Lupi, dalla «coppia Alfa» a quattro branchi: figli e nipoti di Slavc e Giulietta colonizzano il Nord Est


L’ultimo lupo grigio veneto fu abbattuto nel 1929, nel Comelico. Pochi anni prima era toccato agli esemplari rimasti sulle Alpi Occidentali. La guerra dell’uomo allevatore contro il predatore, cominciata nel Neolitico, era finita. O così pareva. Oggi il Canis Lupus occupa circa 60.600 chilometri quadrati sui monti dell’Italia settentrionale, con una progressione costante nell’ultimo quinquennio, di cui 5.100 tra l’Adige e il Piave, circa il 21 per cento del territorio regionale. La svolta, figlia anche della condizione di «particolare protezione» e «tutela rigorosa» (legge 157 del 1992 e Direttiva Habitat del 1997), arriva dal Veronese, nel 2013, con la prima cucciolata di Vr-M01 e Vr-M09. Ovvero: Slavc e Giulietta.

Ora la longeva «coppia alfa» ha ceduto all’età. Ma figli, nipoti e pronipoti, tutti con la sigla «Vr», hanno colonizzato, con altri, l’intero Nord-Est.

Attualmente l’area collinare e montuosa scaligera è la patria, dettaglia una relazione tecnica della Regione rilasciata nel 2023, di quattro branchi: Lessinia 1 e 2, Baldo e Carega. Tutti, ad eccezione del secondo sull’altopiano, «condivisi» con il Trentino. Ed in gran parte discendenti degli ex regnanti.


Dal buio allo smartphone


Dall’oblio alla visibilità dei social, in pochi anni. Ora i lupi si vedono e filmano anche in pianura. Gli allevatori continuano a fare i conti con le predazioni. Avepa, l’agenzia veneta per i pagamenti e contributi nel settore agricolo, ha liquidato circa 403mila euro in indennizzi nel 2023, 423mila nel 2024. L’opinione comune è che ormai i predatori siano tanti ed ovunque. «Ma non aumentano all’infinito. La loro presenza si assesta in base alla disponibilità, per gran parte dell’anno, di fauna selvatica», tira il freno Emanuele Pernechele, esperto in Politiche dell’Unione Europea per la montagna della Regione.

«Soprattutto, questa specie si sposta in continuazione, anche per decine di chilometri al giorno, obbedendo ad un istinto innato: non permettere che il potenziale “cibo“ si abitui alla loro presenza ed impari ad evitarli». Selvaggi, certo, ma anche ottimi strateghi. «Hanno, inoltre, bisogno di spazio: l’areale di un branco, nell’area alpina, oscilla tra i 150 e 250 chilometri quadrati. E gli esemplari giovani vanno in dispersione, cambiano territorio. I campionamenti genetici che stiamo conducendo», spiega, «sono essenziali per dare un “nome“ ai singoli e comprendere dinamiche e spostamenti dei nuclei». L’equazione «un avvistamento, un lupo», insomma, è ingannevole: spesso è lo stesso, immortalato più volte in luoghi diversi.


Sulle tracce


L’aggiornamento dei dati ricavati dei ricercatori per l’ultimo biennio è fase in lavorazione. Sotto l’ombrello della Regione, l’attività coinvolge enti, università, associazioni e «volontari formati». Si tratta di passare al setaccio una rete di 127 «transetti», aree quadrate con lato di 10 chilometri, di cui oltre la metà in zone montuose. Alla ricerca di segnali: feci, peli, predazioni e piste di transito. Da cui ricavare l’identikit di esemplari e branchi.

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La grande domanda, ovvero «quanti sono?», non avrà una risposta certa in tempi brevi: i 15 anni dal ritorno del selvatico in Lessinia e in Veneto non sono poi così tanti. «La struttura di un branco oscilla, in base alle stagioni riproduttive, da sette-otto fino a 12-13 esemplari», stima il ricercatore. E, considerata la territorialità della specie, dove è insediato un nucleo non c’è spazio per altri: la scelta è cambiare aria o battersi a colpi di zanne. Perciò i dati servono, eccome: «Si tratta di creare la base per qualsiasi ipotesi di gestione», specifica Pernechele.


Pace o guerra


Sullo sfondo, oggi, c’è la procedura europea di declassamento della protezione del Canis Lupus. «Una condizione che comunque rimarrà, perché ogni Stato dovrà garantire una “conservazione soddisfacente“», specifica l’esperto. A Bruxelles anche il Veneto sarà parte in causa nella discussione.

In realtà il «contenimento» (per abbattimento o riduzione in cattività) è già previsto, per casi specifici, relativi a casi di troppa «confidenza» o invasività verso gli umani e loro attività. Nell’agosto 2024, in provincia di Treviso, un esemplare è stato rimosso, con il benestare dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale. Un’analoga richiesta, nel Bellunese, è stata invece congelata, per l’assenza di «adeguatezza delle misure di prevenzione». Ovvero del prerequisito per dare il via alla procedura. Ora l’Ispra ha fissato regole più chiare. Ciò che accadrà in Europa nei prossimi mesi deciderà del futuro del lupo.


Dinastie


Il lavoro certosino di ricerca e campionamento del predatore in Veneto, oltre che necessità contingente, è anche storia, di una specie riapparsa, quasi 15 anni fa, in Lessinia. Vale come esempio l’indagine relativa al Parco delle Dolomiti Bellunesi. Tra tutti spicca Vr-M23, individuato per la prima volta in Lessinia nel 2017. Stando agli ultimi dati disponibili è ora il maschio riproduttore (l’«alfa», ndr) del branco che frequenta quel territorio, con sconfinamenti nell’area protetta di Paneveggio – Pale di San Martino.

Dalla relazione con la vicentina VR-F06 sono nati due eredi, maschio e femmina, già espatriati, come rivela la sigla: Bl-M39 e Bl-F38. Un’altra figlia della stessa coppia, Bl-F41 è stata documentata nella Val Vescovà.


Tutto era cominciato con Giulietta e Slavc sull’altopiano veronese. Ora la dinastia dei lupi ha conquistato le Alpi a Nord (fino al Trentino e oltre) e a Nord Est. Più in basso gli uomini cercano di capire, tra scienza, polemiche, inquietudini ed una buona dose di politica che fare questa volta. Prevarrà un nuovo modello di gestione o si tornerà al piombo del 1929?





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