L’opposizione, spalleggiata dalla Cgil, continua con la sua furia demagogica sul salario minimo e sulla diminuzione delle ore lavorative a parità di salario, come se un tratto di penna migliorerebbe i salari bassi in Italia.
È una trappola che tendono ai lavoratori con giochi di illusionismo. È incredibile che continuino a prendere in giro promettendo l’impossibile, illudendo che la ricchezza aumenti o diminuisca per decreto.
Il lavoro – inutile ribadirlo- lo creano le aziende e le imprese, gli artigiani, i commercianti, ogni persona che vuole vendere il suo prodotto (bene o servizio); la domanda giusta che deve porsi l’opposizione è: quanto spazio diamo a codesti soggetti per lavorare? Quali sono gli impedimenti che oggi minano questa possibilità? Siamo un Paese che favorisce oppure che rende ostico il fare impresa? Se non si capisce che alla base del salario c’è il lavoro e che alla base del lavoro c’è la produzione puoi fare tutte le leggi che vuoi, tanto ritrovi un debito che aumenta e un Paese fermo.
A queste domande, vuole rispondere la riforma fiscale che sta entrando a regime, varata dal governo di Giorgia Meloni dopo oltre mezzo secolo di immobilismo grazie all’ottimo lavoro del viceministro Leo. Soltanto liberando le imprese dalle catene tanto care alla sinistra, gli stipendi aumentano; soltanto grazie al taglio del cuneo fiscale, detassando le tredicesime e un progressivo abbassamento delle tasse per i redditi medio bassi e alle imprese come previsto nella riforma e in alcuni provvedimenti già varati.
La verità è anche un’altra: la sinistra è convinta che i salari possano crescere anche senza la crescita della produttività o meglio della cosiddetta Tfp, produttività totale dei fattori, perché tanto le imprese sono piene di profitti. E se anche poi non fosse così, chi se ne frega, mica il conto lo pagheranno loro.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link