Platone e Aristotele
Se è ancora fondamentale parlare di Platone (428-328 a.C. circa) e di Aristotele (384-322 a.C.), è perché il pensiero occidentale vi fa ancora riferimento, per onestà intellettuale, duemilacinquecento anni dopo. Entrambi saranno stati i precursori, l’uno della rigore del discorso scientifico, della logica e della fonte metafisica di tutta la fisica, l’altro del possibile e pertinente accesso filosofico della mente alla realtà metafisica.
Trascendenza e immanenza di Dio
Aristotele fonda la scienza fisica, dimostra che essa dipende dalla metafisica: «se nulla è primo, assolutamente nulla è causa» (Metafisica I, a c. 2), stabilendo una seconda scienza che chiama teologia, e la sua distinzione tra potenza e atto non avrà successo, fino a risolvere il mistero quantistico definendo piani ontologici distinti (cfr. Wolfgang Smith).
Platone andrà oltre, in termini di metafisica, dimostrando che il senso (il significato) è inafferrabile e ci viene dall’alto (ciò che egli chiama il mondo delle Idee). È fondamentalmente la distinzione tra la ragione, che calcola e ragiona sotto la guida della logica, e l’intelligenza, che riceve il senso “dall’alto”. Una cosa è ragionare (la ragione), un’altra è comprendere il ragionamento (l’intelligenza). Questa ricezione, comune a tutti gli uomini, è una rivelazione in sé.
In un certo senso, mentre Aristotele giunge scientificamente alla necessità di una trascendenza (il suo primo motore non causato), Platone mostra filosoficamente la realtà dell’immanenza di questa trascendenza – la quale immanenza risiede o è il nostro stesso spirito, secondo la tripartizione dell’uomo: corpo, psiche, spirito.
Trascendente e allo stesso tempo immanente, ecco come si definisce Dio. Che Lo si chiami “la causa prima delle cause (αἰτίαν πρὸ αἰτίας)” (Archimede/Archita), il “Principio universale” (Filolao), il Bene supremo (Platone), la “Causa prima” o il “primo Motore immobile” (Aristotele), l’”Uno-Bene” (Plotino) o, più recentemente, il “Principio primo” (Cartesio), la “ultima ragione delle cose” (Leibniz), il Non-Essere (Guénon), il Sù-Essere (Schuon), la Realtà ultima (Chenique), l’Assoluto, la Tutta Possibilità, ecc., è, nella sua forma più semplice, Dio, nella filosofia come nelle religioni. Questa grande variazione del vocabolario non è certamente insignificante, ma, in ogni caso, mantiene, da un lato, la necessità di un primo “antecedente” incausabile e, dall’altro, la sua presenza nell’umano spirito.
Se il riconoscimento della Trascendenza può essere sufficiente per la conoscenza scientifica, è perché non fa parte del suo oggetto; d’altra parte, una volta riconosciuta l’Immanenza di Dio allo spirito umano, non si può più pretendere di pensare senza di Lui. Pensare veramente (cioè non ragionare o calcolare, anche se si tratta di idee), significa anche adottare sempre un punto di vista assoluto, quello dell’immanenza di Dio. Credere che questo punto di vista “assoluto” sia nostro, individuale, significa semplicemente averlo usurpato con un’incredibile presunzione. Naturalmente, le straordinarie capacità mentali di ragionamento e di calcolo dell’uomo possono ingannarlo, oscurando l’esperienza di questa immanenza.
D’altra parte, la presenza di Dio nell’uomo e nella sua vita, una volta riconosciuta e accettata, relativizza tutti gli altri argomenti al punto che: essendo Dio, il resto non ha importanza e, se non ci fosse, nulla avrebbe interesse!
Immanenza di Dio e religioni
L’homo religiosus è una realtà antropologica che si incontra sempre e ovunque; esso costituisce il legame tra l’immanenza divina e la religione. Questo legame risiede nella congiunzione della “rivelazione” individuale di ogni uomo (l’immanenza divina nel suo spirito) con una rivelazione storica, sia essa non personale (Veda indù), trasmessa attraverso un uomo (Laozi, Buddha, Mosè, Maometto) o, direttamente, divina (Cristo).
La presenza di Dio che non si può più negare (la sua immanenza allo spirito) trova quindi nella religione i linguaggi teologici che le corrispondono, secondo le variazioni culturali dei popoli.
Da allora, partecipare alle pratiche rituali di una data religione diventa essenzialmente l’espressione di una totale umiltà di fronte alla grandezza divina. Ciò che poteva sembrare “artificiale” o “fuori luogo”, diventa, nell’umile riconoscimento della trascendenza e dell’immanenza di Dio, il richiamo, sempre da rinnovare, della sua condizione di semplice creatura.
Questa creatura è, allo stesso tempo, insignificante e mortale, ma dotata dello spirito di Dio. Può prendere coscienza che la sua fine è identica alla sua fonte. Viene da Dio e va a Dio, che non ha mai lasciato metafisicamente.
Nel linguaggio cristiano
La rivelazione cristiana, la cui teologia, su questa base unica, ha sintetizzato e trasceso il giudaismo e la filosofia greca, si esprime sulle realtà metafisiche in un modo che la scienza metafisica non avrebbe potuto sviluppare da sola, e le illumina. Ad esempio:
- Il Bene, al di là dell’essenza (Platone), poiché bonum est diffusum sui (“il bene è diffusivo di se stesso”), diventa “Dio è Amore” (1 Gv 4, 16).
- La sfera delle idee astratte (Platone) o l’immanenza di Dio nello spirito umano diventa “la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1, 9).
- Questa immanenza di Dio nello spirito umano è formulata così da S. Agostino: “Lo Spirito è quello del Padre e del Figlio e nostro” (De Trinitate, V, 14).
Più in generale, il Dio unico e trinitario, mostrando che una Persona (il Padre, il Figlio) è solo pura Relazione (paternità, filiazione) e che una pura Relazione (di Dono, di Amore) può essere una Persona (lo Spirito Santo), apre a una metafisica della relazione che può superare i limiti di una metafisica dell’essere più comune.
In fisica
La Causa prima (metafisica) non può far parte della fisica, né per Aristotele né per l’attuale astrofisico Marc Lachièze-Rey (1950-): “Il processo fondante dell’Universo, se esiste, non ha potuto svolgersi nel quadro dell’Universo poiché ha portato, appunto, a creare questo quadro. […] la fisica non può concepire ciò che avrebbe potuto accadere prima, che questo prima sia cronologico […] o fondatore, esplicativo […] ».
La causa finale di Aristotele (ciò in vista del quale una cosa è fatta), che fonda la sua fisica, è respinta dalla scienza moderna, ma ritorna nelle opzioni scientifiche eterodosse: l’intelligent design o gli argomenti della complessità irriducibile (Behe, 1952-) e dell’informazione complessa specificata (Dembski, 1960-), il principio antropico (Carter, 1942-), o ancora la teoria dei campi morfogenetici (Sheldrake, 1942-), o la causalità verticale (Wolfgang Smith, 1930-2024).
Il fisico Bernard d’Espagnat (1921-2015) arriva a suggerire una ricerca a monte della relatività del tempo, come l’“eternità” e la “creazione continua”. Suggerisce inoltre di avvicinare, dalla sua “causalità estesa”, la causa finale aristotelica (“essendo il reale primo rispetto al tempo, la causalità che esercita non può essere soggetta a una rigida condizione di anteriorità”), dalla sua “realtà velata”, la potenza e l’atto dello Stagirita e, in seguito a Heisenberg (1901-1976), confortato dalla recente teoria della decoerenza, la materia prima della “funzione d’onda dell’Universo”. Propone anche, a nostro avviso giustamente, di avvicinare il suo “reale velato” al mito della caverna di Platone, con un parallelo tra il Bene platonico e il “reale”; è, lontano da ogni idealismo, il “realismo delle essenze” di Platone. Questo è ciò che suggeriva anche il fisico Bryce DeWitt (1923-2004):
Prendere la meccanica quantistica alla lettera significa considerare questa teoria come la vera realtà, cioè come appartenente al dominio platonico delle essenze ideali.
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