MILANO «Dopo la morte di Boiocchi, ci presentiamo a casa di Mimmo Bosa perché gli “Hammer” si erano presentati a casa di Debora e le avevano preso la cassa della curva (…) ci presentiamo a casa di Mimmo, io, Marco e Salvatore, che era un amico di uno che lo soprannominavo “il parrucchiere” (…) saliamo e portiamo quel soggetto che Marco dice che era uno pesante, di una famiglia pesante calabrese, che poteva fare comunque delle pressioni a livello di farci ridare la cassa». A parlare davanti ai pm della Dda di Milano è ancora Andrea Beretta, l’ex capo ultrà della Curva Nord dell’Inter, collaboratore di giustizia, coinvolto nell’inchiesta “Doppia Curva” ma anche nell’omicidio di Antonio Bellocco (cl. ‘88), rampollo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, ucciso lo scorso 4 settembre a Cernusco sul Naviglio proprio per mano di Beretta.
Nell’ultimo verbale risalente al 21 gennaio 2024, reso agli inquirenti della Dda di Milano, Beretta illustra i dettagli che hanno portato ai primi contatti con Bellocco e le fasi successive alla morte di Boiocchi, con la presa di posizione del gruppo “Hammer”. Il coinvolgimento del soggetto calabrese, però, delude le aspettative del gruppo. «Vediamo che non aveva la stoffa di quella roba lì, tant’è vero che Mimmo prende anche a male parole Marco».
Come raccontato da Beretta, dunque, dopo la sottrazione della cassa, Marco Ferdico – che ancora non aveva una investitura ufficiale nella Curva Nord dell’Inter – organizza l’incontro con Bosa. «Andiamo io, Marco e questo qua, “il parrucchiere”, “il barbiere”». «È in quel momento che conosco questo soggetto o forse poco prima a Carugate, però l’avevo appena conosciuto, me l’ha presentato Marco, mi aveva detto “con questo qua ci lavoro a livello di materiale”», ipotizzando business legati allo spaccio di droga». Ma, dal racconto di Beretta, emerge molto altro. «Mi aveva detto che questo era calabrese, faceva parte di una famiglia importante, il nipote di… Morabito, Mancuso, io mi confondo sempre con ‘sta gente qua…».
L’asso nella manica: Antonio Bellocco
Dall’inchiesta della Dda di Milano, erano emersi degli elementi legati ad un Salvatore detto “il barbiere” presumibilmente di Africo, un soggetto comunque mai identificato. In buona sostanza, il “peso” criminale di questo Salvatore “il parrucchiere” non sortisce gli effetti sperati, con Bosa che, di fatto, rimane fermo sulla propria posizione: quello di predominio sugli incassi rispetto a Ferdico e lo stesso Beretta, nonostante quest’ultimo fosse “l’erede” designato di Boiocchi. A questo punto, Ferdico gli avrebbe detto di «avere un’altra carta da giocarsi». Secondo Beretta, infatti, «Marco non è uno che è improntato allo scontro, allora voleva trovare una soluzione di fargli la pressione dei malavitosi, capito? Preferiva intimorirlo».
La “carta” che Ferdico si gioca ha un nome e cognome: Antonio Bellocco. «Ferdico mi dice “viene su questo ragazzo qui che ho conosciuto tramite “il cacciatore” e Monardo, viene su e vediamo di trovare una soluzione per tornare ancora da Mimmo e fargli pressione”, insomma avrebbe dovuto risolvere la situazione». Il “cacciatore” è da identificarsi in Giuseppe Idà (cl. ’00) di Gerocarne, l’altro è Vincenzo Monardo (cl. ’97) di Soriano. L’incontro, invece, sarebbe avvenuto dopo Atalanta-Inter. «Ferdico – racconta ancora Beretta – penso che aveva già preso degli accordi prima, si era già confrontato perché con “il cacciatore” e con Monardo si vedevano a Carugate (…) non so se li aveva conosciuti quando lui era andato giù in Calabria a giocare a pallone o se li ha conosciuti dopo».
A proposito dell’incontro avvenuto in una pizzeria di Carugate, Beretta ha spiegato ai pm: «Eravamo io, Marco Ferdico, il papà Franco Ferdico, Maurino Nepi, “il cacciatore”, Monardo e Antonio Bellocco, e ci siamo conosciuti lì in quella pizzeria. Totò Bellocco arriva con “il cacciatore” e con Monardo». Secondo il racconto dell’ex capo ultrà dell’Inter, al tavolo il gruppo si sarebbe messo a discutere dell’incasso sottratto da Bosa, con Bellocco che gli avrebbe detto “tu devi dire che io e te ci conosciamo da tanto tempo”. «Mi dice, “adesso quando andremo a casa di questo qua tu devi dire che io e te ci conosciamo da tanto tempo, che avevamo a che fare col materiale”, quindi Bellocco mi ha dato l’idea di essere più “operativo” dell’altro», e così decidono di andare a casa di Bosa, «io, Marco e Antonio, anche se poi Marco non è venuto». Nei piani del gruppo, quindi, c’era l’intenzione di “spendere” il nome di Antonio Bellocco per fare pressioni a Bosa, in cambio il rampollo calabrese sarebbe entrato del direttivo della Curva Nord. «Marco m’aveva detto: “guarda che se va in porto che riusciamo a fare pressione a Mimmo, che riusciamo a riprendere il predominio della Curva, logicamente dobbiamo contraccambiare e farlo entrare nel Direttivo con noi”».
Nel corso del suo racconto ai pm, Andrea Beretta illustra anche i dettagli legati alla conversazione intercettata a bordo del furgone insieme ad Antonio Bellocco. Quello che, secondo quanto emerso dall’inchiesta della Dda, era di fatto il primo vero “faccia a faccia” tra i due. «(…) eravamo sul furgone e mi fa vedere la foto del figlio, della figlia, gli dico anch’io “guarda che c’ho due ragazzi, uno più piccolo, uno più grande”, viene fuori il discorso delle donne (…) e mi dice dello stadio: “Vedi che faccio paura? Sono andato allo stadio…”. In questo discorso qua mi racconta che anche lui che durante le partite in casa, della squadra di casa dove abitava lui, c’erano stati degli scontri con altre tifoserie del paese, così…». «Poi – continua Beretta – lui parla dei parcheggi, io dico “guarda che ci sono anche da fare i lavori col baracchino, che abbiamo il baracchino col nostro nome”, gli spiego “guarda che l’importante è che facciamo vedere che lavoriamo, facciamo le robe comunque…”».
E quando i pm gli chiedono se Bellocco fosse stato interpellato prima del “parrucchiere”, Beretta spiega: «A idea mia no, però non posso metterci la mano sul fuoco. Secondo me Marco deve aver parlato con loro due, col “cacciatore” e con Monardo, di quello che era successo, s’è preso pure del pedofilo, deve essere nata così. E loro gli hanno detto: “adesso te la troviamo noi la persona che è incisiva su questo fronte”». (g.curcio@corrierecal.it)
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