Trump corregge la fallimentare strategia USA ma l’Europa stenta a comprenderlo – Analisi Difesa


 

Gli Stati Uniti riconoscono gli errori compiuti con la Russia e li attribuiscono alla precedente amministrazione mentre l’Europa sembra non comprendere la necessità di correggere la strategia fallimentare adottata fino ad ora. Infatti le conseguenze del vertice in Arabia Saudita tra il segretario di Stato americano Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov hanno scatenando scalpore e panico in Europa.

Un incontro definito da entrambe le delegazioni utile e proficuo e benché non siano emersi molti dettagli è apparso chiaro che le due superpotenze sembrano intenzionate ad accordarsi e a trovare intese che vanno ben oltre la conclusione del conflitto in Ucraina.

Per il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. “La conversazione, credo, è stata molto utile. Non ci siamo solo sentiti, ma ci siamo ascoltati a vicenda, e ho ragione di credere che la parte americana abbia capito meglio la nostra posizione”.

Da quanto emerso, come riportato sui siti internet dei ministeri degli Esteri di Russia e USA, verranno riattivate le relazioni le missioni diplomatiche (Washington ha già presentato le credenziali di un novo ambasciatore) e la priorità per i gruppi di lavoro russo-americani sembra essere più la ripresa delle relazioni commerciali ed economiche che non arrivare al più presto a concludere un accordo per far cessare il conflitto ucraino, di cui verranno informati (ma non coinvolti) anche ucraini ed europei.

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Parte del dialogo in corso, ha detto Rubio, è incentrato “sull’assicurarsi che le nostre missioni diplomatiche possano funzionare”, per far ripartire relazioni diplomatiche “vibranti”. Per il segretario di Stato sarà importante “identificare le straordinarie opportunità esistenti qualora questo conflitto giunga a una conclusione accettabile… per collaborare con i russi in termini geopolitici, su questioni di interesse comune, e francamente anche sotto l’aspetto economico”.

Trovare un’intesa per chiudere il conflitto è “essenziale affinché sia possibile lavorare insieme su altre questioni geopolitiche di interesse comune, e naturalmente su alcune partnership economiche piuttosto uniche, potenzialmente storiche”.

Rubio ha precisato la necessità che gli USA abbiano relazioni con la Russia, potenza nucleare, indipendentemente dal gradimento o meno delle iniziative dui Mosca.

Un cambiamento di rotta radicale rispetto all’amministrazione Biden, che sembra confermare innanzitutto che gli Stati Uniti sono pronti a riprendere intense relazioni con la Russia, ritenute necessarie a sbloccare altri scenari di crisi (con l’Iran, la Cina, la Corea del Nord, come aveva pronosticato Analisi Difesa) di interesse prioritario per Washington (che guarda al teatro dell’Indo-Pacifico come priorità assoluta) e in cui il ruolo di Mosca può essere risolutivo.

Come era lecito aspettarsi da Donald Trump, l’aspetto economico sembra essere prevalente: del resto lo stesso presidente aveva anticipato la volontà di riammettere la Russia nel G8 mentre lo sblocco degli investimenti americani in Russia stimato in 300 miliardi di dollari corrisponde circa alla stessa cifra di asset finanziari russi congelati in Occidente.

Le valutazioni emerse a Riad sembrano preludere alla possibile, progressiva abrogazione delle sanzioni statunitensi alla Russia, decisione che lascerebbe l’Europa con un ulteriore cerino in mano (dopo quelli del sostegno militare all’Ucraina e della sua ricostruzione post-bellica) considerati i danni sofferti dalle economie europee per sanzionare Mosca.

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E’ interessante notare che i repentini cambiamenti di scenario emersi chiaramente a Riad e accentuati dalle recenti dichiarazioni di Trump, hanno colto tutti di sorpresa in Europa (che da tre anni, con poche eccezioni, ha limitato il suo pensiero strategico alla cieca obbedienza agli ordini di Washington), scatenando risposte a tratti dure e polemiche, ma non sembra siano stati né recepiti né, forse, compresi.

Lo dimostra anche il fatto che, con imbarazzante tempismo, la Ue cercherà di approvare oggi, terzo anniversario dall’inizio del conflitto, il 16° pacchetto di sanzioni alla Russia. Al culmine del paradosso il provvedimento europeo sembra voler contrastare la politica di Washington che ha impedito che risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e del G-7 esprimessero la condanna di Mosca per l’attacco all’Ucraina.

Neppure il duro scontro verbale tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sembra aver fatto comprendere agli europei cosa sta cambiando e le ragioni profonde di tale cambiamento. Zelensky ha accusato il presidente americano di voler compiacere Vladimir Putin per non averlo invitato a Riad.

“Il problema è che gli USA stanno dicendo cose che piacciono davvero a Putin. Penso che sia questo il punto. Perché vogliono compiacerlo? Per incontrarsi faccia a accia e ottenere un successo rapido” ha detto in un’intervista alla TV pubblica tedesca ARD ribadendo che l’Ucraina non rinuncerà legalmente ai suoi territori né firmerà alcun accordo “solo per ottenere un forte un applauso”.

Il 18 febbraio ha aggiunto che Gli Stati Uniti stanno aiutando la Russia ad uscire dal suo “giusto” isolamento globale.  “Questo non è positivo per l’Ucraina. Stanno tirando fuori Putin dall’isolamento, e i russi sono contenti perché la discussione si concentra su di loro” ha proseguito Zelensky, pur ribadendo la propria “gratitudine” per il sostegno statunitense.

Trump non ha gradito le critiche di Zelensky che lamentava, come gli europei, di non essere stato invitato al tavolo dei negoziati con la Russia. Sii è detto “molto deluso” dalle proteste del leader ucraino. “Ho sentito che sono arrabbiati per non avere un posto al tavolo dei negoziati. Ce lo hanno avuto per tre anni…. Allora non avrebbero dovuto iniziare la guerra”, ha affermato smantellando di fatto tre anni di note di linguaggio USA/NATO/UE basate sull’affermazione della “bruitale e ingiustificata aggressione russa all’Ucraina”.

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Qualche fact-checker sopravvissuto alle ammissioni di Mark Zuckenberg sulla censura “imposta” sui social dall’Amministrazione Biden, ha gridato alla fake-news, così come hanno fatto diversi analisti, esperti e politici europei mentre in Italia c’è chi ha definito un “falso storico” negare che i russi hanno iniziato l’aggressione.

Eppure, anche senza tornare agli albori del conflitto nel 2014, è sufficiente andarsi a rileggere agenzia di stampa e giornali dei giorni appena precedenti l’invasione russa del 24 febbraio per rilevare che l’esercito ucraino aveva iniziato un massiccio bombardamento d’artiglieria sui territori del Donbass.

Un bombardamento così intenso da apparire il preludio a un’offensiva per riconquistare quella regione, ipotesi peraltro sostenuta dallo schieramento di 80 mila militari ucraini nelle regioni di Donetsk e Lugansk a ridosso delle linee tenute dai secessionisti. Una minaccia ucraina che per Mosca rese necessario l’avvio dell’Operazione Militare Speciale, peraltro già da tempo in preparazione.

Analisi Difesa lo scrisse fin dai primi giorni di guerra e del resto i russi mostrarono i piani di quell’offensiva ucraina già poche settimane dopo l’inizio dell’invasione affermando (sarà vero?) di averli trovati in un comando di brigata dell’esercito ucraino.

Per tre anni ricordare questo “dettaglio” significava venire etichettati come “filo-russi” o putiniani e certo la propaganda russa ha enfatizzato questa vicenda ma tali informazioni, di dominio pubblico, sono in possesso dei vertici militari e di intelligence statunitensi che certo contribuirono alla messa a punto di quei piani.

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Quindi non si tratta di “giustificare” o meno l’aggressione russa dell’Ucraina (come nel recente passato quella della NATO alla Serbia e alla Libia o quella anglo-americana ad Afghanistan e Iraq), né di stabilire torti e ragioni e “aggressore e aggredito” ma di comprendere da un lato che costruire, esaltare o negare la “verità” (la nostra e quella degli altri) è possibile ma non per tempi lunghi e dall’altro che oggi occorre risolvere con pragmatismo il conflitto evitando criminalizzazioni che possono avere un senso solo con i vinti, da Norimberga ai processi per i crimini nella ex Jugoslavia.

La Russia invece non è stata né isolata né sconfitta, criminalizzarla o bandirla dalle relazioni internazionali non aiuterà a trovare soluzioni e compromessi né a salvare dal disastro chi invece sta uscendo sconfitto da questa guerra e cioè l’Ucraina e l’Europa.

La “pace giusta” non è mai esistita, chi perde paga, spesso anche in termini territoriali: se così non fosse nel 1945 l’Italia avrebbe conservato Istria, Dalmazia, colonie africane e le Isole del Dodecaneso.

Difficile quindi dare torto a Trump quando afferma che “stiamo negoziando con successo la fine della guerra con la Russia. Biden non ci ha mai provato, l’Europa non è riuscita a portare la pace e Zelensky probabilmente vuole mantenere in funzione il ‘treno della cuccagna’”.

Del resto come non ricordare che gli anglo-americani impedirono a Kiev di accordarsi con Mosca dopo appena un mese di guerra perché il conflitto doveva continuare per logorare la Russia?

Trump ha persino ammesso di comprendere le ragioni dei russi poiché la guerra sarebbe stata evitata senza la pretesa, attribuita a Joe Biden,  di far entrare l’Ucraina nella NATO: progetto che in realtà emerge ufficialmente al vertice NATO di Bucarest del 2008.

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Per far comprendere la nuova aria che tira a Washington, il 20 febbraio Trump ha definito Zelensky un “dittatore” per il mandato presidenziale scaduto il maggio scorso e ha aggiunto che i russi, “hanno preso il controllo di molto territorio, quindi hanno le carte in mano”.

Lo stesso giorno il vicepresidente JD Vance ha difeso Trump dalle dure e sconcertate reazioni in Europa. “Questa è spazzatura moralistica, che purtroppo è la moneta retorica dei globalisti perché non hanno altro da dire. Per tre anni, il presidente Trump e io abbiamo sostenuto due semplici argomentazioni: primo, la guerra non sarebbe iniziata se il presidente Trump fosse stato in carica; secondo, né l’Europa, né l’amministrazione Biden, né gli ucraini avevano alcuna possibilità di vittoria.

Questo era vero tre anni fa, era vero due anni fa, era vero l’anno scorso ed è vero oggi. E per tre anni sono state ignorate le preoccupazioni di chi aveva ovviamente ragione” ha scritto Vance su Truth.

Per il vicepresidente “i russi hanno un enorme vantaggio numerico in termini di uomini e armi e tale vantaggio persisterà indipendentemente da ulteriori pacchetti di aiuti occidentali. Riteniamo che il protrarsi del conflitto sia negativo per la Russia, per l’Ucraina e per l’Europa. Ma soprattutto, è un male per gli Stati Uniti. Alla luce di questi fatti, dobbiamo perseguire la pace, e dobbiamo farlo ora.

Il Presidente Trump si è candidato su questo, ha vinto su questo e ha ragione. È un’assurdità pigra e antistorica attaccare come ”appeasement” ogni riconoscimento che l’interesse dell’America deve tener conto delle realtà del conflitto. Questo interesse – non i moralismi o l’analfabetismo storico – guiderà la politica del Presidente Trump nelle settimane a venire” si legge nel post di Vance.

Infine, il 21 febbraio Trump ha messo la pietra tombale sulle aspirazioni di Zelensky di ricoprire un ruolo nei negoziati. “Se devo essere onesto, non penso sia importante la sua presenza agli incontri”. Zelensky ha fatto un cattivo lavoro nelle trattative finora“. Per questo farlo sedere al tavolo dei colloqui “non è una priorità“. Il presidente USA ha poi detto di aver avuto “ottimi colloqui con Vladimir Putin ma non altrettanto con gli ucraini” che “non hanno carte in mano, ma vogliono giocare duro. Non permetteremo che ciò continui”.

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Dichiarazione che potrebbe indicare che il presidente ucraino abbia i giorni o le settimane contate.

Siluro a stelle e strisce anche per gli anglo-francesi impregnati a salvare la faccia annunciando il possibile (quanto improbabile) invio di 30 mila militari in Ucraina. “Macron è un mio amico, Starmer è una persona carina ma non hanno fatto niente per mettere fine alla guerra in Ucraina. Io invece sta agendo per un motivo: odio vedere tutti questi morti“, ha detto Trump a Fox News.

Imbarazzante che l’Europa voglia impedire un accordo che inevitabilmente penalizzerà l’Ucraina e punti a continuare un conflitto che non intende combattere e in cui non potrà far prevalere Kiev.

Posizione ambigua e contraddittoria che ha permesso a Lavrov di chiedere ironicamente perché mai l’Europa voglia sedere al tavolo delle trattative quando è a favore della prosecuzione della guerra.

Fa sorridere osservare che in Italia ed Europa la politica perda tempo dietro a polemiche assurde come il “saluto nazista” prima di Elon Musk e poi di Steve Bannon e le accuse di “fascismo” rivolte ai movimenti sovranisti.

Il tutto mentre da tre anni armiamo e addestriamo le truppe di una nazione che ha come padre della patria Stepan Bandera e schiera reparti i cui soldati ostentano simboli del Terzo Reich e delle SS sulle uniformi e sui propri corpi, tatuandosi persino frasi tratte da “Mein Kampf”, come emerse già nel 2022 dalle immagini dei militari del reggimento Azov catturati a Mariupol e fatti spogliare dai russi.

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L’Europa in stato confusionale si sofferma su questioni grottesche ma si tiene lontana da un attento e pragmatico esame dei suoi interessi pesantemente compromessi in questi tre anni. Né sembra aver compreso le ragioni del nuovo corso di Trump che stanno in parte rovesciando la politica estera di Washington.

La nuova amministrazione statunitense sembra aver preso atto del profondo e irreversibile fallimento della strategia di Biden, e prima di Obama, tesa a isolare Mosca per farne crollare il governo e ottenere un cambio di regime in Russia destabilizzandone l’immenso territorio (dividendolo in repubbliche in guerra tra loro. come suggeriva l’allora premier estone Kaja Kallas).

L’obiettivo era indebolire il principale rivale degli Stati Uniti, la Cina, che sarebbe stata costretta a gestore una grave crisi continentale asiatica invece di concentrarsi sull’Indo-Pacifico.

Trump prende atto che tale strategia si è rivelata un boomerang perché Mosca non è crollata, la sua economia, pur con le difficoltà determinate dalla guerra, corre più di quella europea. Putin è saldo e sta vincendo la guerra sul campo di battaglia, dove le sue truppe continuano ad avanzare nelle regioni di Kharkiv e Donetsk e stanno cercando di circondare le forze ucraine penetrate nella regione russa di Kursk con una penetrazione nella regione ucraina di Sumy.

L’industria della Difesa russa produce più armi e munizioni di quella europea e statunitense sommate insieme, benché Mosca spenda in dollari poco meno di un decimo della NATO nel suo complesso.

Sul piano politico e strategico la messa al bando della Russia ha costretto Putin a guardare ad oriente, ad alleanze asiatiche che hanno rinsaldato i rapporti con i più importanti avversari di Washington: Iran, Corea del Nord e soprattutto Cina.

Trump trae le conclusioni, riconosce i gravi errori compiuti dal suo predecessore e cambia strategia: per indebolire (o non rafforzare) la Cina ora punta a riallacciare buoni rapporti con la Russia, puntando a riequilibrare la postura geopolitica di Mosca per sottrarla da un abbraccio troppo stretto con Pechino.

Un’operazione difficile ma che stranamente da questa parte dell’Atlantico in pochi hanno compreso che coinciderebbe anche con gli interessi dell’Europa, condannata al collasso industriale senza il gas russo.

Anche per questa ragione le dichiarazioni isteriche degli europei di questi giorni dimostrano ancora una volta che molti degli attuali leader non hanno compreso gli aspetti salienti dell’iniziativa di Trump, né forse hanno la capacità di farlo.

Del resto “l’analfabetismo geopolitico” e l’approccio settario di molti esponenti di spicco della UE è ormai noto ed è divenuto persino oggetto di scherno, come dimostrano i tweet del giornalista cinese Chen Weihua, (formatosi nelle università americane e da quasi 40 anni corrispondente del China Daily prima negli USA e ora in Europa), nei confronti della performance dell’Alto commissario europeo per la politica estera e di sicurezza, Kaja Kallas, alla Conferenza della Sicurezza di Monaco.

“Imbarazzante! Qualcuno ha posto a Kaja Kallas una domanda sulle relazioni tra UE e Gulf Cooperation Council (GCC). Ma dalla sua risposta lei chiaramente non sapeva cosa significasse GCC”, ha scritto su X.

Ancora più lapidario: “Non riesco a credere che l’UE possa avere un capo della diplomazia senza cervello. Parla come uno studente delle scuole superiori”.

Sipario.

@GianandreaGaian

Foto: X, MAGA, MSC, Presidenza Ucraina, Presidenza Russa e Ministero degli Esteri Russo, TASS e Presidenza Francese

 



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