Suicidio assistito e eutanasia, la parola a Francesco Caringella e al suo romanzo


Affrontare il tema dell’eutanasia e del suicidio assistito con un romanzo: intervista a Francesco Caringella

Perché ha scelto il fine vita come tema del suo ultimo romanzo, dottor Caringella?

Difficile dire se sono stato io a scegliere il tema o se il tema ha scelto me. Certo, confesso d’essermi pentito amaramente della scelta in questi tre anni di gestazione. Ho capito sulla mia pelle perché nessun autore italiano ha mai scalato la montagna dell’eutanasia e del suicidio assistito. Mi sono sentito a più riprese impotente e inutile di fronte a un dilemma che mette a nudo il significato della vita, il mistero della morte e la stessa nozione di uomo. Un dramma che è, al tempo stesso e in egual misura, religioso, etico, filosofico, familiare, sanitario e giuridico. Alla fine non ho mollato e, grazie a inestimabili compagni di viaggio che m’hanno sempre tenuto la mano, a partire dal mio editor Giordano Aterini, ho portato a compimento la fatica. Spero di avere fatto bene.

Lei è un magistrato, oltre che scrittore. Cosa rende il tema particolarmente interessante dal punto di vista giuridico?

Sartre ha scritto che un giudice è un uomo travestito da Dio. Svolge un compito divino che ha a che fare con obiettivi irraggiungibili quali la verità, la giustizia, la pena e il futuro, ma lo fa con la debolezza, l’imperfezione, gli interessi, le ambizioni e la vanità di ogni uomo. C’è uno scarto impressionante tra il fine e i mezzi, tra l’ambizione assoluta e le forze esigue.

Ecco, il giudice è uno strano personaggio che, come ricorda Dante Troisi nel meraviglioso e amarissimo Diario di un giudice, cerca di essere all’altezza di un compito che lo sovrasta e lo atterrisce. Se questo è vero in generale, lo è in particolare quando il magistrato deve affrontare un processo ai danni di un uomo che abbia aiutato un sofferente a morire o gli abbia pietosamente tolto la vita. In questo caso, in questo particolarissimo caso, la giustizia non può essere un tema puramente tecnico da affrontare con i codici e le pandette, ma finisce per interrogare la visione della vita, l’essenza dell’uomo e il profumo della libertà. Quando il diritto interpella l’uomo sulla sua personalissima concezione dell’esistenza, diventa difficile scindere la logica della tecnica dalla grammatica dei sentimenti.

Nel libro lei prende una posizione sui temi dell’eutanasia e del suicidio assistito?

Sul piano giuridico forse, sul piano etico e filosofico assolutamente no. Spero, però, di essere stato adeguato alla delicatezza del tema e alla forza delle grida di dolore che provengono da un’umanità dolente e troppo spesso inascoltata. Proprio per questo, ho cercato di dare spazio a tutte le possibili posizioni, utilizzando i pensieri di un medico laico contrario all’eutanasia e di un professore di filosofia del diritto sensibile alle tesi liberali e “disponibiliste”. Echeggiano così, grazie a queste voci potenti, le domande fondamentali: la vita è divina o umana? Appartiene all’uomo o è un dono di Dio? L’eutanasia è un atto di libertà o una sconfitta dell’umanità? C’è un vero confine tra aiuto a morire e aiuto nel morire? E soprattutto…

Soprattutto?

La scelta di farla finita ha che fare con la libertà e la dignità o con l’incapacità della società di alleviare le pene dei sofferenti, colmandoli dell’amore e della speranza necessari per continuare a portare la croce?

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Come definirebbe il suo romanzo?

Un romanzo sentimentale. Per la precisione un romanzo d’amore. Quindi, un inno appassionato alla vita. Di qui il titolo. L’attesa dell’alba. Ecco, non vorrei che L’attesa dell’alba fosse inteso come un romanzo filosofico o giuridico, o peggio morale, sul fine vita. In realtà il dramma vissuto da Alberto Martinelli –rimasto tetraplegico dopo un terribile incidente in moto – è il buco della serratura attraverso cui spiare dentro il mistero dell’animo umano. Le pagine danno vita a un romanzo psicologico, forse anche di formazione nel corso del quale, stanati dall’immensità cogente della sfida, i protagonisti sono costretti a conoscersi, scavando dentro le loro debolezza e venendo a capo delle loro miopie. Un romanzo esistenziale che, come ogni verso romanzo, per riprendere Silone, non può che essere una storia d’amore.

Una storia d’amore, quindi?

Certo, tutte le nostre scelte, anche le più minute, sono dettate dall’amore. Le nostre stesse vite sono il risultato di amori sbagliati, amori felici, amori falliti, impossibili o traditi. L’amore muove tutte le gesta dei miei protagonisti. L’amore tra il povero Alberto e la commovente ma fortissima moglie Sandra. L’amore tra l’uomo e la meravigliosa figlia Francesca, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri da sognatrice, costretta a crescere in fretta. L’amore della madre verso il figlio indifeso di fronte al baratro. L’amore tra una vecchietta persa nei sogni del passato e i suoi animali. Gli amori che finiscono e i nuovi che sbocciano, inevitabili e prepotenti.

E la giustizia?

La giustizia cerca di dare risposte che di cui è disperatatene incapace.

S’è pentito di non aver gettato la spugna?

Assolutamente sì.

Non ci credo!

 Non lo so. Spero solo di avere rispettato la tragedia di cui mi occupo, evitando le sirene della retorica, della banalità, dei dogmi e dell’ideologia. Spero di essere stato, cioè, leggero, ma non superficiale. Ho raccontato una storia, senza prendere di avere una verità in tasca. La storia di ogni singolo uomo alle prese con il mistero della fine è, in fondo, l’unica verità possibile.



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