Alessandro Coppola: “I giovani hanno bisogno di ascoltare storie vere come la mia”


A 16 anni ha scoperto di avere la sindrome di Usher, una doccia fredda che lo ha costretto a rivedere tutta la sua vita. Ora la sua storia è in un libro che ha già presentato in più di 50 scuole

Da quando nel dicembre 2023 la sua autobiografia è stata pubblicata per Graus Edizioni all’interno del volume “Le mie orecchie parlano”, Alessandro Coppola ha tenuto oltre 50 presentazioni nelle scuole di Napoli e non solo. Napoletano, classe 2003, Alessandro è affetto da sordità totale all’orecchio sinistro e da una profonda ipoacusia all’orecchio destro. Nel 2019 gli è stata diagnosticata la sindrome di Usher di tipo 2, una malattia rara caratterizzata da sordità congenita moderata-grave e retinite pigmentosa a esordio nella prima o nella seconda decade di vita, che può portare alla cecità. Da quel momento ha dovuto mettere in discussione sé stesso e i suoi progetti, imparando ad accettare una situazione di continua incertezza, che però non gli ha fatto passare la voglia di vivere e di comunicare. Anzi, ha scelto di raccontare la sua storia in un volume, che vanta la prefazione di Geolier e che ora propone ai più giovani, con cui è in costante dialogo anche attraverso una numerosa community che lo segue su Instagram e TikTok. E il suo messaggio è chiaro: “Non pensate alla vostra disabilità, godetevi la vita per quello che è”.

Alessandro, come mai ha deciso di scrivere un libro?

Non avrei mai pensato di scrivere un’autobiografia, perché nella vita avevo tutt’altri programmi, volevo andare a studiare a Milano e occuparmi di business. La decisione è nata dopo che, all’età di 16 anni, mi è stata diagnosticata la sindrome di Usher di tipo 2, collegata alla sordità, che ho fin da quando avevo 4 anni. Una malattia che, corna facendo, potrebbe portarmi alla cecità.

Ha iniziato a scrivere subito dopo la diagnosi?

Ho iniziato l’anno successivo e ci ho impiegato 3 anni, perché sentivo l’esigenza di ripercorrere tutta la mia vita fino a 16 anni e di raccontare come è cambiata dopo la diagnosi. Sono cambiate tante cose, a cominciare dai sogni, che oggi sono inevitabilmente molto diversi rispetto a quelli che avevo prima della diagnosi. E se prima pensavo di studiare economia per diventare imprenditore, oggi il mio sogno più grande è che un giorno si possa trovare la cura per la mia malattia.

E cosa ha scoperto scrivendo?

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Ho scoperto innanzitutto il potere della scrittura e quanto scrivere sia efficace per esprimere le proprie emozioni. Ma l’obiettivo principale rimane quello di far conoscere il mondo delle malattie rare, una realtà ancora sconosciuta e a cui non viene data l’importanza che si meriterebbe. E invece sarebbe importante far emergere queste malattie invisibili, che non possono ancora contare su una cura. Da parte mia voglio parlare di diversità in chiave moderna, senza fare né tenerezza né pena, perché non siamo persone che valgono 300 euro, cioè quanto la pensione che ci danno. Quei soldi, infatti, non ce li andiamo a spendere in vizi, ma in cure. Insomma conviviamo con un disagio, che io, però, cerco di trasformare in un punto di forza.

Come porta avanti questa battaglia?

Ho fatto il modello per diverse campagne pubblicitarie e ho portato il mio libro in molte scuole di Napoli e non solo. Confido molto nella mia generazione, che è molto empatica e molto aperta mentalmente. Purtroppo dobbiamo scontrarci con gli adulti, che invece sono molto più chiusi e meno inclini ad accettare la diversità. E quando parlo di diversità non mi riferisco solamente all’“handicap”, per usare un termine che odio, ma anche all’orientamento sessuale o, magari, semplicemente all’essere portatori di un pensiero diverso. Tutti dobbiamo essere accettati. La diversità deve diventare normalità, il mio obiettivo è normalizzare la diversità.

Il suo libro parla anche delle sfide che ha affrontato. Quali sono quelle principali?

Una delle sfide più importanti è stata la sordità, che quando ero ancora un bambino mi ha costretto a stare per lunghi periodi lontano dalla mia Napoli e dai miei compagni di classe. Non è stato semplice affrontare un percorso di ospedalizzazione, due interventi chirurgici, la logoterapia abilitativa 3 volte a settimana per 15 anni di seguito. Poi, dopo la diagnosi, ho dovuto combattere quotidianamente con la paura di svegliarmi e non vedermi più allo specchio, confrontandomi con paure e difficoltà che prima non avevo. Perché io ho sempre accettato la mia sordità, ma sapere di avere una malattia degenerativa è un’altra storia. Tuttavia, la cosa che mi è dispiaciuta di più è che ho dovuto combattere con ragazzi più grandi di me e che mi hanno fatto sentire sbagliato.

Si spieghi meglio, sta parlando di bullismo?

Sì, oggi la vera sfida è di abbattere la superficialità e l’indifferenza, favorendo lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. Un ragazzo che vive una vita difficile non deve sentirsi in colpa, perché quella sordità non ce la siamo scelta noi. Oggi questi ragazzi bisognerebbe valorizzarli e supportarli, non farli sentire disabili. Si sentono sbagliati perché li fanno sentire sbagliati. Io stesso ho dovuto affrontare l’ignoranza e la cattiveria da parte di persone che poi, però, si sono rese conto di aver sbagliato. Perché alla fine io mi sono preso le mie soddisfazioni, facendo il modello e diplomandomi al Liceo scientifico scienze applicate con il massimo dei voti.

È stato personalmente vittima di bullismo?

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Alle scuole superiori c’era un ragazzo che si divertiva a prendere in giro gli altri, provocava i ragazzi e i professori. Un giorno, durante un cambio d’ora, comincia a starnutirmi in faccia. Gli chiedo di smettere, ma lui continua e dopo un po’ reagisco di pancia, sputandogli sulla felpa. Allora lui mi sferra un cazzotto sulla protesi acustica, spaccandola a metà. Alla fine siamo stati sospesi entrambi. Mi avevano appena diagnosticato la malattia, avevo bisogno di sostegno, non di provocazioni. Pur sapendo di aver sbagliato, non riuscivo a pentirmi di quello che avevo fatto e ancora oggi non me ne pento. Anche perché dopo ho dovuto svolgere una settimana di lavori socialmente utili presso lo zoo di Napoli, ed è stata un’esperienza bellissima. Restavo lì 8 ore al giorno al posto di 5 e ci ho trascorso anche il weekend. Io che non ho mai avuto animali a casa, allo zoo ho conosciuto un mondo fantastico, lo rifarei un miliardo di volte.

E la scuola le piaceva?

Sì, ho sempre amato i libri e lo studio, li amo anche ora che frequento Scienze della comunicazione con indirizzo in Relazioni pubbliche d’impresa. I primi due esami sono andati molto bene, sono un tipo che non si accontenta e pretende molto da sé stesso. E questo perché non ho mai permesso che qualcuno mi dicesse: “Tu non ce la puoi fare, sei inferiore”

Nel libro ha scritto che confida molto nella ricerca.

La ricerca rappresenta l’unico spiraglio di luce che abbiamo. Sono sincero, se non ci fosse stata la ricerca, non so proprio che fine avrei fatto. Sfido chiunque a sentirsi dire a 16 anni: “Tu diventerai cieco”. Ma la ricerca va aiutata, perché da sola non va avanti. Quando vado a parlare ai ragazzi lo ripeto sempre: “Anche un solo euro può fare la differenza”. Tutti abbiamo il diritto di vivere una vita dignitosa e ogni tanto è importante ricordare che ci sono bambini che vivono una vita difficile. Perché le malattie rare sono più frequenti di quello che sembra. In tutti gli incontri che ho fatto c’era sempre almeno un ragazzo che aveva una malattia rara o parenti con una malattia rara.

Quale messaggio vorrebbe inviare ai suoi coetanei?

Vorrei dire che la vita è il dono più bello che abbiamo e va vissuto intensamente. Bisogna accettarla così com’è, senza piangersi addosso, perché il tempo è il valore più prezioso che abbiamo.

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Ultima domanda: come sta andando il libro?

Da quando è uscito nel dicembre 2023 ho tenuto oltre 50 presentazioni, soprattutto nelle scuole. E questi incontri hanno sempre un grande successo perché i ragazzi hanno bisogno di conoscere storie di vita reale, soprattutto dei loro coetanei. Temi come il bullismo e la malattia io li ho vissuti sulla mia pelle, non mi sono limitato a studiarli. E quando racconto la mia storia a loro arriva tutta la verità. Il bello della mia generazione è che siamo persone sincere. Se una cosa non gli interessa, i ragazzi guardano il telefono o se ne vanno in bagno. Ma con me questo non avviene mai, perché io faccio battute, ironizzo sulla mia sordità. Loro restano stupiti dal fatto che io racconto la disabilità – un termine che odio – in un modo che non fa paura. Anche io ho il piercing al naso, l’orecchino, gli occhiali griffati. E questo rende chiaro che io non sono la mia malattia. Sono Alessandro, ed è tutta un’altra storia.



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