Cara Ars, parlaci di Trump


I deputati regionali vivono in una “bolla” mentre là fuori si decidono le sorti del mondo. Oltre che dell’economia

Se la Meloni non si fosse trovata nella condizione di subalternità che l’attanaglia, dopo l’intervento alla convenzione dei conservatori americani, avrebbe dovuto esclamare “’tacci sua”. Altro che “volevo morì”. La spregiudicatezza di Donald Trump è un filino troppo anche per la nostra premier, che ha chiesto una pace “giusta” in Ucraina e si è detta comunque certa della lungimiranza del tycoon di fronte a una politica internazionale sempre più lacerata, che rischia di finire ostaggio dell’asse con la Russia. E che potrebbe avere dei riflessi pure su una terra di frontiera come la Sicilia, danneggiando la sua economia, e facendo temere per eventuali conflitti di guerra.

Ci hanno già tolto le riprese di The White Lotus, la fortunata serie HBO ambientata a Taormina (ora finirà in Thailandia). Ma al peggio non c’è mai fine: siamo nel cuore del bouleversement – lo sconvolgimento – invocato da un presidente che si crede l’imperatore del mondo. Così l’imposizione dei dazi da parte del governo americano rischia di avere una fenomenale ricaduta sull’export. Compreso quello siciliano. “Gli Stati Uniti – spiega Confindustria – sono la prima destinazione extra UE dell’export italiano di beni e servizi e la prima in assoluto per gli investimenti diretti all’estero”. Nel 2024 le vendite di beni italiani negli USA sono state pari a 65 miliardi di euro.

Ma se Trump continuerà in questa narrazione brutale della cara vecchia Europa, tutti i suoi amici dovranno ricredersi e diventare suoi rivali. Da Salvini in giù. E siamo certi che anche nella bolla dell’Assemblea regionale qualcuno dovrebbe porsi il problema di come affrontare questi rapidi cambiamenti sul fronte internazionale, spingendo un po’ più in là il proprio orizzonte: dalle solite province, divenute il tormento di quest’inverno (e almeno fino al prossimo 27 aprile), al mondo. Ma sarà in grado la nostra classe politica di alzare l’asticella e guardare oltre il proprio naso? Di analizzare i grandi avvenimenti internazionali e le conseguenze e i rischi che questi possono provocare in una terra di frontiera come la nostra?

Una risposta c’è già, purtroppo, ma speriamo non sia definitiva. E allora servirebbe un dibattito all’Ars, unico luogo deputato ad affrontare temi di statura elevata, per capire realmente cosa ci attende e come possiamo comportarci. Quali sono gli scenari per le nostre imprese e se esistono delle contromisure. Non è un modo per risolvere le questioni del mondo – ma quante volte Sala d’Ercole si affanna a elaborare leggi-voto che naufragano nel tragitto da Palermo a Roma? – bensì per impiegare il tempo in maniera costruttiva, anziché nelle classiche elucubrazioni sul collegato, sulle norme ordinamentali, sugli emendamenti di spesa (aggiuntivi). Sarebbe anche un buon modo per finirla con questa masturbazione sulle province e sulle elezioni di secondo livello per spartirsi 300 poltrone. Il confronto all’Ars – serrato e consapevole – sarebbe un buon modo per mettere insieme l’utile e il dilettevole (almeno si fa qualcosa, no?), ma soprattutto per dimostrare lungimiranza.

Nessuno pretende che il presidente Galvagno si metta di traverso ed impedisca a Trump di ridicolizzare il “comico” Zelensky, o di ricondurlo a più miti consigli; ma da parte dell’aula del parlamento ci può sempre aspettare un’iniezione di sensibilità che eviti analisi asettiche del mondo circostante. La Sicilia non è estranea a ciò che ci circonda, anche se fa il possibile per dimostrare il contrario. La “bolla” andrebbe infranta con un bagno di realismo, e invece l’unico ad aver pronunciato la parola Trump è Barbagallo, segretario del Pd, che ha accusato Schifani di somigliare al tycoon a causa della replica stizzita del governatore a un articolo di Repubblica (“scorretto e potenzialmente dannoso”) sul credito al consumo. Bazzecole in confronti ai grandi temi internazionali.

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I deputati siciliani, in rapporto al ruolo di responsabilità che ricoprono (rappresentanti dei cittadini e difensori della propria terra) non dovrebbero rimanere in disparte sui grandi temi, o parteciparvi soltanto occasionalmente e per partito preso (com’è accaduto con l’autonomia differenziata). Dovrebbero conoscere i rischi di un conflitto: sia che esso riguardi le vite umane in Ucraina o a Gaza; oppure le sorti del commercio. Nessuna programmazione d’aula può reggere a certe minacce e neppure le emergenze contingenti – vedi la crisi idrica, la sanità, i rifiuti – possiedono lo stesso valore intrinseco di uno scenario internazionale (quasi) compromesso.

Insomma: cosa pensa l’Assemblea regionale siciliana di Donald Trump? Perché non calendarizzare un dibattito di ampio respiro, intenso ma scorrevole (come il traffico a Ferragosto) visto che – peraltro – ai nostri parlamentari non mancherebbe il tempo? A Palazzo dei Normanni non si parla mai di niente (né di riforme, né di sviluppo), tranne che in circostanze eccezionali. Tutte le procedure di legge ingolfano le commissioni e prima di vederle in aula per la discussione e il voto ce ne passa. Infilarci mezza discussione su Trump e il ruolo internazionale dell’America ai tempi di Elon Musk (senza infastidire gli amici patrioti), sulla convergenza con Putin e i rischi connessi, potrebbe rappresentare un momento di svolta della legislatura più lenta che si ricordi. Un momento, va da sé, di ampio respiro.





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