Lo chef stellato di Macomer: «Parigi ama la mia cucina»


Sassari «Avere la stella Michelin non era un obiettivo ed è successo poco dopo l’apertura del ristorante. Ora che sono passati 6 anni confermo che, come nello sport, il difficile non è tanto “vincere”, quanto confermarsi: da questo punto di vista però ho la fortuna di potermi confrontare con due cari amici che nella vita fanno tutt’altro, ma conoscono bene certe dinamiche: Niccolò Barella e Marco Spissu».

Simone Tondo di mestiere fa lo chef, ma il suo sguardo sul lavoro – e sulla vita – è una continua partita a pallacanestro. Il suo Racines, piccolo gioiello nel cuore di Parigi, è da tempo uno dei ristoranti di maggior successo della capitale francese. Frequentato da sportivi di fama mondiale, uomini e donne di Stato, celebrità di ogni tipo (“e anche un astronauta”, ci tiene a sottolineare), punto di riferimento per tutto il mondo della moda, il Racines è il risultato finale – pur in costante divenire – di un percorso partito da molto lontano.

«Sono di Macomer – racconta Simone Tondo, 38 anni –, ma ho radici anche a Sassari, città dei miei nonni. A 14 anni mi sono trasferito ad Alghero per studiare all’Alberghiero e giocare a basket: stavo al Convitto, avevo i permessi speciali per andare ad allenarmi e fare le partite con la Mercede. La cosa più bella del mondo, per me era pura evasione. Il professor Rondello ha fatto scattare in me la scintilla: mi consideravano un caso complicato, mi proposero uno stage di Andreini e dopo un mese volevo scappare: perché era faticoso, perché facevano una cucina molto spinta per quei tempi e io ero impreparato. Alla fine lo chef mi ha detto: se resisti adesso e rimani, farai per sempre questo mestiere. Ho resistito e vent’anni dopo sono ancora in cucina, quindi quel collega non si era sbagliato».

Uno stage da Cracco, un’esperienza in Francia in un ristorante da 3 stelle e una a Cagliari con Roberto Petza. Poi il decollo. «Ho sempre avuto la fortuna di capitare al posto giusto nel momento giusto, come quando Spissu è andato in A2 alla Virtus e ha vinto il campionato da protagonista. Sono sempre andato alla ricerca di grandi “coach”, grandi maestri dai quali imparare il mestiere. Già allora guardavo tutto in tv e leggevo tutto, su questo mestiere. Volevo stare in Sardegna, invece nel 2012 mi sono ritrovato a Parigi, con un ristorante mio e di un mio socio, il Roseval. Abbiamo aperto il 7 luglio e a novembre è arrivato il premio come miglior rivelazione dell’anno. In Francia in quegli anni esistevano quasi solo grandi ristoranti, poi sono esplosi i posti semplificati, freschi».

Nel 2018 Simone rileva il Racines, in Passage des Panoramas, un antico passaggio coperto, dietro la fermata Grands Boulevard. Posto raccolto, poco più di 20 coperti più una sala riservata con tavolo da 8. Dodici mesi più tardi arriva la stella. «Era il 20 gennaio, il giorno del mio compleanno, e anche il giorno in cui, tanti anni prima, i miei nonni mi hanno accompagnato per la prima volta all’alberghiero di Alghero. La dimensione è familiare, il posto è molto bello e consente un taglio di clientela esposto, ma vengono anche persone comuni. I vip? Sì, ci sono, ma li notano soprattutto gli altri, noi siamo impegnati a lavorare al meglio per tutta la clientela».

La cucina è più vicina a quella del nord Italia che non alla Sardegna, anche se i richiami all’isola non mancano. «Quando ho iniziato puntavo su una cucina moderna ed estremamente ricercata – racconta lo chef –. Non troppo spinta ma molto personale, forse cercavo di capire cosa volessi fare da grande. Era interessante ma oggi non la ripropongo più. Sono alla costante ricerca di una cucina semplificata, di prodotto, più matura. Punto tanto sul bio. Oggi mi interessa più sapere che hai mangiato benissimo, piuttosto che sentire che hai scoperto qualcosa. E in questo modo è tutto più semplice anche per i ragazzi che lavorano con me: anche io sono stato uno “schiavo da cucina” e andare dietro a un cervello che va a duemila allora è difficile».

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

A proposito di personale dipendente, al Racines viene applicato un trattamento particolare. «Voglio che chi lavora con me stia bene. Come a basket, io sono il coach e gioco col mio quintetto, ma voglio anche dei cambi buoni. Apriamo 7 giorni su 7 ma la settimana di ogni dipendente dura 3 giorni e mezzo. Tutti possono fare un viaggio, non solo il titolare, e tutti poi tornano con una maggiore freschezza e produttività. Questo fidelizza il personale. Il mio secondo è con me dal 2012. Maria, la mia capo-pasticcera, quando avevo 20 anni era il mio capo. Ora fa i dolci per me, come una madre. gli altri la chiamano Obradovic. La direttrice del personale è inglese e lavora con me praticamente da sempre, ci sono una cameriera coreana e un francese di Grenoble che ha abitato ad Alghero. Ci sono Federica e Giulia, sarde di Pabillonis. Siamo un bel melting pot e io sono uno di quei coach sentimentale, legatissimo alla sua squadra».

E il titolare? «Faccio il lavoro che amo – dice Simone Tondo – ma non mi stanco mai di viaggiare, osservare, parlare con le persone e imparare. A volte potrei riposare e invece guardo i video dei colleghi al lavoro. Faccio il pendolare di lusso, perché la mia compagna e mio figlio Mattia stanno in Sardegna. Mi fa piacere se nelle guide si parla bene di noi, ma voglio che il nostro lavoro racconti qualcosa. Sono perseverante e positivo: ho visto colleghi bravissimi non farcela, il modo in cui ti poni è fondamentale: io per esempio in cucina non grido mai. Sono stato determinato, incosciente e anche fortunato, a incontrare le persone giuste».

«A volte mi confronto con Marco Spissu e Nico Barella: a volte ci diciamo che quando siamo partiti eravamo davvero piccoli, perché uno arriva da Sassari, uno da Cagliari, io da Macomer, eppure uno gioca in Champions League, uno ha fatto le olimpiadi e io ho la fortuna di stringere amicizie con personaggi incredibili. La verità – conclude lo chef – è che bisogna crederci e giocare le proprie chance al meglio, senza pensarci troppo. In campo, sull’era o sul parquet, proprio come in cucina».
 



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