Londra, i giudici sconfessano il Vaticano: «Mincione non frodò»


L’Alta corte d’Inghilterra e Galles ha emesso ieri la sua decisione nel procedimento legale avviato dal finanziere contro Oltretevere

ll giudice Robin Knowles, a nome dell’Alta corte d’Inghilterra e Galles, ha emesso ieri la sua decisione nel procedimento legale avviato dal finanziere Raffaele Mincione e dalle sue società contro la segreteria di Stato vaticana. In particolare sono state respinte le accuse di disonestà, frode e cospirazione che la stessa Segreteria aveva avanzato nei confronti di Mincione, nonché della WRM Capital Asset Management Sarl e del fondo lussemburghese Athena Capital. Al centro del processo l’operazione immobiliare che oltre dieci anni fa rappresentò un vero e proprio terremoto giudiziario per il Vaticano. Ma andiamo con ordine.

I fatti

Londra, quartiere esclusivo di Chelsea. È qui che sorge il palazzo al centro dello “scontro”. Siamo al civico 60 di Sloane Avenue: tra il 2011 e il 2012 la segreteria di Stato (erano i tempi di Benedetto XVI, ma anche del cardinale Angelo Becciu) decide di fare affari con Raffaele Mincione, non un imprenditore qualsiasi, ma un finanziere italo-londinese assai noto alle cronache perché all’epoca, attraverso fondi d’investimento controllati in Italia, Russia, Malta e Jersey, sta provando a scalare Banca Carige, di cui è arrivato a possedere il 7 per cento delle azioni.

A un certo punto però, se da un lato il Vaticano decide di acquistare l’intero palazzo, dall’altro sceglie di uscire dal fondo lussemburghese gestito da Mincione. Viene infatti firmato un accordo transattivo tra Santa sede e i gruppi del finanziere che con cui si perfeziona l’uscita: di fatto il Vaticano, attraverso nuove società londinesi, diventa proprietario di vari immobili di pregio (che prima vengono affidati a un gestore attraverso un contratto, poi gestiti direttamente con nuove società londinesi), mentre i fondi di Mincione restano unici azionisti degli altri investimenti fatti negli anni.

Per fare l’operazione di uscita, però, il Vaticano avrebbe chiesto denari allo Ior. Ed è in quel momento che i vertici della banca – poco felici di vedere i loro conti in gestione ridursi troppo – cominciano a volerci vedere chiaro. Dopo qualche mese dalla transazione, così, scatta la denuncia ai magistrati vaticani. Indagherà anche l’antiriciclaggio.

E il Vaticano, in questa vicenda, affermerà che il valore dell’edificio di 60 Sloane Avenue era stato gonfiato, che Mincione e gli attori avevano rappresentato il suo valore di mercato in maniera fraudolenta, che non c’era stata una vera e propria trattativa prima dell’operazione e che Mincione e soci erano membri strumentali di una cospirazione finalizzata a truffare il Vaticano e ad arricchire se stessi.

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La sentenza

Era davvero così? Venerdì, dopo aver ascoltato per diversi giorni le testimonianze di Mincione e di diversi altri dipendenti e dirigenti delle società coinvolte, la Commercial Court ha dato ragione allo stesso Mincione. E ha concesso quasi tutte le dichiarazioni richieste, respingendo come detto le gravi accuse di disonestà, frode, rappresentazione fraudolenta e cospirazione mosse dal Vaticano.

«Gli Attori beneficiano anche di una serie di conclusioni in questa sentenza, non oggetto delle dichiarazioni richieste, che respingono accuse molto gravi mosse contro di loro. In questa sede ho potuto e colto l’opportunità di trattare particolari accuse, tra cui quelle di disonestà e di cospirazione. Gli Attori hanno diritto a tali conclusioni in relazione a tali accuse», si legge per l’appunto nella sentenza.

Poi ecco il punto 28 della sentenza. Riguarda l’arcivescovo Edgar Peña Parra che, al tempo, prese parte alle trattative riguardanti l’immobile. Al religioso viene chiesto dai procuratori se fosse «stato onesto con il Credit Suisse» e se gli avesse «inviato una fattura falsa come se fosse vera». Così Peña Parra risponde: «Lei ha detto che non sono stato onesto. Lo accetto. Vorrei, Signor Giudice, ricordare, in modo molto umile, che io, sicuramente, sono responsabile di quello che ho fatto».

Mincione, a seguito di questo interrogatorio, ha denunciato Peña Parra in Svizzera per falsa fatturazione.

Nel frattempo la sentenza della Corte pare tuttavia essere stata accolta con giubilo dallo stesso Vaticano, nonché ripresa da gran parte della stampa. Perché giubilo? Perché la Corte ha riconosciuto «sulla base dei fatti emersi durante il processo, che i richiedenti non hanno rispettato gli standard di comunicazione con lo Stato (Segreteria di Stato, ndr) che potrebbero essere qualificati come una condotta in buona fede».

Per il resto la corte inglese afferma, in pratica, che nell’operazione immobiliare sul palazzo sito a Chealsea non ci sarebbe stata truffa.

Nella sentenza tra le altre cose si legge che la Corte «ha respinto l’affermazione del Vaticano secondo cui non c’è stata una vera e propria trattativa che ha portato all’operazione del 2018 o che particolari caratteristiche dell’operazione del 2018 dimostrano che non si tratta di un’operazione genuinamente negoziata; ha riconosciuto l’opinione del sig. Mincione secondo cui gli Attori, attraverso l’operazione del 2018, non stavano vendendo al Vaticano un edificio ma un progetto di riqualificazione».

Le dichiarazioni

Mincione ha così commentato la pronuncia dei giudici: «La sentenza emessa oggi dalla Commercial Court mi ha restituito la fiducia nella giustizia. Spero che questo riconoscimento mi restituisca la possibilità di essere ascoltato in maniera imparziale e senza pregiudizi. Sono molto orgoglioso di essere un cittadino britannico e di far parte di un Paese in cui prevalgono la giustizia e il giusto processo. È un sollievo che, dopo anni in cui sono stato ingiustamente accusato dal Vaticano di aver rubato il suo denaro, la Commercial Court inglese abbia respinto in toto la tesi del Vaticano secondo cui io, il fondo Athena Capital o WRM Group siamo stati disonesti per perpetrare una frode o abbiamo fatto parte di una cospirazione in relazione alla trattativa e alla vendita dell’edificio 60 Sloane Avenue nel 2018».

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