“Illegale e disumano deportare i migranti”


Francesco sferza la comunità a stelle e strisce ormai votata a un’interpretazione singolare del Vangelo, secondo la quale la grazia è dei benestanti bianchi, e chi soffre povertà e miseria se lo merita e dev’essere cacciato. Ma qualcosa si muove, l’ipocrisia del clero è stata smascherata anche da autorevoli teologi

Alla fine della settimana che ha visto papa Francesco intervenire sui vescovi americani prim’ancora di finire ricoverato, per esortarli a vigilare sui temi della giustizia sociale (vedi migranti), in funzione chiaramente anti-Trump, ebbene, qualcosa si muove nella cultura cattolica statunitense.

Sono due i passaggi della lettera in cui il Papa entra direttamente nelle questioni di attualità. Il primo al paragrafo 4: “Sto seguendo da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata non può non compiere un giudizio critico ed esprimere il suo dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità. Al tempo stesso, bisogna riconoscere il diritto di una nazione a difendersi e a mantenere le comunità al sicuro da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi durante la permanenza nel Paese o prima del loro arrivo. Detto ciò, l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per ragioni di povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e incapacità di difendersi”. Più chiaro di così, non è possibile.

Il secondo passaggio si trova al successivo paragrafo 6, in cui i temi di giustizia sociale diventano teologici. “I cristiani sanno molto bene che è solo affermando la dignità infinita di tutti che la nostra identità di persone e di comunità giunge a maturazione. L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che poco a poco si estendono ad altre persone e gruppi. In altre parole: la persona umana non è un mero individuo, relativamente espansivo, con qualche sentimento filantropico! La persona umana è un soggetto dotato di dignità che, attraverso la relazione costitutiva con tutti, specialmente con i più poveri, un po’ alla volta può maturare nella sua identità e vocazione. Il vero Ordo Amoris che occorre promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del “Buon Samaritano” (cf. Lc 10,25-37), ovvero meditando sull’amore che costruisce una fratellanza aperta a tutti, senza eccezioni”.

Il riferimento sul tema dell’ “amore cristiano” coinvolge un’affermazione del vicepresidente Usa J.D. Vance. Convertitosi al cattolicesimo nel 2019, aveva parlato dell’antico concetto teologico di Ordo Amoris per sostenere in un’intervista alla Fox News e in seguito sulla piattaforma di social media X che “ami la tua famiglia, poi ami il tuo vicino, poi ami la tua comunità, poi ami i tuoi concittadini nel tuo Paese. E poi, dopo, puoi concentrarti e dare priorità al resto del mondo”. Solenne smentita dal Papa, nel nome di una fratellanza senza gerarchie; il Papa, in quanto a cattolicesimo, dovrebbe avere le idee più chiare del vicepresidente. Del resto non è una novità che i “convertiti” assumano spesso posizioni rigide e conservatrici, secondo una personale interpretazione del cattolicesimo.

In effetti, i “convertiti” vengono o dal mondo protestante – negli Usa di stampo evangelical, con venature settarie e un’interpretazione letterale, fondamentalista, della Bibbia – oppure dall’agnosticismo. In ogni caso, nella cultura Usa generalmente protestante, con la separazione tra Stato e Chiesa sancita dalla Costituzione, i “convertiti” stentano a comprendere come nella Chiesa cattolica esista una Dottrina Sociale ben sviluppata. E del tutto contraria a quella “teologia della prosperità” protestante, appunto, secondo cui se sei ricco è perché Dio lo vuole e la povertà è colpa tua e condanna divina. Stentano a comprendere che non esiste una libera interpretazione della Bibbia e dei Vangeli, e tendono a ignorare la raffinata esegesi che colloca Antico e Nuovo Testamento nel contesto, rendendo impossibile una lettura letterale e fondamentalista dei testi. Insomma, bocciati su tutta la linea.

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Ma non finisce qui. Perché qualcosa, appunto, si muove, anzi si smuove all’interno del mondo cattolico statunitense. Sta emergendo l’idea che serva coerenza tra professione di fede e politiche pubbliche. Per capirci, ecco cosa ha detto Patricia McGuire, presidente della Trinity Washington University, al National Catholic Reporter, periodico di stampo progressista. “I politici cattolici come Vance – e altri cattolici nel governo, al Congresso o alla Corte Suprema – sono ipocriti quando affermano di essere ‘pro-life’ mentre celebrano la deportazione di massa di migranti e rifugiati, sollecitano un uso estensivo della pena di morte e sminuiscono le persone Lgbtq+ come indegne di protezione”. McGuire ha puntato l’attenzione verso quei preti e vescovi che si concentrano sull’aborto, escludendo altre questioni relative alla vita, notando che si tratta di un modo di “incoraggiare la politicizzazione della nostra fede tra i politici cattolici che abusano e distorcono gli insegnamenti cattolici per i propri tornaconti politici”.

Notevole passaggio, in un paese dove perfino i vescovi non fanno due più due e limitano la difesa della vita ai temi dell’aborto e dell’eutanasia, escludendo la pena di morte e il commercio ed il possesso delle armi. Rompere o quanto meno incrinare questo muro, sarebbe un passo avanti notevole e forse ora diventa possibile. In realtà, da posizioni largamente minoritarie, già da tempo ci stanno provando delle teologhe impegnate nel sociale, come Lisa Cahill, ad esempio, o Therese M. Lysaught, quando sottolineano che la politica sanitaria nazionale e di ogni Stato, così come è, vìola la Dottrina sociale, distribuendo cure e assistenza in maniera diseguale e ingiusta. Vista dalla prospettiva dei Pronto Soccorso, soprattutto nel week-end, quando arrivano adolescenti con ferite da arma da fuoco e imbottiti di droghe e alcool, si capisce che la tutela della salute è una sconosciuta emergenza nazionale. E un governo che si dice pronto a tutelare la vita, non dovrebbe restare silente o inerte o vederla a senso unico. E neppure la Chiesa dovrebbe solo limitarsi a tuonare contro aborto/eutanasia.

Insomma, qualcosa si muove. E Papa Francesco cerca di assecondare come può. Al termine della lettera inviata ai vescovi, chiede all’America di ricordarsi delle proprie origini e di se stessa. “Esorto tutti i fedeli della Chiesa cattolica, come anche tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a non cedere a narrative che discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati. Con carità e chiarezza siamo chiamati a vivere in solidarietà e fratellanza, a costruire ponti che ci avvicinino sempre più, a evitare muri di ignominia e a imparare a dare la nostra vita così come l’ha data Gesù Cristo per la salvezza di tutti”. Certo, sarebbe ora interessante capire cosa potrà accadere. Magari dopo la lettera, il Papa potrebbe riunirsi almeno con i vertici dell’episcopato, per vedere in concreto in che modo dare seguito a questo importante documento e impedire che venga considerato nella prospettiva di una sorta di frattura tra Chiesa e società. Di fronte ai problemi urgenti, oltre che scrivere, sarebbe importanti parlarsi e parlare di strategie e sinergie tra Vaticano e Chiesa locale.



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