“Dopo scandalo Palamara, autoassoluzioni e filosofia dello struzzo tra pm”


La proposta di riforma costituzionale che prevede il sorteggio per i togati del CSM, l’Alta corte con funzioni disciplinari e la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri alimenta lo scontro tra magistratura e politica, ma stimola anche – e per fortuna – riflessioni interne allo stesso ordine giudiziario. I rapporti tra le associazioni dei magistrati e l’organo di “autogoverno” diventano allora un nodo cruciale della riflessione. Ne abbiamo parlato con Andrea Reale, giudice del Tribunale di Ragusa e componente del direttivo centrale di ANM per il gruppo Articolo 101.

Dottor Reale, intanto cosa è esattamente il gruppo ArticoloCentouno e in cosa si distingue dalle correnti interne all’ANM?

ArticoloCentouno è una lista presentata per la prima volta nel 2020 da colleghe e colleghi, estranei alle correnti tradizionali, in occasione delle elezioni per il rinnovo del Comitato direttivo centrale ANM. Il nome è ispirato alla norma della Costituzione che statuisce il principio di soggezione del magistrato soltanto alla legge. Essa sancisce il principio cardine della indipendenza esterna, ma anche interna, del singolo giudice o pubblico ministero. La differenza principale rispetto alle altre correnti è la mancanza di organizzazione, tenuto conto del bastevole richiamo alle regole statutarie vigenti dentro l’Anm, nonché il netto distacco tra associazionismo giudiziario e attività del Csm. ArticoloCentouno non candida suoi esponenti al CSM, proprio per la visione peculiare che ha dell’autogoverno e per la designazione dei suoi membri per sorteggio che propugna da anni. ArticoloCentouno ritiene che vada eliminato il potere discrezionale di scelta negli incarichi apicali grazie ad un sistema oggettivo di rotazione dei direttivi e semidirettivi. Inoltre molti di noi sono favorevoli all’abolizione dell’immunità funzionale dei consiglieri.

Il CSM è un organo di rilevanza costituzionale; ANM è invece un’associazione privata tra magistrati. Che tipo di connessione si è stabilita tra queste due entità nel corso del tempo?

Un rapporto morboso e, purtroppo, patologico. Il Consiglio Superiore, organo tecnico di alta amministrazione, il cui funzionamento dovrebbe essere improntato a princìpi di imparzialità e buon andamento, è diventato un organo ‘politico’, se non addirittura politicizzato, del quale è stata consentita, cioè, la sua occupazione ad opera delle associazioni private, denominate correnti, le quali curano principalmente interessi di parte e favoriscono gli appartenenti ai rispettivi gruppi.

L’affaire Palamara ha messo in luce la degenerazione di un sistema. Al di là di chi a quel sistema ha preso parte, avrebbero potuto i magistrati fare qualcosa per impedire che tutto ciò accadesse?

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Non solo avrebbero potuto. Avrebbero dovuto, anche perché sonoramente richiamati, per la loro “modestia etica”, persino dal Capo dello Stato, presidente del CSM. Avrebbero dovuto studiare e suggerire, prima che si incancrenisse il Sistema di potere interno, i rimedi idonei ad evitare il ripetersi o perpetuarsi del fenomeno degenerativo del correntismo, ad esempio prevedendo ‘paletti’ netti tra Anm e Csm, impedendo che la discrezionalità nelle nomine trascendesse in arbitrio o clientelismo, individuando un metodo alternativo e finalmente risolutivo nella scelta della componente togata del CSM. Invece hanno prevalso il corporativismo e la filosofia dello struzzo, con l’insabbiamento della gravissima questione morale che ci affligge da decenni. L’allontanamento del magistrato considerato a capo del Sistema e la blanda punizione di pochissimi altri presunti reprobi hanno indotto i rappresentanti del CSM e dell’ANM ad autoassolversi da ogni altro illecito disciplinare, penale o deontologico e di continuare a perpetuare logiche e dinamiche tipiche del correntismo.

Anche per arginare la degenerazione correntizia, prende corpo l’iniziativa di riforma che prevede il sorteggio per la quota togata del CSM e l’Alta Corte per la trattazione delle questioni disciplinari. ANM avversa, con toni anche aspri, entrambe le prospettive. Quali sono le ragioni di una così frontale avversione?

Sul sorteggio non vi è una frontale avversione da parte dell’ANM, ma solo da parte della oligarchia a capo delle correnti, se è vero che nel referendum consultivo indetto dall’associazione dei magistrati nel 2022 ben il 42% dei votanti si è dichiarato favorevole a questo sistema di selezione della componente togata, specificatamente unendolo ad un meccanismo che contempli anche il voto. Noi di ArticoloCentouno siamo sempre stati favorevoli al sorteggio per individuare coloro i quali sono chiamati ad amministrare la giurisdizione dentro il Csm, ritenendolo un metodo democratico e assolutamente effi cace per tentare di arginare il correntismo. Quanto all’Alta Corte disciplinare, in disparte la questione del divieto, per dettato costituzionale, di istituzione di giudici speciali, il problema potrebbe essere superato proprio dall’adozione del menzionato metodo per la selezione del collegio di magistrati tenuti a decidere le vicende disciplinari dei colleghi, atteso che ciò impedirebbe il corporativismo e il clientelismo garantiti dalle conventicole correntizie.

Ma esiste, in termini generali, una questione morale in seno alla magistratura italiana?

Esiste, ormai, da moltissimi anni, tanto che alcuni noti esponenti della magistratura sono arrivati a parlare di metodo mafioso invalso nella scelta dei direttivi e semidirettivi, ovvero per “impallinare” colleghi troppo indipendenti e privi di protezioni correntizie.

Uno dei temi più caldi in relazione alle attività del CSM è costituito dalle nomine per gli incarichi direttivi e semidirettivi. C’è un modo, secondo lei, per impedire quello che qualcuno ha definito un vero e proprio nominificio?

ArticoloCentouno ha sempre indicato, insieme al sorteggio per il Csm, un meccanismo esiziale contro il nominificio, ossia la rotazione temporale degli incarichi apicali tra i magistrati con una certa anzianità e senza demerito. Il meccanismo è giustificato dal principio costituzionale di uguaglianza di tutti i magistrati e della loro differenza soltanto per le funzioni svolte (art.107 Cost.). A tal proposito è stato da alcuni soci ANM persino elaborato, in seno alla Commissione di studio sulla dirigenza giudiziaria, un articolato sul punto, che è stato inserito nella relazione finale dei lavori che si può leggere anche sul sito uffi ciale dell’Associazione.

Guardando al passato recente, c’è qualcosa che il CSM stesso avrebbe potuto fare e non ha fatto per affrontare efficacemente tutte queste criticità? In altri termini, specie dopo i fatti dell’Hotel Champagne, non sarebbe stata necessaria una più efficace autocritica?

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Certamente la doverosa autocritica è quasi completamente mancata. La principale ‘colpa’ del Csm post Champagne è stata la mancata punizione dei colleghi accusati di condotte gravemente lesive della immagine di indipendenza e imparzialità, purtroppo in ciò aiutati dalla direttiva dell’ex Procuratore generale della Corte di Cassazione che ha amnistiato di fatto le condotte di auto ed eteropromozione tra magistrati. Inoltre non sono state adeguatamente riconsiderate le nomine, frutto di patti scellerati, che si sarebbero potute/dovute annullare, persino in autotutela.

ANM ha attuato, in occasione delle inaugurazioni dell’anno giudiziario sul territorio nazionale, una forma di protesta estrema, abbandonando le aule al momento dell’intervento del rappresentante del Governo. Questo “modo di protesta” è secondo lei efficace?

È sicuramente un modo istituzionale e, per quanto plateale, legittimo per dimostrare un dissenso ad una riforma della Giustizia ritenuta dal “sindacato” della categoria inefficace e inutile per i cittadini, oltre che punitiva nei confronti dei magistrati.

Invertendo la prospettiva sulla separazione delle carriere, visto che essa è per logica una implicazione del sistema accusatorio, quale può essere una ragione effettiva per non attuarla?

L’unicità della “carriera” ha garantito fino ad oggi autonomia del Pubblico Ministero dal potere politico e soggezione del magistrato inquirente soltanto alla legge, così assicurando l’uguaglianza dei cittadini in virtù del principio di obbligatorietà dell’azione penale. La natura di pubblico ufficiale del PM, con tutti i relativi oneri, gli conferisce l’obbligo di ricercare la verità, imponendo indagini complete e oggettive, nei precisi limiti indicati dalla legge e lo espone a responsabilità che la controparte processuale non ha. Del resto, la parità tra PM ed avvocato è di tipo processuale, non ordinamentale, a causa della “asimmetria funzionale” esistente tra accusa e difesa. Il rischio dell’attuale d.d.l. governativo è che la separazione conduca ad un Avvocato della Polizia, dipendente dall’Esecutivo, o, ancor peggio, ad un Superpoliziotto sganciato dagli obblighi che oggi incombono su di lui in virtù della unicità della carriera e dei doveri di imparzialità e di uguaglianza che dovrebbe perseguire nello svolgimento delle indagini. Non è un caso che non esistono sistemi in cui il PM, separato dal giudice, non sia, nella forma e nella sostanza, direttamente o indirettamente, sottoposto all’esecutivo. Il legislatore costituzionale può certo permettersi anche questo. Bisognerebbe però farlo in modo consapevole, trasparente e responsabile. Il testo in discussione, invece, delinea un sistema illogico, che paradossalmente rafforza la posizione ordinamentale del pubblico ministero e che è destinato a creare inevitabili tensioni istituzionali. Basti pensare all’unico presidente di due CSM che ben potrebbero trovarsi tra loro in confl itto. Lo sbocco inevitabile di tale illogica e insostenibile situazione sarà o il ritorno al passato o la naturale sottoposizione all’esecutivo del PM separato dal giudice. Si rischia altamente di peggiorare un pur controverso equilibrio, con rischi diffi cilmente prevedibili per la tenuta complessiva delle istituzioni. E tutto questo mi sembra più che una buona ragione per non attuare la proposta di separazione delle carriere in discussione in Parlamento. Faccio un’ultima osservazione. Se il Legislatore intendesse davvero (ri)equilibrare i rapporti tra politica e giurisdizione, non sarebbe meglio e molto più semplice (re)introdurre l’autorizzazione a procedere per i membri del Parlamento?

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