Condannato all’ergastolo, con isolamento diurno di sei mesi, Giuseppe Ferrarese, 28 anni, di Brindisi, con l’accusa di avere ammazzato l’amico 19enne Giampiero Carvone la notte fra il 9 ed il 10 settembre 2019 davanti alla sua casa di via Tevere, nel quartiere Perrino di Brindisi. Tre anni e sei mesi sono stati inflitti invece a Orlando Carella, 55 anni, di Brindisi, accusato di intralcio alla giustizia, difeso dall’avvocato Giuseppe Guastella.
Le accuse
Ferrarese risponde dall’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dai motivi futili ed abietti e dall’agevolazione dell’associazione mafiosa. La sentenza della Corte d’Assise del Tribunale di Brindisi (presidente Maurizio Saso, a latere il giudice togato Adriano Zullo e la giuria popolare) ha escluso per Ferrarese l’aggravante della premeditazione.
Risarcimenti
Il dispositivo della sentenza emesso dopo sei ore di camera di consiglio ha previsto una provvisionale di 100mila euro a tutti i parenti della vittima, parte civile con l’avvocato Marcello Tamburini: il padre Piero e la madre Patrizia Battisti (in lacrime durante la lettura), il fratello Simon, la nonna Teodora Vacca e gli zii Giovanni Battisti e Maria Lucia Bernardi.
Falsa testimonianza
Il dispositivo della sentenza ha previsto anche la trasmissione al pubblico ministero dei verbali delle deposizioni tenute in aula da Cosimo Morleo e da Christian Zanzarella: «Ravvisandosi indizi del delitto di falsa testimonianza».
Le repliche
La sentenza arriva dopo le repliche di questa mattina del pubblico ministro della Direzione distrettuale antimafia, Carmen Ruggiero e dei legali di Ferrarese, gli avvocati Cosimo Lodeserto ed Emanuela De Francesco. L’accusa ha ribadito la richiesta di condanna all’ergastolo dopo avere fornito una ricostruzione sulla dinamica dell’omicidio e sulla direzione dei tre colpi di pistola esplosi da Ferrarese, per contestare l’esposizione fornita dalla difesa nell’ultima udienza: «Ferrarese ha cagionato la morte di Carvone con premeditazione», ha concluso il pubblico ministero. Il primo incontro avvenne alle 20.30, quando i poliziotti che controllò il gruppo e notò la tensione per l’irruzione di Coluccello in casa dei Carvone per pretendere il risarcimen to per l’auto rubata e danneggiata. Alle 21.30 nuovo incontro dopo il litigio di Ferrarese con Stefano Coluccello nella piazzetta. Si allontanò dal quartiere Perrino per farvi poi ritorno per uccidere Carvone. Perché? Perchè riteneva che avesse fatto il suo nome e, dunque, che fosse un “infame”: aveva violato il vincolo del gruppo, il vincolo dell’omertà. Uccise non per fare un favore a Davide Di Lena ma per aderire alla regole della Sacra corona unita».
La difesa
I legali di Ferrarese hanno sostenuto che non si fosse formata la prova per dimostrare che sparò per uccidere.
Sparò – questa la linea difensiva – senza prendere in considerazione la possibilità che potesse amamzzare l’amico. Per questo è stata chiesta la derubricazione dell’accusa da omicidio volontario a omicidio preterintenzionale. Nel corso del processo Ferrarese aveva ammesso sì di avere ucciso lui Giampiero Carvone. E lo aveva fatto dopo che la pm Ruggiero depositò il verbale in cui il collaboratore di giustizia Emanuele Guarini rivelò che Ferrarese gli avesse riferito di essere l’autore di quel delitto. Lo fece durante un periodo di detenzione in una stessa cella. Tuttavia prima Ferrarese e poi i periti della difesa, ed in particolare il perito balistico Roberto Lazzari, hanno sostenuto che i tre colpi di pistola calibro 7.65 sparati contro Giampiero Carvone non dovessero ucciderlo ma solo ferirlo alle gambe: il perito balistico parlò dei tre proiettili tutti andati ad impattare su una Mercedes Classe A parcheggiata a 22 metri dal punto in cui perse la vita Giampiero Carvone: il primo sotto lo sportello anteriore sinistro, radente al suolo, il secondo sulla ruota posteriore destra; ed il terzo sullo sportello posteriore sinistro. Tenuto conto che Carvone era alto 1.82 – questa la tesi della difesa – e che fu colpito alla testa da un proiettile passante, le traiettorie dei colpi sarebbero incompatibili con l’intenzione di uccidere. Anche su questa dinamica si è soffermato il pubblico ministero, fornendo una ricostruzione diversa soprattutto in relazione al proiettile andato ad impattare sul vetro posteriore destro della Classe A: ad un’altezza compatibile con l’intenzione di sparare per uccidere.
L’appello
Tre mesi il termine indicatto per depositare le motivazioni della sentenza e poi le difese potranno ricorrere in Appello. Resta intensa la presunzione di non colpevolezza fino al pronunciamento dell’ultimo grado di giudizio.
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