Si sono appena concluse le aste per i nuovi buoni del tesoro ad alto rendimento, emessi specificamente per i piccoli investitori. Si gioisce per i rendimenti record, ma sono costi che dovrà pagare lo Stato
Si è appena conclusa la finestra per acquistare titoli di stato retail, ossia destinati ai cittadini che non hanno un profilo da investitore professionale o quantomeno esperto. Queste emissioni straordinarie sono diventate sempre più frequenti negli ultimi anni e hanno l’obiettivo sia di fornire uno strumento abbastanza sicuro per i risparmiatori poco avvezzi al rischio, sia di riportare il debito pubblico in mano italiane, favorendo l’acquisto da parte dei nostri cittadini.
Btp: nuovo debito pubblico
I titoli di giornale hanno annunciato questa nuova emissione con grande entusiasmo, sottolineando il livello piuttosto elevato dei rendimenti, raccontando i benefici di questi buoni per i cittadini e sottolineando il grande recupero di risorse da parte dello Stato. Bisognerebbe però contestualizzare meglio la situazione e spiegare innanzitutto cosa sono questi Btp Più: nuovo debito pubblico.
“Titolo di stato” è il nome con cui chiamiamo le obbligazioni emesse da paesi sovrani. Un’obbligazione è uno strumento finanziario che funziona in modo molto semplice. Immaginiamo che un’impresa abbia bisogno di mille euro. Può decidere di ottenerli andando in una banca, contrattando un finanziamento e ottenendo un tasso di interesse. Anziché andare alla banca, però, potrebbe decidere di chiedere quei soldi in prestito a più creditori diversi.
Per esempio, potrebbe trovare dieci persone e chiedere a ciascuna cento euro. Per farlo, le basta stampare dieci fogli (le obbligazioni) in cui si scrive che l’azienda riceverà cento euro subito e li restituirà dopo un certo periodo di tempo, pagando anche un interesse. Lo Stato fa la stessa cosa (ovviamente con cifre molto più alte): vende a cittadini, imprese e istituzioni finanziarie una promessa di rimborso del prezzo pagato (in questo caso, quello per il Btp Più), più una certa dose di interessi. Per il Btp Più, il tasso dovrebbe essere intorno al 3 per cento per i primi quattro anni e poco sotto il 4 per cento per altrettanto tempo.
Come abbiamo detto, il Btp Più nello specifico è stato ideato per essere venduto ai piccoli investitori, sia per aiutarli a investire, sia per incentivare il debito pubblico in mani italiane. La ragione di questa seconda parte è abbastanza ovvia: è meglio prendere a prestito da qualcuno che ha a cuore la situazione del paese, come un cittadino che ci abita, piuttosto che da un individuo o un’istituzione straniera che persegue interessi diversi, un po’ come preferiamo chiedere soldi a prestito a un amico o a un familiare piuttosto che a un estraneo.
Già da questo ragionamento, però, nasce un primo problema: il ragionamento è valido a parità di condizioni, ma preferiremmo prendere a prestito da nostro zio se il tasso di interesse fosse il doppio rispetto a quello offerto da una banca? Nel caso dei Btp la differenza non è così rilevante, ma conta. E molto: come sottolinea l’Osservatorio sui conti pubblici italiani diretto da Massimo Bordignon, dal 2012 a oggi, le varie forme di Btp retail ci hanno fatto spendere 15,3 miliardi in più in interessi sul debito pubblico. Oltre un miliardo in più per ogni anno.
Il fatto che questo tipo di emissioni abbiano un costo non significa necessariamente che non convengano, ma è importante capire se i risultati sperati sono stati raggiunti. Da questo punto di vista, i risultati non sono del tutto incoraggianti: solo il 13,7 per cento del debito pubblico è detenuto da famiglie e istituzioni non finanziarie italiane. Una quota che è più che raddoppiata dal 2019 a oggi, ma che non è neanche lontanamente sufficiente ad avere un “controllo” sul debito in caso di sfiducia dei mercati.
Ma perché è così importante che il debito sia in mani italiane? L’idea è che sia più difficile essere colpiti da un attacco speculativo da parte di investitori retail, ma questo vuol dire anche esporre maggiormente le famiglie alle crisi finanziarie: se crolla la fiducia verso il debito pubblico italiano, il valore dei titoli di stato crolla e questo porta a un grosso danno per il patrimonio di chi ha investito in Btp, che siano retail o meno.
Aiuto di stato
Un ultimo fattore da tenere in considerazione è il fatto che questi incentivi costituiscano di fatto un sussidio: quando pensiamo a un sussidio, ci immaginiamo una qualche forma diretta di aiuto dallo stato, come un assegno di disoccupazione. In realtà, anche offrire condizioni privilegiate corrisponde a un sussidio, dato che lo Stato spende di più o incassa meno con l’obiettivo di far pagare meno o incassare di più ai propri cittadini.
Da questo punto di vista, i sussidi per i Btp sono moltissimi, a partire dalla tassazione agevolata sui rendimenti (al 12,5 per cento anziché al 26) e all’esenzione dei Btp fino a 50mila euro dal calcolo dell’Isee. I Btp retail, inoltre, offrono un’ulteriore agevolazione sul tasso di interesse, un po’ più alto rispetto ai normali titoli di stato. Considerando che a investire sono soprattutto le famiglie più abbienti, si tratta di molte misure di sostegno che rischiano di essere regressive.
Insomma, è giusto raccontare e celebrare la voglia di investire delle famiglie italiane, ma forse sarebbe il caso di ricordare che questi investimenti vengono fatti sulla pelle dei contribuenti. Per avere un paese davvero alfabetizzato dal punto di vista finanziario, bisognerà prima o poi togliere le rotelle ai cittadini e insegnare loro ad andare in bici da soli.
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