Vance, Delmastro e il diritto alla menzogna: il fango (e peggio) arma politica per i trumpiani d’Italia


Il “free speech” invocato e sostenuto da JD Vance, il vicepresidente Usa, è semplicemente non la libertà di parola ma la libertà di menzogna da parte di chi può: le “verità alternative” cucinate e promosse fino a qualche mese fa dai portavoce dell’imperatore Donald ora sono diventate verità e basta. I pretoriani di Giorgia Meloni si sono prontamente adeguati e dopo la condanna del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro a 8 mesi per rivelazione di segreti d’ufficio (pena sospesa) nel caso Cospito e 41-bis, hanno congestionato le agenzie di stampa non solo di alti lamenti contro la magistratura (assenti quando è stato assolto Salvini nel processo Open Arms), ma hanno con Galeazzo Bignami, capogruppo FdI alla Camera e ventriloquo della premier, ribadito una lorda impostura già imbandita in aula dal collega di partito Giovanni Donzelli nel gennaio del 2023. Ha ringhiato Bignami: “È un processo politico. L’unica responsabilità del sottosegretario è stata quella di far sapere agli italiani che esponenti del Pd erano andati a incontrare mafiosi in carcere. Chi tocca il Pd, per certi magistrati va punito”. Va bene che la politica si impasta anche con materiali organici di scarto, come diceva il ministro craxiano Formica, ma qui siamo non alla polemica maliziosa ma alla pura indecenza esibita in qualità di un alto ruolo politico, quindi più tossica e pericolosa.

Il vicepresidente Usa J.D.Vance ha accusato la Ue di aver limitato la libertà di parola

Riassuntino. Alfredo Cospito, anarchico insurrezionalista, viene condannato nel 2022 a 23 anni di carcere per aver collocato due bombe all’esterno della scuola per allievi carabinieri di Fossano (Cuneo). Ristretto nel carcere di Sassari col regime del 41-bis inizia lo sciopero della fame per protestare contro le condizioni di detenzione e s’intrattiene con vari elementi della criminalità organizzata, tema centrale e di comune interesse l’abolizione appunto del 41-bis, un protocollo di rigidi controlli carcerari. Il 12 gennaio del 2023 una delegazione del Pd composta dai parlamentari Debora Serracchiani, Walter Verini, Andrea Orlando e Silvio Lai visita Cospito in carcere, prassi usuale e debita, per verificarne lo stato di salute. Il 29 gennaio Delmastro, venuto a conoscenza dell’incontro, pensa di sfruttarlo ai danni del Pd, facendosi scudo del suo ruolo politico di sottosegretario alla Giustizia: grave, perfino indecoroso per il servitore di uno Stato democratico.

Così, dopo aver chiesto con urgenza al Gruppo operativo mobile e al Nucleo investigativo centrale della penitenziaria un rapporto sulla detenzione di Cospito, pressa Giovanni Russo, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per avere i documenti relativi e le registrazioni delle conversazioni in carcere tra l’anarchico e mafiosi/’ndranghetosi/camorristi, in una delle quali Cospito dice: “Deve essere una lotta contro il regime 41-bis e contro l’ergastolo ostativo (impossibilità per il detenuto di godere di qualsiasi beneficio di legge, ndr), non solo per me. Per me tutti noi al 41-bis siamo uguali”. Materiale classificato come “a divulgazione limitata” e da Delmastro girato a Donzelli, deputato FdI e vicepresidente del Copasir (comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti!) che il 31 gennaio, senza far riferimento alcuno alle sue fonti, si diffonde prima sulle parole di Cospito e alla fine arriva a puntare il dito contro i deputati del Pd che erano andati a visitarlo in carcere: “La mafia sta utilizzando il terrorista Cospito per far cedere lo Stato sul 41-bis, i parlamentari Pd erano andati a incoraggiarlo nella battaglia per l’abolizione del 41-bis, allora io voglio sapere se la sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi”.

Donzelli e Delmastro, (foto da giovannidonzelli.it)

Affermazioni che la difesa di Delmastro al processo sosterrà non potersi addebitare al sottosegretario. Ma certo, ha solo offerto all’amico fiorentino Donzelli fionda e sasso. Lo stesso amico che oggi, post sentenza, strepita contro i “togati rossi”. Cospito è d’accordo sul 41-bis coi mafiosi; parlamentari Pd visitano Cospito; il Pd è forse complice di un’intesa con terroristi e mafiosi? In un Paese normale, sostenere tesi simili costerebbe la carriera politica.

Un’accusa ignobile

L’ignobile accusa-sospetto rivolta agli eredi di un partito che ha pagato con sangue copioso la lotta alla cosche, sempre che Pio Latorre sia un nome noto ai membri dell’inner circle meloniano, è una autentica enormità. Dopo un esposto alla procura romana di Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, contro Delmastro con l’accusa di aver divulgato documenti riservati e “che non potevano essere nella sua disponibilità”, la stessa procura nel maggio, sempre del 2023, chiede l’archiviazione, il sottosegretario viene ritenuto all’oscuro del fatto che quei documenti fossero secretati o almeno riservati. Bizzarro, essendo Delmastro avvocato, tanto che la giudice Emanuela Attura dispone l’imputazione coatta del sottosegretario. Passano 48 ore e Attura si trova senza scorta. Ah, i casi della vita… A processo il pm Paolo Ielo chiede nuovamente l’assoluzione per Delmastro, il collegio di giudici dell’ottava sezione penale invece lo condanna: sapeva che le registrazioni di Cospito erano riservate. Il sottosegretario s’indigna, “Non ho tradito!”, è “un processo politico”, “non mi dimetto”. Il ministro della Giustizia Nordio si dice “disorientato e addolorato”, Giorgia è “sconcertata”, “mi chiedo se il giudizio sia realmente basato sul merito della questione”: alé, c’è un quarto grado di giudizio e la corte sta a Palazzo Chigi.

Bene. Visto l’iter giudiziario piuttosto accidentato potrebbero anche aver titolo a dolersi fossero opinionisti o semplici militanti politici, ma sono cariche ufficiali dello Stato, membri dell’esecutivo che sparano cannonate al potere giudiziario vedendo ovunque complotti giusto mentre Delmastro-Donzelli-Bignami organizzano imboscate parlamentari e le difendono pure. Propagandando fango. Il problema non è giudiziario, è squisitamente politico.

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Dopo la sortita in aula, Donzelli era stato deferito al Gran Giurì della Camera dei Deputati con l’accusa di aver offeso l’onorabilità dei parlamentari democratici, ma aveva ritrattato ed era stato assolto nonostante la palese mitragliata di sconce illazioni. Se li assolvono tutto bene, se li condannano è un’oscura manovra. E poi perché proprio la parte politica che sta cercando di varare una riforma che prevede una separazione netta tra le carriere di procuratori e giudici, condanna una sentenza (sì, le sentenze in casa Meloni non si rispettano, si condannano se non piacciono) che plasticamente già evidenzia una ben netta indipendenza (e annesse differenze di vedute) tra magistrati referenti e giudicanti?

Come si vede, il processo a Delmastro conta meno in sé della questione politica e di abitudini rischiose per la tenuta dello Stato. La destra non ha mai lesinato vendette e aggressioni politiche con commissioni d’inchiesta farlocche e sbugiardate dalla magistratura, vedi Telekom Serbia. Il clima d. T., dopo Trump, esalta un malcostume velenoso e lo erige a sistema comunicativo e di gestione del potere.



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