Una intervista importante, articolata, lunga. Quella che Marco Minniti, presidente della Fondazione Med’Or ha rilasciato ieri a Radio Rai merita di essere raccontata su queste pagine, risponde all’esigenza di risposte chiare in un momento confuso. Il ministro dell’Interno del governo Gentiloni è intervenuto sul dissidio Trump-Zelensky. Senza esitazioni. «Credo sia molto importante che l’Ue proceda unita e contemporaneamente capace di assumere decisioni. Il tempo si sta consumando. Pesano le incertezze del passato. Siamo a tre anni dall’invasione dell’Ucraina, il tema della difesa europea si poneva come urgentissimo, si è fatto molto poco e il tema è tornato di straordinaria attualità, con l’esigenza di avere una politica estera comune».
Minniti ha commentato il recente incontro Usa-Russia a Riad e le iniziative europee a riguardo: «Tutto quello che stanno facendo gli Stati Uniti e Trump non deve essere visto come una minaccia, ma come una sfida all’UE ad avere una capacità propria autonoma di difesa, di iniziativa e di politica estera o l’Ue fa un passo avanti o rischia di non farcela. Tornando alle relazioni dei singoli paesi con gli Stati Uniti, con il rischio che ogni paese sia più debole nel rapporto». Inoltre, ha sottolineato: «Zelensky ha detto con grande chiarezza che senza un ruolo preciso dell’Ucraina, forte e diretto, io ritengo anche legittimo, in questa fase non si possano fare accordi. Il fatto che Zelensky oggi non vada a Riad ci dice che siamo ancora all’inizio di un percorso di discussione. La questione delle truppe e della sicurezza in Ucraina è alla fine di questo processo. Abbiamo da un lato gli accordi negoziali, che riguardano il territorio ucraino, che senza Zelensky non possono andare avanti, poi la partita di garantire la sicurezza dell’Ucraina per evitare nuovi attacchi. La mia opinione è che la strada maestra sarà far entrare l’Ucraina dentro l’Ue, per dare sicurezza a Zelensky, al popolo ucraino, e darebbe la possibilità a quel popolo, che si è battuto anche per la nostra libertà, di fare parte di una comunità politica che garantisce sicurezza e sviluppo economico».
«Aggiungo che dovremmo pensare a una presenza non solo di un contingente europeo, coinvolgendo altri paesi, la Turchia che è un paese Nato, paesi asiatici, non mettendo in una angolo la possibilità della Cina, anche perché è in vigore l’accordo di un’amicizia senza limiti tra Cina e Russia». Minniti è intervenuto anche nel merito delle relazioni con la Libia e con i paesi della cerniera nordafricana. «Mi sembra strategico (l’accordo con i paesi di origine ndr), assolutamente decisivo, i numeri citati dimostrano che ha funzionato».
Così ha risposto rispetto ai dati riportati lunedì scorso, alla conferenza con i prefetti e i questori, dalla premier Meloni e al memorandum Italia-Libia del 2017 (governo Gentiloni). «Ha funzionato quello con la Libia (memorandum Italia-Libia ndr) che è stato riconfermato da due governi a cui, di fatto, hanno partecipato tutte le forze politiche presenti in parlamento, sapendo che l’accordo del 2017 aveva una clausola automatica di rinnovo ogni tre anni, e quindi è stato rinnovato nel 2020 e 2021 – ha spiegato Minniti – poi ci sono stati gli accordi con la Tunisia, con la Costa d’Avorio, gli accordi fatti dal governo spagnolo, che non è omologo di quello italiano, con la Mauritania e con il Senegal. Il tutto in una cornice di carattere europeo. La scelta strategica è quella di governare l’immigrazione attraverso un rapporto con l’Africa, questo è il punto dal quale non si può tornare indietro. In questo contesto va visto anche lo sviluppo del piano Mattei, che a mio avviso deve diventare sempre di più un piano europeo. Aggiungo che questa è la via maestra. Altre strade non sono molto convincenti, ed è per questo che bisogna lavorare».
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