La ricerca di ISMU per comprendere le migrazioni – Education 2.0


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Il quadro delle presenze

Fondazione ISMU ETS – Iniziative e Studi sulla Multietnicità – è al servizio della collettività, dei decisori politici e dei diversi attori con l’annuale Rapporto sulle migrazioni in Italia, che descrive, analizza scientificamente e interpreta la complessità del fenomeno migratorio e dei processi di inclusione.

E’ appena stato presentato il 30° Rapporto 2024, a distanza di tre decenni dalla pubblicazione del Primo, frutto di una meravigliosa intuizione del prof. Vincenzo Cesareo, a cui è seguito un sistematico monitoraggio orientato a cogliere tendenze o regolarità di lungo periodo, o al contrario elementi di discontinuità delle diverse fasi.

Trenta anni fa erano 700 mila gli stranieri di prima generazione presenti in Italia, oggi il dato ammonta a 5,8 milioni (anche seconde generazioni e discendenti), attratti maggiormente dal centro-nord, mentre il fenomeno al sud è più contenuto, meno stabile e radicato sul territorio, al punto che si può parlare di “due Italie della migrazione”.

Questo dato presenta una moderata contrazione (-0,3%), in linea con una tendenza al ribasso che è proseguita ininterrottamente dal 2019: sono in flessione sia gli arrivi via mare, che via terra, sia dall’Ucraina. Il calo riguarda gli irregolari e è connesso anche con la crescente transizione alla cittadinanza italiana, con conseguente migrazione statistica. Continua la generale tendenza al consolidamento della componente lungo residente.

Non si tratta di un fenomeno di emergenza, come spesso appare dall’allarmismo sociale dell’agenda mediatica, ma di una quantità considerevole di persone integrate, che col tempo hanno ottenuto anche la cittadinanza.

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Saldo e stralcio

 

E’ doveroso non trascurare che dal 2014 l’apporto è insufficiente a bilanciare il saldo naturale negativo: anche se gli stranieri fanno più figli, le nascite risentono tuttavia dei fattori che deprimono la fertilità italiana e il piccolo baby boom  dei decenni passati è ormai finito.

Dell’importanza di una politica migratoria attiva e sostenibile per contrastare il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione in Italia – con il rischio di dimezzamento della popolazione entro il 2100 – e della necessità di integrazione degli immigrati e sostegno alle generazioni nate in Italia ho già scritto per Education 2.0 a proposito della sfida demografica in Italia.

La scuola come osservatorio delle trasformazioni multiculturali

La serie storica delle presenze di alunni con CNI (cittadinanza non italiana) nell’arco dell’ultimo trentennio ha inizio con una fase di avvio in cui il dato relativo all’a.s. 1997/98 ammonta a 70mila presenze e l’incidenza percentuale non raggiunge l’1%.

Nei quindici anni successivi il dato è decuplicato – oltre 700.000 unità (8% della popolazione scolastica totale) e la fase di accelerazione esponenziale è durata fino al 2012/13, registrando anno dopo anno un aumento netto e veloce.

E’ poi seguita una fase di stasi fino al 2019/20, che ha portato la percentuale media di studenti di origine immigrata  a oscillare tra 9 e 10 su 100 durante tutto il periodo. Nella fase attuale si registra per la prima volta il “segno meno”, eccezion fatta per il significativo inserimento scolastico dei profughi ucraini nel 2022/23. Se infatti il peso percentuale degli stranieri è ancora in espansione nelle scuole secondarie di secondo grado, è netta la riduzione nelle scuole primarie.

La Lombardia accoglie un quarto degli alunni con CNI sul totale in Italia, seguita a distanza da Emilia Romagna, Veneto, Lazio e Piemonte. La percentuale più alta in rapporto alla popolazione scolastica regionale spetta all’Emilia Romania con il 18,4 ogni 100 iscritti nelle scuole di diverso ordine e grado contro il 17,1% della Lombardia.

Altro trend che merita attenzione è la progressiva diminuzione delle scuole senza allievi con CNI (dal 43% del 2002/03 al 15,5% del 2022/23), accanto all’aumento di quelle caratterizzate da una percentuale di alunni di origine immigrata inferiore al 30% (dal 56,9% al 73,3%).

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E se nel 2002/03 le scuole con oltre il 30% di alunni con CNI erano inesistenti, nella rilevazione attuale si attestano al 7,9% del totale delle scuole italiane. Questo ultimo dato, che evidenzia la concentrazione in un numero limitato di scuole di molteplici svantaggi connessi alla fragilità dell’utenza e del background familiare, merita un’attenzione particolare.

Così come il caso “estremo” dei minori stranieri non accompagnati (MSNA), che mostra come, all’interno del campione di circa 3.400 MSNA censiti sul territorio italiano tra il 2020 e il 2022, solo 1 minore su 5 ha avuto accesso a percorsi del sistema scolastico italiano che offrono la possibilità di acquisire un titolo di studio. Anche considerando i corsi di primo e secondo livello attivati per un’utenza adulta dai CPIA, solo il 18% del campione risulta inserito. Appare evidente, pertanto, che la maggioranza riesce a frequentare corsi di alfabetizzazione in lingua italiana prevalentemente presso il centro di accoglienza in cui vive, in un ambiente formativo segregato con soli MSNA. Né è trascurabile il dato della quota di MSNA non coinvolti in alcuna attività educativo-formativa, stimata pari al 6%.

Vale la pena in proposito evidenziare lo studio ECRI di ISMU, citato dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa per formulare la propria raccomandazione: Le autorità dovrebbero adottare misure volte ad incrementare il sostegno ai bambini con background migratorio nel campo dell’istruzione, in particolare garantendo un numero sufficiente di posti nelle scuole situate vicino ai centri di accoglienza e ad altri luoghi di residenza degli stranieri, nonché disposizioni adeguate che consentano ai bambini di recarsi a scuola (ECRI , 2024:6).

Tra gli indicatori di grave disparità non va dimenticato quello del ritardo scolastico di un anno o più degli alunni con CNI, che pur essendosi ridotto rispetto alle prime rilevazioni del 2005/06, rimane ancora pari al 48%, con incidenza particolare nelle secondarie di secondo grado.

Anche i dati INVALSI, che isolano il peso sugli esiti associato al background migratorio, confermano il permanere di un esito più basso in italiano, anche nelle seconde generazioni.

Tra i dati positivi che emergono dalla rilevazione INVALSI è da segnalare, invece, l’influenza positiva del background migratorio sulle competenze in lingua inglese.

Le riflessioni conclusive della sezione del Rapporto dedicato alla scuola[1] citano due testi recenti che richiamano l’attenzione sulle nuove generazioni appartenenti a minoranze politicamente razzializzate o etnicizzate e sui docenti. Il primo fotografa le seconde e terze generazioni di ragazzi e ragazze italiani con background migratorio, che rivendicano sempre più il loro protagonismo e la possibilità di essere visti e valorizzati nella scuola per quello che sono[2] . Il secondo esprime una raccomandazione a quegli insegnanti old style, che non vedono la ricchezza identitaria dei “nuovi”, a lasciarsi alle spalle pregiudizi bianco centrici e eurocentrici, a svecchiarsi e aprire gli occhi[3].

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La chiave di lettura di Paolo Giordano

Lo scrittore Paolo Giordano racconta di essere stato invitato nel giugno scorso da Emergency a partecipare a una missione in mare sulla Life support, una delle navi che dal 2022 si occupa del salvataggio dei migranti nel Mediterraneo. Accetta l’invito e si imbarca a Augusta con la Missione n. 20, che soccorre in mare quarantasette naufraghi a bordo di un gommone, che non sarebbe stato in grado di navigare ancora a lungo.

Giordano partecipa alla vita della nave con i compiti operativi che gli vengono affidati e seduto a poppa, in mare aperto, raccoglie gli appunti per realizzare “In viaggio non pregare”, un podcast di Chora media per Emergency. Lo spazio dell’osservazione e del racconto senza pregiudizi del fenomeno migratorio gli era sembrato fino a quel momento inaccessibile e nel podcast racconta i migranti per la prima volta, con tutta la difficoltà che si incontra nel trattare un argomento carico di retorica buonista o antiretorica crudele.

Nel podcast c’è qualcosa che libera dal peso della saturazione delle immagini dei barconi e mette in ascolto dello svolgersi della missione nel suo funzionamento, consente di assistervi. Giordano trova narrazioni alternative desaturate rispetto a quelle dei telegiornali e dei talk show.

L’immersione nell’esperienza diretta di sofferenza, di pericolo e di cura dei corpi dei naufraghi – l’esserci – colloca in una sorta di incantesimo e di bombardamento emotivo, lascia il segno, scardina il vivere quotidiano e cambia la prospettiva del cittadino abituato a osservare il fenomeno delle migrazioni attraverso i media, tramite le posizioni nette e senza sfumature degli opinionisti e dei politici in campagna elettorale perenne.

Contro un immaginario monolitico difficile da scalfire, si può creare così un controimmaginario personale, in cui si arriva a pensare la migrazione come qualcosa che c’era, c’è e ci sarà e senza immaginare per forza una soluzione. Ci si sottrae a un lessico della migrazione contaminato e abusato, non dicendo più “migranti”, ma “naufraghi” o “persone in movimento”, come suggerito dagli operatori di Emergency per un’operazione di igiene lessicale.

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Paolo Giordano esce da questa esperienza con la consapevolezza di non avere certezze, condizione epistemica che in genere manca quando si approccia il tema delle migrazioni. Tutte le parti dovrebbero avere il coraggio di fare un passo indietro e riconoscere da un lato il diritto di tutti a ambire a una realizzazione maggiore delle loro potenzialità di vita, dall’altro il diritto di cittadini autoctoni a custodire identità nazionale e confini. Il principio di accoglienza e la percezione del rischio per la sicurezza convivono.

Giordano invita a scegliere pochi dati e a saperli interpretare: per esempio la percentuale di migranti internazionali pari a meno del 3%; 5 morti al giorno nel Mediterraneo; le navi delle ONG che soccorrono solo il 10%; il razzismo in Europa salito al 34%; la maggioranza degli Italiani che considerano i migranti come risorse.

Inoltre i tratti delle migrazioni sono sempre uguali nello spazio e nel tempo, come possiamo leggere per esempio nelle pagine di Tash Aw “Stranieri su un molo” – che racconta dei nonni dell’autore approdati a Singapore dopo l’insidioso viaggio in barca per fuggire dalla Cina verso la Malesia negli anni Venti – e di Kim Thùi “Il mio Vietnam”, che rievoca la fuga dal Vietnam a bordo delle boat people alla fine degli anni Settanta.

Come universali suonano i versi della poetessa britannica di origine somala Warsan Shire, che dà voce alla sofferenza dei profughi: «capisci, / nessuno affida i propri bambini ad una barca /a meno che l’acqua non sia più sicura della terra»

 

[1] A cura di Mariagrazia Santagati, docente Sociologia dei processi culturali e comunicativi  presso l’Università Cattolica di Milano e membro del Comitato scientifico di ISMU

[2] E. HAKUZWIMANA, Tra i bianchi di scuola. Voci per un’educazione accogliente, Einaudi, 2024

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[3] R. NUR, La lente interiezionale a scuola, in DWF Donna/Woman/Femme, n. 141, 2024

Rita Patrizia Bramante già Dirigente scolastica, Fondazione Realmonte ETS



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