Consulenza, (anche) in Italia nei prossimi anni sempre più parcella e integrazione diretta di ETF


Offrire una consulenza che vada oltre la tradizionale gestione di portafoglio e che sia più orientata all’offerta di una gamma più ampia di servizi personalizzati. Simone Rosti, responsabile per l’Italia e Sud Europa di Vanguard commenta alcuni dati di Cerulli Associates.

La consulenza finanziaria si muove rapidamente cercando di adattarsi ai tanti cambiamenti demografici e non solo. Come noto, in Italia, il modello della consulenza finanziaria è ancora fortemente orientato sulle soluzioni attive. Secondo dati Assoreti, i fondi attivi rappresentano il 26,7% degli asset gestiti e una scarsa diffusione diretta degli ETF (1,7%), soluzioni invece ampiamente presenti nelle polizze unit-linked e nelle gestioni patrimoniali. Come spiega Simone Rosti, responsabile per l’Italia e Sud Europa di Vanguard, in un suo recente commento, il sistema di remunerazione del consulente è ancora prevalentemente legato a logiche di distribuzione dei prodotti d’investimento, ma la crescente domanda per un servizio più trasparente e indipendente potrebbe favorire un’evoluzione simile a quella americana.

“Nei prossimi 30 anni si prevede in Italia un ricambio generazionale della ricchezza, con il trasferimento di 3.800 miliardi di euro alle generazioni successive. Per i consulenti finanziari italiani diventa quindi fondamentale ampliare il dialogo con il nucleo familiare dei clienti, offrendo una consulenza che vada oltre la tradizionale gestione di portafoglio e che sia più orientata all’offerta di una gamma più ampia di servizi personalizzati”, dice Rosti. Secondo l’esperto, l’adozione su larga scala della consulenza a parcella e l’integrazione diretta di ETF e fondi indicizzati nei portafogli potrebbero inoltre portare a una maggiore efficienza, trasparenza e convenienza per gli investitori italiani.

USA, dal broker al wealth manager

Proseguendo nel commento di Vanguard di noterà come, negli Stati Uniti, il ruolo del consulente finanziario ha subito un’importante trasformazione, passando da semplice intermediario di prodotti finanziari a wealth manager olistico, capace di erogare una gamma completa di servizi personalizzati e di instaurare con la clientela di fascia elevata una relazione basata sulle esigenze, andando oltre le soluzioni.

Secondo alcuni dati pubblicati da Cerulli Associates, i wealth manager, pur rappresentando solo il 10% dei consulenti gestiscono il 18,2% degli asset del mercato USA grazie ai loro alti livelli di produttività. I wealth manager con i maggiori portafogli lavorano nell’ambito delle wirehouse a cui sono affidate masse totali pari a 10.500 miliardi di dollari, in un mercato che complessivamente vale 37.100 miliardi di dollari[.  Sempre secondo i calcoli di Cerulli Associates, l’ammontare medio dei portafogli dei wealth manager che operano in queste reti è a pari a 269,9 milioni di dollari. “I dati evidenziano come la figura del wealth manager trovi più spazio nelle reti di consulenza finanziaria americana che hanno un modello simile a quello italiano” sottolinea Rosti. “Guardando al modello americano, crediamo quindi che anche per i consulenti finanziari italiani vi sia margine per evolvere verso la figura del wealth manager”.

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Evoluzione del wealth manager statunitense

Cerulli Associates, nel suo studio con dati al 31 dicembre 2023, fa un identikit del wealth manager statunitense. Un’esperienza media di 19 anni nel settore, con una forte predominanza maschile (81,6%) e un’età compresa prevalentemente tra i 35 e i 64 anni. La capacità di offrire servizi aggiuntivi, come la consulenza legale e fiscale, è un elemento chiave del successo dei wealth manager delle wirehouse. Il numero medio di clienti gestiti per consulente è di 101, di cui 38 donne. La distribuzione dell’età dei clienti mostra una netta prevalenza di investitori tra i 50 e i 69 anni. L’8% dei wealth manager ha inoltre clienti con un’età inferiore ai 40 anni.

“Il wealth manager americano dialoga sempre di più con tutti i componenti della famiglia, affiancando alla pianificazione patrimoniale quella successoria così da essere preparato nel momento del passaggio della ricchezza, una fase molto delicata dove il consulente, se non è presente nelle relazioni con tutto il nucleo familiare, rischia di  perdere il cliente”, aggiunge Rosti.

Cresce la consulenza a parcella

Inoltre, sempre secondo alcuni dati raccolti alla fine del 2023 da Cerulli Associates, il 72% dei wealth manager statunitensi oggi utilizza un modello a parcella, garantendo maggiore trasparenza e allineamento con gli interessi del cliente. Questo modello ha ridotto i conflitti di interesse, aumentando la fiducia tra consulente e investitore. Inoltre, il costo medio della consulenza a parcella è sceso nel tempo, rendendolo un modello più accessibile e sostenibile per una platea più ampia di clienti. In media, negli USA la consulenza a parcella è pagata 96 punti base.

Nello stesso studio si legge come, tra i motivi che hanno portato al prevalere della consulenza a parcella emerge la maggiore chiarezza nei costi e la crescente domanda di servizi personalizzati. Nel 2013, il 62% dei clienti riteneva poco chiari i costi della consulenza finanziaria, ma nel 2023 questa percentuale è scesa al 21 per cento. In parallelo, la quota di consulenti che adottano il modello a parcella è passata dal 31% al 72% e ci si aspetta che arrivi al 77% entro il 2026.

L’elemento chiave del successo della consulenza a parcella negli Stati Uniti è la costruzione di un rapporto basato sulla fiducia. Secondo il MarketCast di Cerulli Associates a fine dicembre 2023, i fattori che incidono maggiormente sulla soddisfazione del cliente sono la reputazione del consulente (36%) che include trasparenza e onestà, e la qualità del servizio offerto (23%). Paradossalmente, la performance degli investimenti pesa solo per il 14%, segno che i clienti danno più valore alla relazione con il proprio consulente che ai soli ritorni finanziari. Il 71% dei wealth manager non costruisce direttamente i portafogli dei clienti, delegando questa attività a specialisti interni o a modelli di investimento standardizzati. Ciò consente loro di concentrarsi sulla relazione con il cliente e sulla personalizzazione dei servizi.

“Questo cambio di paradigma ha avuto un impatto diretto sulle strategie di investimento adottate dai wealth manager, favorendo strumenti più efficienti in termini di costi e trasparenza, come ETF e fondi indicizzati”, conclude Rosti.



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