Il complesso commerciale all’angolo tra via del Lido e la strada statale Pontina è viziato da una serie di illeciti edilizi che configurano la lottizzazione abusiva, ma secondo i giudici del Tribunale del Riesame di Latina non sussistono i presupposti per confermare il sequestro. Insomma, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito in maniera chiara che quello realizzato nel quartiere Q3 è un centro commerciale mascherato illecitamente in tre distinte medie superfici di vendita indipendenti, ma le attività possono continuare a lavorare. Con una rocambolesca motivazione, il collegio giudicante ha salvato il sito oggetto di una discussa variante, annullando il decreto con il quale il giudice per l’indagine preliminare Pierpaolo Bortone, poco più di un anno fa, aveva disposto il sequestro preventivo.
Nel frattempo l’inchiesta si è conclusa e i quattro principali indagati, al netto delle responsabilità politiche impresse dall’allora giunta municipale (risparmiate all’allora giunta con la frettolosa archiviazione della prima inchiesta), sono stati rinviati a giudizio, vale a dire Luigi Corica, amministratore della società Latina Green Building che ha proposto la variante, l’architetto Viviana Agnani che ha curato il progetto, ma anche i tecnici comunali coinvolti, ossia l’allora dirigente del Suap, Stefano Gargano, e il funzionario responsabile del procedimento, Mario Petroccione, ma non si era ancora chiusa la partita in essere sulla tenuta delle misure cautelari reali, perché se inizialmente il Tribunale del Riesame aveva annullato il sequestro, letteralmente smontando il quadro indiziario, il sostituto procuratore Giuseppe Miliano aveva proposto il ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, ottenendo l’annullamento della prima decisione e una nuova valutazione da parte di un altro collegio del Riesame. Gli “ermellini” non solo avevano dato ragione al pubblico ministero, ma hanno sottolineato la sussistenza di tutti gli illeciti ravvisati dall’indagine dei carabinieri del Nipaaf del Gruppo Forestale di Latina. Insomma, il collegio dei giudici chiamato a valutare nuovamente la legittimità del sequestro ha preso atto della pronuncia della Cassazione.
«Come evidenziato dalla Corte di Cassazione, tutte le unità immobiliari sono poste all’interno di una struttura funzionalmente unitaria articolata lungo un percorso pedonale di accesso al comune sul quale si affacciano, configurandosi come un insieme unitario della offerta commerciale e dei servizi connessi, organizzato in superfici coperte e a cielo aperto, presentandosi all’utente come quadro integrato d’insieme unitariamente fruibile – si legge nell’ordinanza del Riesame depositata ieri – E l’unitarietà della progettazione riguarda anche il sistema di parcheggio, la viabilità carrabile e l’accessibilità pedonale che presentano caratteristiche di beni comuni richiedenti una gestione unitaria assimilabile a quella condominiale, che non appare venir meno solo in ragione di una intestazione diversificata delle utenze. La mera delimitazione numerica dei parcheggi per ciascun esercizio commerciale non elide la sostanziale unicità dell’area destinata a parcheggio, non risultando delimitato fisicamente l’accesso e la mobilità tra le aree di riferimento».
Oltretutto il centro commerciale invade la fascia di rispetto della statale Pontina che prevede il vincolo di inedificabilità, e come se non bastasse per la realizzazione del parcheggio è stata inclusa anche una particella la cui destinazione è rimasta verde pubblico. A tutto questo si aggiunge che gli accessi carrabili individuati su via Ferrazza, la complanare della Pontina, non sono regolari, quindi non sono mai stati autorizzati, mentre gli altri due ingressi aggiuntivi all’unico autorizzato, non solo non sono legittimati, ma «insistono su proprietà privata di terzi destinata a verde pubblico e non risulta acquisito alcun nulla osta da parte dei terzi» evidenziano i giudici.
Insomma, appare evidente che il centro commerciale sia viziato da una lunga serie di illeciti, quindi sussiste il fumus dei reati in contestazione, ma secondo il collegio del Tribunale del Riesame non viene «compiutamente individuato il presupposto del periculum in mora» che poi è l’unico aspetto non analizzato dalla Corte di Cassazione. «Alla luce degli atti acquisiti, non risultano in concreto elementi per affermare l’esistenza di un effettivo e serio aggravamento del carico urbanistico idoneo a fondare l’attualità del periculum in mora rispetto all’opera realizzata e ormai ultimata» valutano infine i giudici.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link