ di Musk farebbe bene alla Svizzera”




Keystone-SDA

Pure in Svizzera andrebbe drasticamente ridotta la burocrazia, sull’esempio di quanto intende fare la nuova amministrazione americana di Donald Trump.

(Keystone-ATS) Lo sostiene il noto imprenditore Urs Wietlisbach, che si batte anche contro un nuovo accordo quadro con l’Ue e che in tal ambito vede i sindacati passare in futuro nel campo dell’intesa con Bruxelles: saranno comprati attraverso concessioni sul fronte interno, dice.

“Anche da noi la burocrazia prolifera”, afferma – in un’intervista pubblicata oggi dalla NZZ am Sonntag (NZZaS) – il cofondatore della società Partners Group, impresa con sede a Baar (ZG) specializzata negli investimenti in altre società e nell’amministrazione patrimoniale, che figura fra le 20 principali aziende quotate alla borsa svizzera.

“Certo, Musk sta attualmente brandendo una mazza negli Stati Uniti: la sua autorità, che mira a ridurre radicalmente le dimensioni dell’apparato statale, forse sta esagerando un po’, ma la direzione è quella giusta”, prosegue il 63enne. “Un po’ di Musk farebbe bene alla Svizzera”.

“Se fossi un Consigliere federale, troverei sicuramente un grande potenziale di risparmio nell’amministrazione”, argomenta il professionista con trascorsi presso Credit Suisse e Goldman Sachs. “Così come probabilmente ogni imprenditore. Perché nel settore privato le aziende di successo sono regolarmente sottoposte a un programma di dimagrimento. Gli imprenditori si chiedono: ho bisogno di tutto quello che ho costruito? Posso diventare più snello? Dicono ai capi reparto: il peggior dieci per cento deve sparire. Purtroppo, questo non accade mai nell’amministrazione”.

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Wietlisbach non ha comunque una buona opinione di Trump. “Personalmente, ho problemi con le persone che non sono oneste. E Trump mente e imbroglia continuamente: con i suoi partner commerciali, in politica, sul campo da golf. Ma è un tipo stimolante. Per me è come un vaso di Pandora: un giorno decide questo, il giorno dopo quello. Governa in modo irregolare. Come imprenditore, penso che la sua politica doganale sia miope”.

Ai giornalisti che gli chiedono se, alla luce della guerra commerciale che sembra profilarsi a livello globale, non è stato ingenuo sostenere che la Svizzera deve orientarsi più verso gli Stati Uniti e l’Asia, invece che verso l’Ue, l’intervistato afferma di non vedere la cosa in termini drammatici. “Trump governerà per quattro anni, rimarrà un’eccezione. E chissà, forse ora la Svizzera riuscirà a negoziare un accordo di libero scambio con gli americani. In ogni caso, non sono certo disposto a vendere la nostra democrazia diretta all’Ue solo perché gli Stati Uniti stanno aumentando i dazi”.

Ma l’Unione europea, ribattono i cronisti, contrariamente a Trump ha regole chiare ed è prevedibile. “L’unica cosa prevedibile dell’Ue è la sua burocrazia gonfiata!”, ribatte il dirigente che con due colleghi di Partners Group – Fredy Gantner e Marcel Erni – ha fondato Kompass/Europa (in italiano anche Bussola/Europa), associazione che si batte per evitare un legame istituzionale con Bruxelles, ma che nel contempo è favorevole a relazioni di partenariato su base paritaria. “L’Ue è quattro volte più giovane della Svizzera, ma ha quattro volte più leggi. Bisogna immaginarselo. E proprio il Consiglio federale vuole legarci a questo colosso malato”.

L’investitore ammette che il governo ha fatto passi avanti rispetto al primo tentativo di accordo istituzionale, pessimo a suo avviso. “È vero, le nuove intese sono migliori, ma rimangono comunque pessime. Il problema fondamentale rimane: sono un attacco diretto alla democrazia svizzera e al nostro federalismo. Stiamo adottando leggi straniere e ci permettiamo di essere sottoposti a un tribunale straniero, e questo senza motivo”.

Il motivo – chiosano i reporter di NZZaS – è avere l’acceso al mercato Ue. “Avremmo comunque lo stesso accesso degli americani, dei cinesi e degli altri”, ribatte l’intervistato. “Avremmo addirittura un accesso migliore perché abbiamo ancora un accordo di libero scambio con l’Ue”. Ma i problemi nel settore della tecnologia medica? “Hanno dovuto semplicemente installare un rappresentante nell’Ue. Dio sa che non è costato molto. E guardate i corsi delle azioni di queste aziende: sono in forte rialzo. Se altri comparti fossero interessati, il Consiglio federale potrebbe aprire un ufficio per loro nell’Ue”.

Wietlisbach e i suoi sodali sono all’origine dell’iniziativa popolare denominata “per la democrazia diretta e la competitività del nostro paese – No a una Svizzera membro passivo dell’Ue (Iniziativa Bussola)”. Fra le altre cose essa chiede che i trattati internazionali che prevedono il recepimento di disposizioni importanti siano sottoposti al popolo e ai cantoni nell’ambito di un referendum obbligatorio.

“Negli ultimi quattro mesi abbiamo raccolto 50’000 firme, vogliamo arrivare alle 100’000 necessarie entro luglio. Stiamo quindi facendo ottimi progressi, considerando che non abbiamo partiti alle spalle”, sostiene l’economista con laurea all’Università di San Gallo. “Finora non abbiamo pagato per una sola firma. La nostra campagna funziona così: con l’aiuto della nostra agenzia Campaigneers abbiamo creato circa 140 comitati locali in Svizzera, composti da volontari che raccolgono le firme per strada”.

Con l’iniziativa Bussola si sta insomma creando già una rete per la campagna referendaria contro l’intesa che il Consiglio federale ha raggiunto con l’Unione europea. “Si tratta di una macchina da campagna di votazione che potremo poi utilizzare direttamente contro l’accordo quadro 2.0”, conferma il miliardario. “L’UDC gestirà la propria campagna e noi ne gestiremo un’altra al di sopra dei partiti. Si può già prevedere il risultato del voto: il 35% dei no verrà dall’UDC e noi contribuiremo con il 15% ancora necessario. L’accordo quadro 2.0 è quindi destinato a fallire”.

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A suo avviso un sostegno al no non giungerà invece dai sindacati. “Cambieranno idea”, sostiene Wietlisbach. “La sinistra, e quindi anche i sindacati, sono molto favorevoli all’Ue in linea di principio. A loro piacciono il centralismo e l’espansione dello stato. Negozieranno vantaggi per loro stessi a livello nazionale e poi passeranno al campo del sì. La Confederazione comprerà il loro consenso con misure interne: in altre parole, ancora più burocrazia”, conclude il manager.



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