“Sono ancora qui” di Marcelo Rubens Paiva –


Uscito in Italia per La nuova frontiera con la traduzione di Marta Silvetti, Sono ancora qui è la storia della famiglia dell’autore, Marcelo Rubens Paiva, e di tutto il Brasile, un Paese sconvolto fra il 1964 e il 1985 dalla violenza della dittatura militare.

“Ci sono molti modi di raccontare la memoria e la sua mancanza. Quando il mare mi trascinerà via cercherò il falò sulla collina. Vado ma tornerò. Chi ha nuotato in mare aperto lo sa: prima di lottare disperatamente contro la corrente è meglio lasciarsi trasportare per un po’; bisogna avere calma e coraggio; la corrente perde forza, e noi ne usciamo.”

Brasile. Una donna, una madre, brillante dottoressa in Legge, simbolo della lotta contro la dittatura brasiliana e istituzione nella difesa dei diritti civili degli indios, viene accompagnata dai figli al Tribunale della famiglia per richiedere la sua interdizione giuridica. La memoria si sta sbriciolando sotto i colpi della malattia e i ricordi di una vita sono appena fragile reminiscenza. Da quel giorno il figlio sarà giuridicamente responsabile della sua persona, nonché custode e testimone della sua lotta.

La storia della famiglia di Marcelo Rubens Paiva

Quella donna è Eunice Paiva (1929-2018) e quel figlio è Marcelo Rubens Paiva, moglie e figlio di Rubens Paiva, ingegnere, fra i progettisti della città di Brasilia, attivista, ex deputato del partito laburista, vittima illustre della dittatura militare brasiliana che terrorizzò il Paese del Sud America per oltre vent’anni.

Arrestato il 20 gennaio 1971 per presunta attività sovversiva o comunque per intrattenere rapporti con figure invise al regime, il “comunista” – così era marchiato chiunque si opponesse alla dittatura: politici, sindacalisti, insegnanti, preti, intellettuali, studenti, giornalisti, editori, artisti – Rubens Paiva morì nelle ore successive la sua incarcerazione in un centro di tortura di Rio de Janeiro a seguito delle sevizie ricevute. Soltanto dopo venticinque anni, nel 1996, Paiva è stato dichiarato deceduto, per decreto, dopo decenni di lotte giudiziarie, con la cosiddetta Legge degli Scomparsi emanata dal governo Fernando Henrique.

Sono ancora qui è il titolo del libro in cui Marcelo Rubens Paiva ripercorre la storia della sua famiglia e uno spaccato di quella del Brasile travolto dal regime dei militari, pagina nera del Paese cominciata col golpe del 1964 scoppiato per timore che il pensiero comunista internazionale capovolgesse l’ordine politico e sociale della repubblica sudamericana.

L’America dei golpe

La dittatura durò per ventuno anni, oltre due decadi di repressione, censura, espulsioni, crimini e terrore in cui “il Brasile potrebbe essere stato vittima di una delle più grandi farse della storia”, non avendo mai rischiato, nella realtà, di trasformarsi in un Paese filocomunista. Una vicenda che non fa per niente eccezione nell’America Latina negli anni delle profonde contrapposizioni ideologiche della Guerra Fredda. Gli esempi sono molteplici, dal colpo di stato in Guatemala del ’54 sostenuto dalla Cia – ben raccontato nelle pagine del romanzo Tempi duri di Mario Vargas Llosa – fino al più noto golpe cileno del 1973, anche in questo caso con lo zampino degli Stati Uniti d’America.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Una ferita mai rimarginata

A preannunciare il terremoto che cambierà per sempre il senso della vita della famiglia Paiva – che alla dicitura “famiglia vittima della dittatura” preferisce identificarsi come “una delle tante famiglie vittime delle tante dittature” che si sono manifestate e si manifestano ogni giorno nel mondo –, il colpo di stato del ’64, la destituzione della classe dirigente del tempo e la cementificazione dei centri, delle periferie e delle foreste che ha cambiato l’aspetto del Brasile e stravolto il suo tessuto sociale.

Partendo dagli anni felici e spensierati dell’infanzia e della giovinezza, con gli agi di una tipica famiglia borghese del dopoguerra, Marcelo Rubens Paiva racconta i giorni dell’arresto e dell’uccisione del padre, percorrendo poi l’intero iter giudiziario alla ricerca della verità sulla sua morte – del deputato Rubens Paiva tuttora si ignora il luogo in cui fu occultato il corpo –, ricuce attraverso testimonianze, districandosi in un “labirinto di contraddizioni”, le sue ultime ore, immaginando la indicibile sofferenza patita, anche per avere messo a rischio la propria famiglia con le sue decisioni: “Deve essere stata la sua tortura definitiva”. Tortura che è psicologica pure per i famigliari del desaparecido, condannati a una vita di interrogativi irrisolti, in un limbo senza fine, a una lentissima morte civile promossa dallo Stato e alimentata dai suoi colpevoli silenzi.

La lotta per la giustizia e la memoria

Nelle pagine del memoir, l’autore – premiato nel corso della sua carriera con alcuni fra i maggiori riconoscimenti letterari del Brasile come il Premio dell’Academia Brasileira de Letras e, per tre volte, il Premio Jabuti – analizza il rapporto con la madre, molto libero fin dal principio, ma di una libertà distaccata, un legame per nulla carnale, guidato dalla emotività, rigido o repressivo, un rapporto di una “oggettività abissale”, raccontando le sue battaglie per la memoria e per la verità, una lotta politica portata avanti da Eunice Paiva con fermezza ma senza rancore, fino al crollo della dittatura e alla restaurazione della democrazia nel Paese, fino al sopraggiungere della malattia neurodegenerativa, che lede sì le cellule nervose del cervello, ma non intacca le tappe di una vita condotta nel nome della giustizia.

Tradotto in italiano da Marta Silvetti per La nuova frontiera, il libro ha ispirato il film Io sono ancora qui di Walter Salles, vincitore del premio per la migliore sceneggiatura alla ottantunesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e nominato per tre volte agli Oscar 2025.

Antonio Pagliuso



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