o l’Ue o il cappellino di Trump»


Elly Schlein è appena tornata dall’Aquila, dove, a otto anni dal sisma «sono stata a verificare la condizione delle scuole del territorio colpito dal terremoto. Abbiamo trovato una situazione drammatica. Abbiamo incontrato ragazzi che si stanno per diplomare senza mai aver visto le mura di una scuola vera: i moduli provvisori dovevano durare cinque anni e sono lì da 16 anni.

In inverno si gela, quando piove, ci piove dentro. In otto anni non è stato fatto niente, 11 scuole su 17 del comune dell’Aquila non hanno un indice di vulnerabilità sufficiente. La destra ha annunciato per il 2024 la chiusura di sette cantieri: poi li hanno rinviati in blocco. In uno, quando hanno saputo che arrivavamo, hanno attaccato le nuove etichette delle date di fine dei lavori per il 2025».

La segretaria Pd torna a Roma mentre a Parigi i leader europei faticano a trovare una posizione comune sull’avvio dei colloqui Trump-Putin.

Segretaria, Giorgia Meloni è andata al vertice Ue come leader europea o come amica di Donald Trump?

Meloni deve scegliere da che parte stare. E deve venire a spiegarcelo in aula. Il momento è arrivato, deve decidere se indossa la maglia dell’Italia e quindi dell’Europa o il cappellino di Trump. Il vicepresidente Usa J. D. Vance ha attaccato frontalmente, e senza precedenti, l’Europa sui valori: ma noi non prendiamo lezioni di democrazia da un’amministrazione che appena insediata ha cominciato a fare decreti che calpestano i diritti fondamentali. Ci ha provocato con la scelta di fare a meno della Ue nel negoziato che si apre sulla fine del conflitto in Ucraina. Meloni sia chiara: l’Europa deve sedersi a quel tavolo da protagonista per garantire gli interessi e la sicurezza sia dell’Ucraina che dell’Unione. Non sarà Trump a garantirli, dalle sue dichiarazioni è chiaro che non pensa né alla sicurezza di Kiev né alla integrità territoriale del paese. L’Europa deve trovare una voce unitaria che si sieda a quel tavolo con un mandato chiaro a costruire una pace giusta con tutte le garanzie di sicurezza necessarie.

Ma l’Europa, dice Conte, finora ha puntato solo «all’escalation militare e alla logica bellicista». È d’accordo?

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Sicuramente scontiamo un ritardo. Da due anni il Pd, accanto al sostegno all’Ucraina che non è mai venuto meno, denuncia la mancanza di un’iniziativa politica e diplomatica dell’Ue. Ed è questo che ha lasciato spazio a un falso interprete della pace come Trump. Quest’iniziativa serve ora, o ci siederemo da ospiti anziché da protagonisti.

Chi deve dare queste garanzie di sicurezza: la Nato? L’Ue?

È imprescindibile un coinvolgimento di tutta la comunità internazionale e dell’Onu. Noi non rinunceremo al multilateralismo. Serve che tutti si assumano la propria responsabilità. È interesse primario dell’Unione fornire queste garanzie di sicurezza, ma realisticamente non può essere la sola a farlo.

L’aumento della spesa militare per i paesi Nato ormai è una certezza. Il Pd è d’accordo?

Noi siamo a favore di una difesa comune europea, ma non della corsa al riarmo di ognuno dei 27 stati dell’Unione, che è invece quello che abbiamo visto in questi anni. Oggi, sommando i soldi di tutti gli stati europei, la spesa per le armi è più alta di quella della Cina. Il punto è spendere meglio insieme. Una vera difesa comune, che passa da investimenti condivisi sulla ricerca, sullo sviluppo, su una vera difesa europea, permette anzi di razionalizzare la spesa. Che è già alta, ma è frammentata. Ed è un modo poco intelligente e poco efficace di spendere. Bisogna avere il coraggio di mettere in condivisione le competenze sulla difesa e sulla politica estera. Se non c’è una voce unitaria e forte su questi due ambiti, l’Europa si condanna all’irrilevanza.

In concreto, che significa?

Che sfidiamo Giorgia Meloni a due passi: battersi per superare l’unanimità, non è possibile essere bloccati dai veti; e per gli investimenti comuni europei. Rispondiamo alle provocazioni di Trump con un Next Generation Eu di 800 miliardi all’anno che tenga insieme la prospettiva di una politica industriale europea vera, che sostenga anche l’innovazione nella manifattura italiana, e che sia un investimento anche di spesa sociale, per la riduzione delle diseguaglianze, la conversione ecologica e l’innovazione digitale. Un Next Generation Eu che punti all’autonomia strategica dell’Ue nel settore industriale, in quello energetico, e anche sulla difesa comune. Non vogliamo vedere il ridursi delle spese sociali a scapito di quelle militari. Ma in un grande piano di investimenti comuni che tenga insieme queste priorità, ci sta anche la questione della difesa e della sicurezza comune.

I soldi da dove dovrebbero arrivare? L’Italia brinda al fatto che la spesa militare sarà scorporata dal Patto di stabilità, ma alla fine la coperta interna sarà corta.

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Agevolare la spesa dei singoli stati non crea la difesa europea. Noi siamo per una maggiore flessibilità e non abbiamo votato l’ultimo Patto di stabilità, ma se si possono scorporare le spese, perché sulla difesa sì e sulla spesa sociale e sulla conversione ecologica no?

Chiedete al governo una reazione diplomatica agli attacchi di parte russa contro Mattarella?

Chiediamo al governo di assumere ogni iniziativa utile a reagire, sono attacchi e minacce inaccettabili. Ribadiamo la piena solidarietà al capo dello stato, il paese, lo si capisce in queste ore, è tutto con lui.

Meloni vuole trasformare i due centri albanesi in Cpr. E dice di avere il sostegno dell’Europa.

Meloni è in imbarazzo, deve coprire il buco nell’acqua, un fallimento fatto calpestando i diritti delle persone che chiedono asilo e con un ingente spreco di risorse pubbliche. Sia economiche, perché hanno investito oltre 800 milioni, che potevamo mettere insieme sulla sanità, sia perché hanno mandato centinaia di agenti delle forze dell’ordine, che in Italia mancano, a badare a prigioni vuote. Anche Meloni ormai ha smesso di raccontare il flop albanese come un “modello” in Europa. Ora corrono ai ripari ma in ogni caso quel centro viola la normativa europea e italiana.

Conte ha lanciato una «grande mobilitazione» di piazza contro il governo dei salari bassi e della povertà che aumenta. Il Pd ci sarà?

Per andare in piazza sulla questione sociale, i salari, le prese in giro ai pensionati, il caro vita, le bollette, insomma contro la propaganda di questo governo, noi ci siamo. E siamo pronti a organizzarla insieme.

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Questa manifestazione può essere un passo verso l’alleanza, a cui lei non sembra rinunciare, mentre altri esponenti Pd propongono patti meno stringenti?

Siamo e continueremo a essere testardamente unitari su ogni proposta su cui è possibile unire le forze. Non vuole dire negare le differenze, che ci sono, ma sono tante le battaglie su cui siamo compatti. Sul caso Almasri, abbiamo costretto il governo a dare spiegazioni e pretendiamo ancora che Meloni chiarisca chi ha dato l’ordine di far partire un aereo che aspettava il torturatore libico ancora prima che fosse scarcerato. Abbiamo presentato insieme una mozione di sfiducia al ministro Nordio. Per questo sono molto positiva. Nelle nostre differenze, siamo sempre stati in grado di trovare punti d’incontro.

Sinceramente, se oggi governasse il centrosinistra, sui tavoli per l’Ucraina avrebbe una posizione unitaria?

La politica è lo sforzo di trovare un compromesso alto fra sensibilità diverse. E nessuno di noi pensa di poter andare a governare da solo. Questo sforzo lo facciamo tutti i giorni anche nelle città e nelle regioni dove governiamo insieme, e da quando io sono segretaria non mi sembra ci sia stata un’amministrazione che è saltata. Ai tavoli porteremmo gli interessi dell’Italia e dell’Europa. E se c’è un paese che ha bisogno di più Europa, quel paese è l’Italia.

Dopo Parigi, quale passo concreto dovrà fare l’Ue?

La cosa fondamentale è che l’Europa parli con una voce sola e forte, e dia a una delle sue istituzioni il mandato di trattare.

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