L’inchiesta del Fatto: “Media italiani avrebbero ricevuto fondi per fornire articoli graditi ai vertici di Bruxelles”
Ancora una volta, la direzione intrapresa dalla NATO ha avuto il suo effetto anche in Borsa. Dopo che il Segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Mark Rutte, ha precisato che l’obiettivo di spesa dell’alleanza sarà considerevolmente superiore al 3% del PIL dei Paesi membri, superando quello precedente del 2% fissato nel 2014, i prezzi delle azioni delle principali aziende produttrici del settore della difesa hanno registrato l’ennesima impennata.
Parlando alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, Rutte ha specificato anche che i membri dell’alleanza dovranno impegnarsi per un “calendario forte” al vertice dell’Aia. Il riferimento è al prossimo vertice di giugno, che potrebbe dunque formalizzare un impegno ancora più marcato in questa direzione. Inoltre, la visione di crescita della spesa militare in Europa trova conferma anche nelle parole pronunciate dall’analista di Wall Street, Sam Burgess, della società finanziaria Citigroup, una delle principali istituzioni bancarie degli Stati Uniti per quanto riguarda gli asset finanziari. Burgess ha spiegato, infatti, che questa impennata potrebbe continuare con ulteriori fasi di crescita, soprattutto a causa di un aumento delle spese militari della NATO nell’industria militare continentale, a scapito di quella statunitense. Ad ogni modo, quello di Burgess sembra essere un dato altamente prevedibile. L’aumento dei guadagni nel settore della difesa, registrato da entrambi i lati dell’Atlantico, non si è mai arrestato. Fin dall’inizio, l’invasione russa dell’Ucraina, avvenuta nel febbraio 2022, ha portato con sé un’inarrestabile impennata delle spese militari da parte dei Paesi occidentali. Infatti, fin da subito, gli investitori hanno scommesso sulla crescita del settore della difesa, prevedendo che gli Stati membri della NATO avrebbero continuato a rafforzare i loro arsenali. E così è stato.
Per quanto riguarda il contesto politico europeo, la direzione è altrettanto chiara. La Commissione presieduta da Ursula von der Leyen ha ribadito la necessità di aumentare gli investimenti con centinaia di miliardi di euro all’anno, portando i Paesi dell’UE a superare il 2% fissato precedentemente. Addirittura, per accrescere le probabilità di riuscita, von der Leyen ha specificato che il braccio esecutivo dell’UE sta studiando misure per escludere la spesa per la difesa dai vincoli di bilancio imposti ai governi, facilitando così un aumento degli investimenti in armamenti. Ma, tornando ai guadagni registrati in Borsa, come per la von der Leyen, anche i numeri parlano chiaro. Dopo le parole pronunciate dal Segretario generale della NATO, Mark Rutte, le azioni del gruppo tedesco Renk sono balzate del 12% già durante i primi scambi di lunedì. Restando sempre in Germania, quelle di Rheinmetall – ha fatto sapere il “Wall Street Journal” – sono salite dell’8,4%, mentre quelle di Hensoldt del 6,5%. Nel Regno Unito, invece, BAE Systems è avanzata del 5,25%. In Francia, le azioni di Thales sono cresciute del 3,75% e quelle di Dassault Aviation del 6,67%. L’italiana Leonardo è salita del 4,3%, mentre la svedese Saab ha guadagnato il 6,5%.
Mark Rutte © Imagoeconomica
Le accuse contro l’Europa del vicepresidente USA, JD Vance
Sembra voler continuare ad allargarsi lo strappo che si è venuto a creare tra Washington e Bruxelles. Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, ha criticato pesantemente l’Europa, soprattutto per quanto riguarda la deriva dei valori fondamentali che, a suo dire, avrebbe colpito il Vecchio Continente. Durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, che si è svolta pochi giorni fa, Vance non le ha mandate a dire. Ha citato casi specifici, come l’annullamento delle elezioni in Romania e alcune restrizioni alla libertà di parola in Gran Bretagna e Svezia. Ha poi puntato il dito contro la censura che, a suo avviso, si starebbe verificando in Europa ai danni della libertà di espressione: circostanze che – ha precisato Vance – potrebbero rappresentare per l’Europa una minaccia molto più pericolosa rispetto a Russia e Cina. “Posso dirvi chiaramente: non ci può essere sicurezza se avete paura delle voci, delle opinioni e della coscienza che guidano il vostro popolo”. E ha aggiunto: “L’Europa deve affrontare molte sfide, ma la crisi che questo continente sta attraversando in questo momento, la crisi che voi affrontate in questo momento, è una crisi che avete creato voi stessi”.
Soldi pubblici ai media, ma con nomi e cifre secretati
Restando sul tema della cosiddetta “paura delle voci”, probabilmente le parole di Vance hanno generato più fastidio che stupore in alcuni leader politici europei. Recentemente, Il Fatto Quotidiano ha acceso i riflettori sull’uso dei fondi pubblici dell’Unione Europea per finanziare i media, sollevando dubbi sulla trasparenza e su possibili conflitti di interesse. E, ovviamente, dato che si parla di conflitti di interesse, l’Italia non poteva certo restarne fuori. Sotto la supervisione della presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, l’Unione Europea ha stanziato ben 132,82 milioni di euro per finanziare i media in relazione alle elezioni europee del giugno scorso. Una decisione presa con il coinvolgimento di altre istituzioni, come il Consiglio UE, la Banca Europea degli Investimenti e il Comitato Economico e Sociale. Ora, ci sarebbero due aspetti che rendono questa operazione degna di attenzione: l’ingente quantitativo di denaro pubblico investito in un solo anno e il metodo utilizzato per assegnarlo. Infatti, oltre a questa “generosa” concessione di denaro pubblico ai media europei, bisogna aggiungere i fondi già stanziati annualmente attraverso gare d’appalto a giornali, TV, agenzie di stampa e siti online.
Ursula von der Leyen © Imagoeconomica
Per quanto riguarda il metodo, invece, sembra che l’approccio amministrativo utilizzato per ripartire questi 132,82 milioni di euro sia stato orientato al segreto, celando non solo l’identità di chi ha ricevuto questi fondi, ma impedendo anche un controllo pubblico sulla loro destinazione finale. Infatti, invece di erogare direttamente i fondi ai media, le istituzioni europee hanno usato un contratto quadro (framework contract) con la società Havas Media France, parte del gruppo Vivendi. Il contratto in questione, formalizzato il 5 settembre 2023 (codice Comm/Dg/Fmw/2023/30), ha affidato ad Havas il compito di distribuire i fondi ai vari media. Il problema è che, in questo modo, gli importi effettivi destinati ai singoli media non sono noti, poiché Havas non è tenuta a rendere pubblici i dettagli della ripartizione. Inoltre – e non è cosa da poco – il contratto in questione sembra esonerare determinate spese da alcune regole di trasparenza, come l’obbligo di gare d’appalto per pagamenti superiori ai 14mila euro o la registrazione di questi fondi sul TED, il database ad accesso pubblico per le gare d’appalto dell’UE. Per trovare eventuali finanziamenti destinati ai media italiani, bisogna cercare nei database i nomi delle società proprietarie, come Reti Televisive Italiane per Mediaset, Gedi per Repubblica, RCS per il Corriere della Sera. Tuttavia, se il finanziamento è stato distribuito tramite un intermediario come Havas, potrebbe non risultare nulla. Metsola e von der Leyen, tramite i loro portavoce, hanno rifiutato di fornire dettagli sui destinatari dei fondi, sugli importi e sulle motivazioni, giustificando la scelta con la necessità di proteggere gli interessi commerciali degli operatori economici coinvolti.
© Imagoeconomica
Peccato, però, che le istituzioni europee abbiano già uffici stampa per comunicare le proprie iniziative. Perché, allora, usare un intermediario per finanziare i media senza trasparenza? Sempre secondo quanto rivelato dal Fatto Quotidiano, diversi media italiani (RAI, Mediaset, Sky, Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24 Ore, ANSA, AGI, Adnkronos, Citynews, ecc.) avrebbero ricevuto fondi europei anche per fornire articoli e servizi graditi ai vertici di Bruxelles. In particolare, è emerso che il gruppo Agnelli-Elkann ha coinvolto Repubblica in una partnership con il Parlamento Europeo e la Commissione per pubblicare articoli sulle elezioni europee, ricevendo in cambio fondi. Un primo accordo, del valore di 62mila euro, non è stato messo a gara (nonostante superasse i famosi 14.000 euro), sfruttando il contratto quadro con Havas.
A pensar male degli altri si fa peccato, ma…
…spesso ci si azzecca, usava dire Giulio Andreotti, noto non solo per essere uno dei politici italiani più influenti del XX secolo, ma anche per la sua astuzia e, se vogliamo, per il suo pragmatismo nel contesto politico dell’epoca. Volendo mettere da parte proverbi e aforismi vari, la conclusione appare piuttosto inquietante. L’intreccio tra politica, finanza e media si manifesta con una dinamica in cui ciascun attore trova il proprio tornaconto in un sistema ben oliato. Mentre le Borse premiano l’aumento della spesa militare, con le azioni delle aziende della difesa in costante ascesa, il vicepresidente USA, Vance, accusa l’Europa di aver tradito i suoi stessi principi, puntando il dito contro derive censorie e restrizioni alle libertà fondamentali. Nel frattempo, l’UE, che elargisce fondi pubblici ai media con modalità quantomeno opache, si sottrae a una trasparenza che dovrebbe essere un pilastro democratico. Se a questo si aggiungono il consolidamento dell’industria bellica, incentivato da politiche di spesa militare sempre più ambiziose, e la totale assenza di politiche di pace, il quadro appare chiaro: interessi economici, strategici e comunicativi si muovono all’unisono, rafforzandosi a vicenda. Insomma, ancora una volta, una cosa è certa: il potere avrà sempre bisogno di qualcuno che racconti una versione più conveniente.
Elaborazione grafica con IA
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