Al Cpac arriva il tycoon: ringraziamenti a tutti, ma non cita l’Italia


Più di tutti Milei, poi Duda, Fico, Nigel Farage, tutte le «fantastiche persone» intervenute al Cpac da paesi esterni agli Usa. Trump cita chiunque tranne Giorgia Meloni che pure era intervenuta poco prima di lui alla Convention. Che il suo problema sia stata la titubanza della premier italiana a partecipare al raduno apertamente neofascista? O le poche parole obbligate pronunciate sull’invasione dell’Ucraina? Per il resto è stato il solito comizio elettorale di colui che ormai è il presidente: deportazioni di massa, attacchi alla comunità Lgbtq, ai media, perfino alla sua rivale Kamala Harris scomparsa dopo le elezioni, crisi rabbiose per i sondaggi di questi giorni che evidenziano uno scarso gradimento delle sue politiche. Gli speaker che lo avevano preceduto oltre a Meloni – lo “zar” del confine Tom Homan e la rappresentante all’Onu Elise Stefanik – avevano già impiegato le parole chiave del canovaccio del regime: «L’elezione più importante di sempre», «il mandato» popolare «per salvare l’America». Sull’Ucraina non potrebbe essere più chiaro: «Devono darci qualcosa in cambio» per gli aiuti ricevuti dall’amministrazione precedente. È un problema che riguarda l’Europa – «non noi».

L’immagine confezionata per rimanere impressa sulle retine di questo Cpac è però quella di Elon Musk che illustra, motosega in mano, la sua filosofia di governance: affettare lo stato sociale e gettare quello di diritto, come afferma con apparente passione per le attrezzature agricole, nel tritalegno. La «decostruzione dello stato ammnistrativo» nell’eufemistica formulazione del programma Project 2025 che guida il secondo mandato Trump, prevede di ridurre gli impiegati pubblici da 2,4 milioni a 20.000 scelti esclusivamente fra soggetti «leal» al presidente e la sua agenda politica.

Tutto nel segno di efficientismo aziendale che supera le più radicali ambizioni di stato minimo che animano i conservatori. E tutto predicato sul «risanamento» di un bilancio che promette invece essere schiantato dai regali fiscali a ricchi e aziende.
E devastante sarà probabilmente anche l’effetto di un bagno di sangue destinato a produrre milioni di disoccupati. È difficile tenere il passo con gli esoneri ma le stime parlano di oltre 300.000 impiegati messi alla porta ad oggi. Nella trituratrice di Musk sono finiti gli organici di dozzine di ministeri ed agenzie. Alcune, come la Usaid (cooperazione internazionale) sono state chiuse d’ufficio (il ministero per l’istruzione potrebbe seguire a breve), in altri dicasteri le purghe procedono per licenziamenti di massa, previo breve colloquio di umiliazione o per via sommaria, mediante posta elettronica. Le fila degli esodati si ingrossano giorno per giorno: poste, esteri, interni, parchi nazionali, Noaa (meteorologia e clima), energia (dove nella foga sono stati licenziati «per sbaglio» anche gli addetti alla manutenzione operativa dei silos nucleari poi riassunti d’emergenza). Nel mirino poi c’è l’intero impianto sanitario e di ricerca, Nih e Cdc, e di regolamentazione alimentare (Fda). La Faa (aviazione) eliminati centinaia di impiegati, compresi ispettori e tecnici delle torri di controllo, nel mezzo di una serie di inquietanti incidenti aerei. L’Irs, l’agenza delle entrate, è stata decimata nel mezzo della stagione delle dichiarazioni dei redditi.

L’operazione, propedeutica a una presidenza imperiale in cui l’apparato statale è sotto stretto controllo della Casa bianca è di dubbia costituzionalità, dato che aggira il ruolo di controllo del Parlamento. Certamente è illegale nel metodo, affidato ad un privato cittadino (Musk) non eletto né ratificato dal Congresso e con un mastodontico conflitto di interessi legato agli appalti governativi delle sue aziende. Sono le motivazioni di dozzine di ricorsi presentati a tribunali federali i cui tempi e metodi stentano però a tenere il passo. Questa settimana un giudice di Washington ha respinto una prima istanza legale dei lavoratori indicando come foro adatto l’iter sindacale. Allo stesso tempo i licenziamenti hanno paralizzato la Nlrb, l’agenzia che dirime contenziosi del lavoro, profilando, nel caos, un crudele Comma 22.

Se i giudici per ora sono stati inefficaci il Congresso dimostra un’ignavia paralizzante. Nel vuoto di leadership di un’opposizione democratica che continua ad apparire smarrita, si sono registrati i primi segni di insofferenza in alcune assemblee pubbliche dove la gente ha reclamato dai parlamentari (democratici e repubblicani) un’azione più incisiva contro una scure che sembra avvicinarsi inesorabilmente anche a sanità e pensioni – i cardini del welfare rooseveltiano che da un secolo assicura una rete sociale ad anziani e soggetti deboli.

Al catalogo del downsizing si è aggiunto venerdì il Pentagono dove sono partiti i primi 5000 congedi. Fra gli esonerati, personale ordinario del ministro della difesa ma anche vertici come il capo di stato maggiore Charles Q Brown e Lisa Franchetti, prima ammiraglia al vertice della Marina, due teste simboliche del presunto favoritismo Dei(politiche di pari opportunità) che a detta del ministro della difesa Pete Hegseth avrebbero «avvelenato» i ranghi.
Oltre al trasparente razzismo e sessismo, gli esoneri prospettano il progetto di trasformare l’esercito agnostico in forza pretoriana fedele a presidente uno sviluppo inquietante per le possibili future implicazioni.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Decimato infine anche l’apparato normativo e per le emergenze, rappresentato da agenzie come la Epa (norme ambientali) e Fema (protezione civile). Emblematica, oltre ai licenziamenti in entrambe, la posizione presa da quest’ultima sul monitoraggio e bonifica ambientale. Il nuovo amministratore Fema Curtis Brown ha comunicato alle autorità californiane che l’amministrazione Trump non assisterà nelle analisi dei detriti tossici lasciati dagli incendi di Los Angeles. Una procedura, ha affermato Brown, che il governo ritiene «tediosa» e «inefficiente».



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