nel libro di Malachy Tallack un’ode minimalista all’arte della pesca


«Io sono un pescatore, e lo sono fin da quando ero bambino. Poche altre etichette mi si addicono in maniera altrettanto naturale. Poche mi si possono applicare, come questa, senza ulteriori attributi. La pesca è intrecciata ai miei ricordi, alle mie fantasticherie e alle mie aspirazioni. Ha inciso sul mio modo di guardare e vedere il mondo, e anche di pensarmi al suo interno. È l’ossessione infantile che non si è mai attenuata, il fervore giovanile che non mi ha mai abbandonato completamente. Se negli anni trascorsi dalla mia prima esperienza di pesca è cambiato quasi tutto, il senso dell’avventura che oltre trent’anni fa mi attirò e mi irretì è ancora lo stesso. Pescare – e pensare alla pesca – è stata una costante preziosa della mia vita anche quando mi capitava di farlo meno di quanto avrei voluto. Come riascoltare le canzoni amate da adolescente, ogni ritorno all’acqua è un ritorno a me stesso». Così lo scrittore scozzese Malachy Tallack presenta sé stesso nella sua ultima fatica letteraria, Illuminati dall’acqua (Iperborea, 2025, pp. 256, anche e-book), ode minimalista all’arte della pesca e, contemporaneamente, invito a riflettere sui ritmi meditativi di questa attività ancestrale dell’essere umano e sulla nostra connessione con il mondo della natura e degli animali.

Grande cantore della natura incontaminata – e come potrebbe essere altrimenti vivendo alle isole Shetland -, Tallack parte dal racconto intimo. Ha pescato per la prima volta con la mosca all’età di otto anni e da allora ha intrapreso un incessante viaggio alla ricerca di trote nei laghetti delle Shetland, lungo il fiume Don in Russia, nei ruscelli della Nuova Zelanda e persino tra gli orsi in Alaska. Per lui, come per la comunità internazionale di appassionati di cui si sente parte, la pesca trascende il semplice sport per diventare un’esperienza artistica, un atto tecnico e meditativo. Come scrive Tallack: «Per me pescare ha un effetto calmante non solo mentre sono lì, mentre lancio o catturo un pesce, ma anche in altre circostanze, quando ricordo, immagino. La pesca favorisce un legame con i luoghi più intimo e sfaccettato, un rapporto intricato e seducente con il mondo naturale. Impegna l’attenzione, certo, ma è anche un modo per entrare nella vita – e talvolta nella morte – delle creature che chi pesca insegue».

La copertina del libro
La copertina del libroLa copertina del libro

La copertina del libro

La pesca, per lo scrittore scozzese suscita, infatti, interrogativi sia concreti, sia esistenziali: conviene più catturare un’elegante trota o un salmone battagliero? La cattura è un momento estetico o una sfida carica di adrenalina? Meglio seguire le orme di Norman Maclean o di Ernest Hemingway? Qual è la visione del mondo e della natura che spinge un pescatore a scegliere un’esca che replica fedelmente un insetto, piuttosto che una creazione astratta di piume e ami? I pesci abboccano perché attratti e ingannati, o semplicemente per fame?

Domande un po’ futili, un po’ pretenziose, alcune esistenziali ed essenziali, altre semplicemente passionato fino alla maniacalità. Però, attraverso il racconto di avventure di pesca cariche di emozione e momenti di contemplazione della bellezza naturale, Tallack affronta i dilemmi etici insiti nella sua passione. Interroga questioni minime, come la correttezza di rivelare il segreto di un lago fortunato, fino a tematiche più urgenti, come lo sfruttamento ittico e la sofferenza animale, confrontando diverse filosofie, dal pensiero cristiano a quello di Peter Singer e Tom Regan. Anche il lettore che ha sempre considerato la pesca come un’attività noiosa e priva di significato sarà catturato dal fascino dei racconti e dalla dolcezza della riflessione, trovando piacere in questa celebrazione di un’attività apparentemente futile, priva di scopo e ragione, proprio come la letteratura. In fondo per molti e Tallack è tra questi, “la pesca è l’attività che mi garantisce di restare sano di mente”, come ha scritto il poeta e romanziere Jim Harrison.

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