Il pentito Barbieri: “Uccisi i rivali, il clan Bonavota si dedicò alle estorsioni”


Nei verbali a diposizione della Dda di Catanzaro, il pentito Onofrio Barbieri racconta l’affermazione dei Bonavota nell’economia locale attraverso estorsioni, avvertimenti e danneggiamenti ai danni di imprenditori ad esempio come Pippo Callipo e commercianti


VIBO VALENTIA – La presenza del clan Bonavota in altre regioni d’Italia e a lunga sfilza di estorsioni sono al centro dei verbali del pentito Onofrio Barbieri rilasciati alla Dda di Catanzaro e depositati al processo d’Appello “Rinascita-Scott” le cui prossime udienze saranno il 5-12-19 e 25 marzo per il momento nell’aula bunker di Catania, in attesa di tornare in quella di Lamezia, ancora oggetto di lavori.

LE RAMIFICAZIONI DEI BONAVOTA IN PIEMONTE…

L’ex killer della cosca di sant’Onofrio riferisce delle ramificazioni della stessa in Piemonte grazie alla presenza di uno zio dei Bonavota il cui nome è già ampiamente emerso nelle varie inchieste della Dda di Torino: “Sono al corrente che in Piemonte opera a livello criminale Salvatore Arone, zio dei Bonavota, che aveva un proprio gruppo criminale che faceva riferimento a loro”, ha affermato aggiungendo che a Milano il clan era collegato “con l’imprenditore Francesco Mallamace, che stava sotto di noi, tramite il quale riuscivano ad ottenere lavori nel Nord Italia, grazie al suocero di Gaetano Lo Schiavo, del quale al momento non ricordo il nome”.

Il pentito specifica che sia Mallamace che il suocero di Lo Schiavo “procacciavano dei lavori per conto dei Bonavota al Nord” e infine che i rapporti con lo stesso li intratteneva con Francesco Fortuna: “Il suocero di Lo Schiavo – rileva Barbieri – sapeva perfettamente che il nostro era un gruppo criminale e sono a conoscenza che lui per nostro conto ha garantito la nostra infiltrazione in numerosi lavori al Nord, in particolare in Liguria e Milano. Questo avveniva all’incirca nel 2014”.  Mentre di Gaetano Lo Schiavo Barbieri dice che questi “è un ragazzo di Sant’Onofrio che appartiene a noi. Intendo che girava con noi, che se c’era bisogno di qualche cosa si metteva a disposizione”.

…E DALLA LIGURIA AL CANADA

Tornando alle ramificazioni del clan fuori dalla Calabria, il collaboratore aggiunge che in Liguria il responsabile criminale dei Bonavota “era Onofrio Garcea del quale Fortuna e Domenico Bonavota erano soci occulti nella gestione di un bar”. Infine, sui rapporti transoceanici della cosca afferma: “Non so se i Bonavota hanno ramificazioni in Canada anche se sono al corrente che Nicola si recava spesso in quella Nazione dove i parenti erano proprietari di esercizi commerciali, specificatamente bar e ristoranti”.

BARBIERI: “SALVATORE E NICOLA BONAVOTA PRATICANO USURA”

Onofrio Barbieri si sofferma poi su altri soggetti che indica essere appartenenti al sodalizio criminale come Salvatore Bonavota “un altro dei fratelli di Domenico. Specifico che in totale sono sette fratelli, gli altri tre sono Giuseppe, Antonio e Bruno però non c’entrano niente con noi e non si occupavano delle cose che facevano gli altri. Salvatore si occupava di usura insieme al fratello Nicola e di spaccio dì cocaina. So questo perché la droga la prendeva sempre da noi, mentre con riferimento all’usura lo vedevo che prestava soldi a gente di Sant’Onofrio, sebbene non sono in grado di indicarvi a chi nello specifico”.

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GLI ALTRI SOGGETTI INDICATI DAL PENTITO COME “SODALI DEL CLAN”

Altre due figure riferite dal pentito sono quelle di Raffaele e Domenico Cugliari, due fratelli che “stavano a nostra disposizione, che ci accompagnavano anche con la macchina da esponenti di altre consorterie con il primo che avrebbe anche aiutato Mimmo Bonavota durante la latitanza. I due congiunti “gestivano una sala giochi che si trovava a Pizzo, nei pressi della banca” e in società con loro “c’erano Nicola e Domenico Bonavota che si occupavano per loro conto di sistemare anche le macchinette dì poker presso le varie attività commerciali. Domenico Cugliari è lo stesso al quale si contesta una rapina presso una banca, in cui hanno messo anche a me, che invece non c’entro niente. Io di questo fatto non so niente e a parte lui e Giuseppe Lopreiato, gli altri concorrenti nella rapina neanche sapevo chi fossero e li ho conosciuti solo dopo, in carcere”.

BARBIERI: “BASILIO DE FINA DOVEVA ESSERE UCCISO”

Il collaboratore fa riferimento anche a Francesco Santaguida, nipote di Basilio De Fina, che abita a Torino precisando che il suo gruppo “non andava d’accordo con quest’ultimo e con Antonino De Fina, motivo per il quale questi soggetti dovevano essere uccisi anche perché Basilio assumeva delle iniziative senza rendere conto al nostro gruppo e poi perché una volta ha tentato di alzarmi le mani in piazza a Sant’Onofrio. Questi fatti si sono verificati tra gli anni 2014-2015”.

LE MANI DEL CLAN BONAVOTA SULL’ECONOMIA LOCALE

Eliminati i rivali (i fratelli Cracolici, Di Leo e Belsito) nel 2005 il clan Bonavota ha potuto dedicarsi alle attività illecite: “Non c’era più bisogno di pianificare altri omicidi in quanto – racconta ancora il pentito Barbieri – una volta eliminati i nostri rivali, ormai comandavamo noi sul territorio”. E così, via alle estorsioni agli imprenditori nella zona dell’area industriale di Maierato e su Pizzo ma non a Sant’Onofrio sempre per quella “dottrina” criminale che esclude di tartassare i commercianti locali – soprattutto se i centri di origine della cosca sono piccoli – per non perdere consenso.

LA LUNGA SEQUELA DI ESTORSIONI, DANNEGGIAMENTI E AVVERTIMENTI

E tra le estorsioni commesse per conto dei Bonavota, a partire dal 2011, dopo la sua scarcerazione, il pentito Barbieri indica quella a Levalto (in realtà è Evalto), cognato di Paolino Lo Bianco, che si occupa di movimento terra e che all’incirca nel 2014 stava eseguendo dei lavori a Maierato. “Ricordo che lui si sentiva forte della parentela coi Lo Bianco e sicuro che non lo toccassimo non era venuto a trovarci. Andai allora insieme ad Antonino Patania sul cantiere a sparare ai suoi escavatori e fu allora che venne ad aggiustarsi da Domenico Bonavota, ma non so quali furono i termini tra i due perché andai via. Non ci rivolgemmo ai Lo Bianco in quanto fu Levalto direttamente ad aggiustarsi con noi”.

Nel 2014, Barbieri, sempre insieme a Patania, racconta di aver collocato “una bottiglia incendiaria vicino ad un escavatore della ditta Restuccia, che si era aggiudicata un lavoro a Maierato” e che subito dopo quel fatto Gregorio Gioffrè si sarebbe recato da Domenico Bonavota con cui “si accordò sull’estorsione che la ditta avrebbe dovuto pagarci”. E Gioffrè, indicato essere colui il quale era incaricato dalle varie cosche di chiudere le estorsioni avrebbe funto da intermediario con Bonavota “anche con riferimento all’estorsione all’azienda Spi”. Mandante delle estorsioni, secondo il pentito sarebbe stato sempre Mimmo Bonavota “che mi chiese di andare a toccare questi due, in modo che ci dessero qualcosa”.

IL PENTITO BARBIERI: “LE ESTORSIONI A PIPPO CALLIPO E QUELLA AL CASEIFICIO VINCI LE DECISE DOMENICO BONAVOTA”

Tra le estorsioni vi fu anche quella ai danni di Pippo Callipo, “l’imprenditore, quello del tonno” afferma Barbieri specificando che questa venne decisa da lui e sempre da “Domenico Bonavota, mentre ci trovavamo da soli all’interno del fratello Nicola; decidemmo di avvicinarlo per farci pagare o per assumere qualcuno – continua il pentito – e quella stessa sera in cui parlammo, Domenico mandò Lopreiato e Febbraro a sparare alle vetrate dell’azienda che si trova tra Pizzo e Maierato”. Per questo stesso fatto i due poi sono stati arrestati nell’operazione “Conquista”, insieme a Bonavota, Barbieri ed altri sodali del gruppo anche e soprattutto per gli omicidi Cracolici e Di Leo.

Dieci anni prima, nel 2004, Barbieri mise in atto, “sempre insieme a Patania” un altro avvertimento, lasciando una bottiglia incendiaria con proiettili al Caseificio Vinci: “Per la definizione degli accordi criminali in relazione a questa vicenda ho avuto modo di assistere ad un incontro tra Domenico Bonavota e tale “Nasone” (l’alias col quale viene chiamato Gioffrè, ndr) nel corso della quale venne raggiunto un compromesso per la definizione delle modalità attraverso percepire i proventi estorsivi. Questo “Nasone” intervenne per la risoluzione di questa estorsione in quanto Vinci era un soggetto originario del suo stesso comune ovvero San Gregorio”.

GLI OPERAI ALLONTANATI DAL CANTIERE A PIZZO

Nello stesso anno il collaboratore, su “mandato di Domenico Bonavota,  e unitamente ancora ad Antonino Patania”,  afferma di aver messo  una bottiglia incendiaria ad una ditta di ferramenta ma di non sapere in che termini sia  stata poi definita quella vicenda”, mentre, sempre “su mandato di Domenico Bonavota, unitamente a Salvatore  Morelli,  che era stato mandato da Andrea Mantella – ci siamo recati a Pizzo, dove erano in costruzione delle villette, minacciando gli operai che stavano eseguendo i lavori”. Il pentito specifica che in quella circostanza fecero allontanare gli operai dal cantiere dicendo loro che se “avessero voluto continuare a lavorare avrebbero dovuto pagare i Santonofresi”. Ma anche in questo caso, Barbieri precisa di non sapere se poi l’estorsione venne chiusa.

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L’ULTIMA ESTORSIONE DEL PENTITO BARBIERI PRIMA DEL SUO ARRESTO

L’ultima estorsione presente nella memoria del pentito è quella ai danni della “Fornacetta”, una attività di rosticceria che si trova a Pizzo per il quale aveva ricevuto l’ultimo mandato di cattura e per quella vicenda Barbieri riferisce di essersi recato, sempre per conto del clan Bonavota, con Patania a Mileto da Silvano Mazzeo, in “quanto il soggetto che aveva aperto l’attività era originario di quella zona, al quale chiedemmo di convocarlo affinché ci pagasse. Mazzeo prese appuntamento con lui e ci recammo da questi. Eravamo io e “Omissis” dicendogli che in quella zona comandavamo noi e che doveva pagare. Lui rifiutò e non so come sia finita. So, però, che Domenico Bonavota, ogni volta che voleva, mandava Omissis da lui e si riforniva di cibo senza pagare nulla”.



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