L’economia tedesca è in recessione, la Germania nel 2024 ha visto una riduzione del PIL per il secondo anno consecutivo. Molte industrie sono in crisi, il livello di povertà è aumentato. Le infrastrutture: trasporti pubblici, scuole, strade, ospedali per i quali la Germania era una volta famosa non sono più quelli di un tempo; inoltre anche il livello di criminalità è fortemente aumentato negli ultimi anni e molte città ed anche parchi sono diventati insicuri soprattutto per le donne e gli attentati di matrice islamica sono sempre più frequenti.
Sul banco degli imputati le politiche seguite negli ultimi 20 anni, in particolare la decisione della cancelliera Angela Merkel di aprire incondizionatamente le frontiere per motivi umanitari alla massa di migranti, molti anche privi di documenti, che nel 2015 premeva alle sue frontiere e non aver poi deciso almeno il rimpatrio immediato dei migranti responsabili di reati. D’altra parte la Germania è sempre più un paese d’immigrazione: oggi la sua popolazione per ben il 30% ha origine migratorie (cioè nata all’estero o con almeno un genitore non nato in Germania).
Se prima la netta maggioranza era di migranti con origini europee (sono quasi un milione gli italiani e quasi un milione e mezzo i russi anche se singolarmente il numero maggiore è da decenni costituito dai turchi e curdi), ora la maggioranza proviene da Paesi africani e asiatici compresi e con una forte presenza islamica.
A differenza di quanto auspicato dalle famose parole della Merkel «Ce la faremo», l’integrazione dei nuovi immigrati islamici non si può dire riuscita come d’altra parte sosteneva anche l’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schimdt, secondo il quale solo gli immigrati europei potevano ben integrarsi nella società tedesca, mentre perfino per i turchi ciò era difficile. Il forte aumento della criminalità ha portato al successo della nuova destra «sovranista» di Alternative für Deutschland (AFD) che ha sempre chiesto l’immediata espulsione dei migranti responsabili di reato e di tutti quelli irregolari.
Per la crisi economica negative sono state le politiche cosiddette “verdi”, ma soprattutto la decisione di accettare al 100% le richieste dell’amministrazione Biden di sostegno all’Ucraina e di sanzioni alla Russia pregiudicando i legami economici e commerciali con essa che erano decisivi per il successo dell’economia tedesca, soprattutto le forniture energetiche, in particolare di gas russo a basso prezzo.
Clamoroso il tacito assenso del cancelliere Scholz dinanzi alle dichiarazioni di Biden, il quale aveva affermato che se la Russia avesse invaso l’Ucraina non sarebbe più esistito il gasdotto North Stream 2, in parte di proprietà del governo tedesco e gli USA avevano i mezzi per eliminarlo. Una politica portata avanti da tutto l’establishment mediatico e politico tedesco e dalla Commissione europea a guida tedesca con un fervore e una propaganda antirussa che alcuni hanno perfino paragonato a quella di Goebbels, con gli ex pacifisti verdi i più accesi, tanto che il loro ministro degli Esteri, Annelise Baerbock, è stata definita dal grande economista americano Jeffrey Sachs come “ministro della guerra”, totalmente incapace di qualsiasi pensiero di diplomazia.
È nota per le sue dichiarazioni stravaganti (“si è in guerra con la Russia e a me non importa se gli elettori tedeschi siano contrari agli aiuti militari all’Ucraina, perché bisogna assolutamente sconfiggere Putin”). Una politica anti russa, questa, totalmente in contrasto con la storia e gli interessi della Germania. Nella sua storia, la Germania per avere successo ha infatti sempre avuto bisogno dell’intesa se non dell’amicizia della Russia; essa fu decisiva per le cosiddette guerre tedesche di liberazione dal dominio napoleonico, poi per l’unificazione della Germania sotto Bismarck nel 1871.
Infine per la riunificazione del 1990 che non sarebbe avvenuta senza la politica di Gorbaciov , il quale acconsentì perfino alla sua adesione alla Nato in cambio delle promesse che l’Urss sarebbe stata aiutata finanziariamente, compresa nella nuova struttura di sicurezza europea e soprattutto che la Nato non si sarebbe espansa di un centimetro ad Est.
Viceversa, quando Russia e Germania sono state nemiche ciò è sempre stata una catastrofe per la Germania come nella Prima e ancor di più nella Seconda guerra mondiale, quando Hitler intraprese una guerra di sterminio contro l’Unione Sovietica che terminò con la distruzione del Reich tedesco e con le forze sovietiche a Berlino, sia pur al prezzo di quasi 30 milioni di vittime sovietiche.
Come in tutta Europa, un volta anche in Germania le sinistre erano pacifiste e favorevoli al dialogo e alla distensione con l’Unione Sovietica durante la guerra fredda: il cancelliere socialdemocratico Willy Brandt attuò, nonostante il malumore Usa, una politica di grande distensione e di accordi con l’Unione Sovietica e l’allora blocco orientale poi sostanzialmente proseguita dai successori democristiani, mentre i Verdi tedeschi allora cosiddetti ecologici-pacifisti organizzavano manifestazioni con milioni di persone contro lo stazionamento dei missili della Nato in Europa nei primi anni ’80.
Il socialdemocratico Gerhard Schröder, cancelliere dal 1998 al 2005 favorì il successo economico tedesco portando all’apice la politica di collaborazione con la Russia. Favorì la costruzione dei gasdotti che collegavano direttamente la Russia con la Germania attraverso il mar Baltico senza passare per l’Ucraina e la Polonia. Condannò fortemente l’invasione Usa dell’Irak. Schröder di famiglia umilissima (non aveva praticamente conosciuto il padre caduto sul fronte russo quando egli non aveva nemmeno un anno di vita) riteneva fondamentale la riconciliazione con la Russia, così come vi era stata quella con la Francia e con Israele.
Adottò perfino due bambini orfani russi e poi, lasciato il governo, accettò su insistenze russe di assumere una carica dirigenziale nel consorzio del North Stream affermando di farlo per curare gli interessi della Germania e degli azionisti tedeschi. In realtà proprio le politiche di Schröder – come la riduzione dei benefici dello Stato sociale tedesco diventati troppo alti per il bilancio e che gli costarono la defezione dell’ex leader socialdemocratico Oskar Lafontaine – sarebbero state fondamentali per il successo di Angela Merkel.
La nuova cancelleria venuta dall’ex Repubblica Democratica Tedesca (DDR) avrebbe attuato un politica più mediatrice, ma anche opportunista: infatti da un lato avrebbe continuato a sostenere il progetto North Stream nonostante le proteste degli Stati Uniti che controllarono segretamente il suo cellulare come avevano fatto anche con Schröder, dall’altro appoggiò la politica dell’UE contro il presidente ucraino neutralista Yanukovich e condannò fortemente l’annessione russa della Crimea e appoggiò le conseguenti sanzioni.
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel clima d’isteria anti russa anche la Merkel è stata fortemente criticata per la sua politica verso la Russia, mentre Schröder per poco non è stato espulso dal partito socialdemocratico ed ha dovuto lasciare tutti gli incarichi che ricopriva nelle società anche russe legate al Nord Stream.
In Germania, ancora più che in altri Paesi occidentali, si è cercato di emarginare o addirittura di vietare voci contrarie alla propaganda mainstream contro la Russia Voci ragionevoli provenienti soprattutto dall’AfD , da alcuni esponenti di sinistra e da diversi intellettuali. Sahra Wagenknecht, pacifista ex post-comunista è stata da molti assurdamente definita rossobruna, cioè nazicomunista. Tutti i partiti dell’establishment vorrebbero vietare l’AfD.
Contrariamente ai regolamenti parlamentari, hanno negato a quel partito le previste vicepresidenze nei parlamenti nazionali e locali. La rivista all’AfD più vicina, “Compact”, è stata sequestrata e vietata dal governo tedesco, decisione poi annullata dalla Corte d’appello amministrativa: ha stabilito che il governo per vietare “Compact” potrebbe basarsi solo su una eventuale condanna a seguito di un regolare procedimento giudiziario.
In realtà dopo gli orrori e la catastrofe dell’estremo razzismo e nazionalismo nazista, in Germania è reato penale la ricostituzione di qualsiasi partito che possa ispirarsi ad esso. In particolare dagli anni ’70 in poi, è sospetto addirittura il solo dichiararsi patrioti tedeschi. Anche l’allora leader della destra democristiana tedesca e candidato alla cancelleria nel 1980, Franz-Joseph Strauß, fu definito in quell’occasione dagli avversari politici un pericolo per la democrazia, i suoi comizi duramente contestati e in alcuni casi, come oggi per le manifestazioni dell’AfD, fu necessaria la protezione della polizia.
Bisogna anche dire che in Germania, oltre al terrorismo di matrice fondamentalista islamica, c’è stato anche un recente terrorismo di stampo neonazista, in particolare della cellula terroristica NSU, responsabile dell’uccisione di 10 turchi tra il 2001 e il 2006. Nel 2019 venne ucciso Walter Lübke, deputato democristiano dell’Assia, per aver dichiarato nel 2015 che chi non si riconosceva nei valori di accoglienza e umanità per i migranti era libero di lasciare la Germania.
Tuttavia l’AfD non è un partito neonazista: è stata fondata da accademici ex iscritti per decenni alla Cdu ostili alla politica economica della Merkel, alla svolta a sinistra da lei impressa al partito e poi all’apertura delle frontiere. L’AfD non ha nemmeno il cosiddetto Führerprinzip, cioè il dogma del capo indiscusso che è alla base di qualsiasi partito di tipo fascista. Il suo primo leader, il professore ex democristiano Bernd Luke, non fu riconfermato come leader e lasciò il partito con altri suoi seguaci accusandolo di essere diventato estremista.
Tuttavia, il suo principale avversario era Alexander Gauland, giurista e storico, autore di numerose Pubblicazioni, anche lui un ex democristiano di destra e per la verità l’unico ad aver occupato, in Assia, cariche di rilievo. Stessa sorte per Frauke Petry, una chimica successore di Luke, è stata sfiduciata e ha lasciato il partito.
Da allora l’AfD ha non un leader, ma due co-leader, attualmente l’ex iscritto democristiano Tino Chrupalla e la economista Alice Weidel, anch’essa in passato vicina ai democristiani e ora candidata del partito alla cancelleria federale. Quest’ultima, in quanto lesbica e convivente da anni con una campagna asiatica originaria dello Sri Lanka, è molto difficilmente accostabile ad un leader nazista. D’altra parte l’AfD è l’unico partito tedesco completamente favorevole a Trump, alle sue strategie per la pace in Ucraina e in Medio Oriente, per la sua politica anti-immigrati illegali.
L’attuale presidente Usa è stato duramente attaccato dall’establishment politico e mediatico tedesco e dalla stessa Angela Merkel nelle sue recentissime memorie, nelle quali non nasconde la sua forte ostilità verso Trump, la sua stima per Hillary Clinton e i democratici americani e si augurava “con tutto il cuore” la vittoria di Kamala Harris. Ciò spiega il sorprendente forte appoggio dato da Elon Musk all’AfD ed anche i gravi rimproveri del vicepresidente J.D.Vance ai governi europei e all’Ue per censurare la libertà di parola e i partiti sgraditi.
Sahra Wagenknecht ha detto che Vance ha assolutamente ragione e che non avrebbe mai creduto che, come nella DDR, un ministro in carica, in questo caso quello dell’Economia e leader dei Verdi, Habeck, mandasse la polizia in casa di gente colpevole solo di averlo definito un “ritardato mentale” sui social. Nonostante Vance abbia incontrato Alice Weidel ed esortato la Cdu-Csu a costituire un governo con l’AfD, ciò si può escludere.
Infatti, l’attuale leader della Cdu-Csu Friedrich Merz, già per anni responsabile della sezione tedesca del colosso finanziario americano BlackRock, è ostile alla Russia e favorevole a continuare ad armare l’Ucraina più di quanto lo sia il cancelliere Scholz.
*professore ordinario di storia delle relazioni internazionali all’Università della Campania, Luigi Vanvitelli
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