Btp fuori dal calcolo Isee, a chi conviene e perché è un problema di equità


Pubblicato il decreto che esclude dall’indicatore per l’accesso ai sussidi gli investimenti in titoli di stato: una decisione che introduce un elemento di disparità tra famiglie uguali per patrimonio e reddito, in base alle loro scelte di investimento

Il governo ha introdotto una modifica sostanziale al calcolo dell’Indicatore della Situazione economica equivalente (Isee), escludendo dal computo i titoli di Stato fino a un valore complessivo di 50mila euro. La misura, prevista dalla legge di bilancio 2024 e attuata tramite un Dpcm pubblicato il 18 febbraio, entrerà in vigore il 5 marzo. Questa novità, che mira a incentivare l’acquisto di Btp da parte delle famiglie italiane, solleva però questioni di equità e di efficienza economica.

L’Isee e il ruolo del patrimonio

L’Isee è lo strumento utilizzato per determinare l’accesso alle prestazioni sociali agevolate, tenendo conto non solo del reddito, ma anche del patrimonio mobiliare e immobiliare. Nella sua formula, il patrimonio viene considerato per il 20% del suo valore, e ciò includeva finora anche gli investimenti in titoli pubblici. L’inclusione del patrimonio nell’Isee ha una duplice finalità: da un lato, riflette la capacità economica complessiva di una famiglia, dato che la disponibilità di risparmi è un indicatore di benessere; dall’altro, serve a contrastare eventuali strategie di elusione fiscale, impedendo che famiglie con redditi ufficialmente bassi, ma con ingenti patrimoni, possano accedere a sussidi destinati ai più bisognosi.

Massimo Baldini, professore di Politica economica all’università di Modena e Reggio Emilia, ricorda che l’introduzione dell’Isee negli anni Novanta nasceva proprio con l’obiettivo di standardizzare i criteri di accesso alle prestazioni sociali, riducendo le disuguaglianze generate da regolamenti locali e frammentati. Tuttavia, come ogni strumento selettivo, l’Isee genera “trappole della povertà”, ovvero incentivi distorti che possono spingere le famiglie a dichiarare meno reddito o a risparmiare di meno per non perdere l’accesso ai benefici.

Gli effetti dell’esclusione dei Btp

L’esclusione fino a 50mila euro di titoli di Stato dalla base imponibile Isee avrà conseguenze immediate per le famiglie con investimenti in questi strumenti finanziari. Il 28% delle Dichiarazioni sostitutive uniche (Dsu) elaborate dai Caf Acli nel 2025 contiene titoli pubblici nel patrimonio mobiliare, con un’incidenza del 40% tra le famiglie con un Isee superiore ai 25mila euro: questo significa che una fetta rilevante di richiedenti avrà un indicatore più basso e potenzialmente accesso a maggiori benefici. L’impatto più diretto si avrà sull’Assegno unico per i figli, con una stima di 44 milioni di euro di maggiore spesa pubblica. Anche altre misure, come le agevolazioni per il trasporto pubblico, i bonus energia e le tariffe universitarie, potrebbero subire variazioni in termini di platea e intensità del sostegno. Tuttavia, questa scelta politica presenta diversi aspetti problematici.

Un incentivo distorto

Uno dei principali punti critici è la violazione del principio di equità orizzontale: due famiglie con uguale reddito e patrimonio vengono trattate in modo differente a seconda della composizione del loro portafoglio finanziario. Se una ha investito in Btp e l’altra in obbligazioni societarie o azioni, la prima potrà beneficiare di un Isee più basso e di maggiori aiuti pubblici, pur avendo una condizione economica simile.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Vi è poi una questione di equità verticale: una famiglia benestante, con un portafoglio composto prevalentemente da titoli di Stato, potrebbe risultare più “povera” ai fini Isee rispetto a una con minori risorse complessive, ma con investimenti di natura diversa. Questo meccanismo rischia di favorire le fasce di reddito medio-alte, a scapito delle famiglie realmente bisognose, in un contesto di risorse pubbliche limitate.

Dal punto di vista finanziario, la norma introduce anche un rischio sistemico per il risparmio privato. Un principio basilare della gestione patrimoniale è la diversificazione, ovvero evitare di concentrare gli investimenti in un unico strumento. Tuttavia, con questa misura, lo Stato incentiva la canalizzazione del risparmio verso i Btp, aumentando l’esposizione dei piccoli investitori a eventuali fluttuazioni dello spread o del rischio sovrano italiano.

Inoltre, escludere i titoli pubblici dall’Isee potrebbe avere un effetto di spiazzamento sugli investimenti privati. Se le famiglie privilegiano i Btp rispetto ad altre attività finanziarie, le imprese potrebbero trovare maggiore difficoltà nell’attrarre capitali privati, con conseguenze potenzialmente negative sulla crescita economica del Paese.
L’operatività della misura è prevista a partire dal 5 marzo 2024, quando entrerà ufficialmente in vigore il decreto attuativo. Tuttavia, per aggiornare il proprio Isee in base alle nuove regole, sarà necessario presentare una nuova Dsu, con un costo che oscilla tra 15 e 25 euro nei Caf, a meno che non si scelga di utilizzare la procedura online tramite il portale dell’Inps.

Questa modifica solleva un dibattito più ampio sulla razionalità del sistema di welfare italiano e sull’opportunità di premiare il risparmio in titoli di Stato rispetto ad altre forme di investimento. Se l’obiettivo era stimolare la domanda di Btp da parte delle famiglie italiane, la misura potrebbe effettivamente avere un impatto, ma a costo di alterare i principi di equità del sistema di tax-benefit e di creare incentivi distorti nella gestione del risparmio privato: il rischio è che una politica pensata per rafforzare la domanda di Btp finisca per amplificare disuguaglianze e inefficienze nel sistema di welfare.

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