Joan Thiele, “Joanita”: recensione e streaming


Tutti a parlare (giustamente) di Lucio Corsi, che a Sanremo ha spaccato tutto ed è andato molto al di là delle più rosee aspettative. Ma sul palco dell’Ariston ha brillato moltissimo anche la stella di Joan Thiele, forse in maniera meno vistosa, ma sicuramente convincente.

Joan ha fatto le cose nel modo giusto, ha portato avanti un percorso integro e serio, ricco di idee e di spunti che mescolano musica italiana e internazionale, passato e presente, senza preclusioni ma con tanta creatività. Che trova compimento migliore e più pieno se la si ascolta in un disco ricco e complesso come Joanita.

Un’ottima occasione di conoscerla per chi l’ha scoperta all’Ariston. Una conferma totale e ricchissima per chi ne segue le gesta da tempo (noi del resto le avevamo dedicato intervista e copertina del TRAKS MAGAZINE nel 2018, per dire).

Joan Thiele traccia per traccia

La forma liquida apre il disco con passo tranquillo: è una Joan piuttosto contemplativa, osservatrice, che ci accompagna dentro il disco su strade di velluto. “Fingo di essere fragile” è un’asserzione che fa capire molto del rapporto dentro il quale ci si sta avviluppando.

Atmosfere soft western e qualche stilla di Sudamerica compongono il background su cui si costruisce Veleno, un racconto di tossicità alla quale si reagisce con una certa energia (e qualche colpo di pistola).

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Molto più orientale l’aria che si respira in Bacio sulla fronte, che fa una sorta di danza del ventre e pesca dall’esotico, mettendo in luce tutte le qualità narrative della ragazza, con il dualismo puta/santa che è soprattutto negli occhi di chi guarda.

Si celebra poi un Tramonto che mette in evidenza il lato più sensuale, ma anche malinconico, della produzione made in Thiele: un’ultima volta contiene già rimpianti, ma rotola via con un senso di inevitabile e di ineluttabile.

Scene da spiaggia quelle di Acqua Blu, ma non è che si tratti di un possibile tormentone estivo (o lo sarebbe se vivessimo in un mondo intelligente): un’estate morbida e organizzata su ritmi cadenzati ma fluidi prende vita, tra “un tuffo dove l’acqua è solo un po’ più blu” e un “mezzogiorno di fuoco“. Allusioni e citazioni trovano posto in uno schema che comprende anche qualche pizzico di sitar, a evocare psichedelia e Beatles e a chiudere cerchi.

Rimane su suoni tra il vintage e il fiabesco Occhi da gangster, che comprende un Frah Quintale, qui in quota urban, a sottolineare le prospettive di un amore pericoloso, sempre da inseguire, irraggiungibile. Tutto con atmosfere da film d’altri tempi, ma con emozioni per tutti i tempi.

Arriva a metà disco Eco, sulla quale è caduta la scelta per Sanremo: giusti i paragoni con Shivaree perché ci sono cose in comune, purché non si sottovaluti la capacità di scrittura, la voce, la personalità e anche il fil rouge che lega questo brano sia al resto di questo disco, sia alla narrazione complessiva portata avanti negli anni da Joan. E comunque il tutto sottolinea la portata internazionale del suo lavoro e dei suoi suoni.

E giusto per non rimanere troppo nello stesso posto, ecco Joanita, intermezzo scomposto e decostruito, prima dei movimenti nervosi e autobiografici di Cruz: i rapporti con il padre sudamericano e le giungle, anche mentali, nelle quali si rischia di perdersi prendono vita sotto i nostri occhi.

Dinamica e ricca di funk XX L.A., che veicola la propria sensualità: la ragazza cammina con il suo poncho per la strada e fa i conti con i propri ricordi, mandando baci e combattendo la nostalgia con il ritmo.

Abbassa improvvisamente i toni L’invisibile, molto più sussurrata e sostanzialmente mediterranea, con la chitarra classica che avvolge tutte le malinconie, in un addio profondo e definitivo.

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Le ultime incarnazioni del disco hanno ancora sembianze femminili: Dea sa di Burt Bacharach, in tutta la sua articolazione sonora morbida. Scenari molto dreamy quelli di Volto di donna, che parla di chi fa stare bene, con toni morbidissimi e accoglienti. A chiudere Pazzerella, che non arriva dalla voce di Joan, ma che conclude in modo ideale il percorso.

E’ cresciuta, tantissimo ma in modo graduale, Joanita: lo conferma un disco lungo e profondo, capace di cambiare atmosfere ma senza perdere mai forza. I dettagli sonori sono curati come sempre, con quel gusto differente, elegante, che le impedisce l’omologazione anche qualora la volesse (e non la vuole).

I suoi racconti si muovono su scenari diversi, dal West al Mediterraneo, sempre ricchi e poetici, con una sensualità naturale ad accompagnare quel che di misterioso ed esotico sgorga dalle sue canzoni in maniera spontanea.

Non riempirà stadi e ippodromi, Joan, almeno non subito. Ma sarebbe un errore gravissimo se la si relegasse tra le sorprese “minori” della nuova musica italiana: arriva già da lavori solidi e molto importanti, ed è evidente che la sua crescita non si è affatto arrestata, anzi prosegue con sicurezza e regala ulteriori sorprese a ogni episodio.

Genere musicale: cantautrice

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