L’accordo Italia-Albania sulla gestione dei migranti, è un “pesante attacco ai fondamenti della democrazia viene giustificato con motivazioni che alimentano l’idea, palesemente strumentale e non basata su dati reali, che le persone che arrivano alle nostre frontiere rappresentino un pericolo e che qualsiasi misura è giustificata pur di fermarle”. E ancora: “L’accordo è stato presentato dal governo italiano come una misura innovativa ed efficace per il controllo dell’immigrazione, ma nella sostanza si configura come un ennesimo modello di detenzione generalizzata e allontanamento fisico della persona migrante”. È quanto si legge rapporto del Tavolo asilo e immigrazione (Tai), dal titolo: “Oltre la frontiera”, diffuso oggi (25 febbraio) in una conferenza stampa presso l’Hotel Nazionale, in piazza Montecitorio a Roma.
Il Protocollo e la realizzazione dei centri di detenzione in Albania hanno da subito sollevato un intenso dibattito politico e giuridico, mettendo in evidenza numerose criticità relative alla tutela dei diritti fondamentali delle persone coinvolte. Il fallimento dei tre viaggi della marina italiana, con la mancata espulsione dei migranti intercettati nel Mediterraneo ha poi confermato la farraginosità del modello. Ora, il rapporto del Tai, con le informazioni e i dati raccolti durante le tre visite di monitoraggio svolte oltre Adriatico, conferma in toto tutte le critiche finora sollevate.
Trasferimenti forzati e criticità giuridiche
Secondo il report, infatti, i migranti trasferiti in Albania subiscono una procedura accelerata che prevede una selezione iniziale a bordo di navi militari italiane. Tuttavia, la rapidità con cui avviene questa fase rischia di compromettere la corretta valutazione delle condizioni di vulnerabilità. Le modalità con cui i trasferimenti vengono eseguiti, “l’opacità del sistema di garanzie” e le “difficoltà nell’accesso alla protezione internazionale” rendono questo accordo estremamente problematico, si legge nel documento.
Durante una delle missioni di monitoraggio, un migrante ha raccontato che quando lo hanno fermato in mare, non sapeva dove lo avrebbero portato. Gli è stato comunicato solo che andavano in un altro Paese, senza spiegazioni. Un altro ha riferito di aver chiesto di parlare con un avvocato, ma di non aver ricevuto risposta.
Limitazione del diritto alla difesa
Uno degli aspetti più critici riguarda la limitazione del diritto alla difesa. I migranti hanno solo sette giorni per presentare ricorso contro un eventuale diniego di protezione, un termine estremamente ristretto considerando le difficoltà di accesso agli avvocati. Inoltre, la presenza di enti di tutela è stata finora limitata e spesso ostacolata da regole di accesso poco chiare. Senza un effettivo controllo indipendente, quindi le persone coinvolte rischiano di essere private di qualsiasi tutela giuridica, sottolinea il report.
Condizioni nei centri di detenzione
Le strutture destinate all’accoglienza e alla detenzione dei migranti in Albania presentano, poi, caratteristiche allarmanti. Il centro di Gjader, destinato al trattenimento dei richiedenti asilo, include anche un Cpr (centro di permanenza per il rimpatrio) e una struttura detentiva simile a un carcere. La coesistenza di questi diversi regimi all’interno dello stesso complesso solleva interrogativi sulla natura giuridica della detenzione e sulle garanzie effettivamente offerte alle persone trattenute.
Secondo un’operatrice legale presente in una delle missioni di monitoraggio, molte delle persone che non avevano idea di dove fossero, non conoscevano i loro diritti e non avevano ricevuto informazioni chiare. Un altro testimone ha descritto le condizioni nel centro di Gjader: stanze piccole, letti ammassati, limitazioni di movimento.
Secondo le osservazioni delle missioni di monitoraggio, le condizioni di trattenimento risultano particolarmente restrittive, con limitazioni nell’accesso alle informazioni e alla difesa legale. I migranti, inoltre, subiscono perquisizioni e vengono privati dei telefoni cellulari, riducendo così ulteriormente la loro possibilità di comunicazione con l’esterno.
Effetto domino sulle politiche europee
Se l’accordo verrà implementato su larga scala, a detta del Tavolo Asilo, potrebbe costituire un precedente per altri Paesi dell’Ue, rafforzando la tendenza a spostare la gestione delle migrazioni sempre più lontano dai confini europei. L’Europa sta progressivamente trasformando la protezione internazionale in un concetto sempre più astratto, svuotando di significato il diritto d’asilo, si deduce dal rapporto.
La normalizzazione di trasferimenti forzati e detenzioni al di fuori del territorio nazionale rappresenta, poi, un rischio per la tenuta delle istituzioni democratiche, poiché introduce una logica emergenziale che potrebbe essere replicata in altri ambiti della governance migratoria. Per questo, la società civile e le istituzioni indipendenti continueranno a monitorare con attenzione l’evolversi della situazione.
Un modello sbagliato
“Questo modello di esternalizzazione della frontiera, l’idea cioè di portare la nostra giurisprudenza fuori dai confini italiani, così come tutto il capitolo relativo ai Paesi sicuri, senza considerare che le persone che possono avere delle situazioni soggettive completamente diverse tra loro, è contrario al diritto internazionale. A partire alla Convezione di Ginevra”. A dirlo è Kourosh Danesh, dell’ufficio immigrazione della Cgil, che fa parte del Tavolo asilo.
Il fatto che sia un modello sbagliato, continua Danesh, “ce lo hanno confermato i tribunali italiani. Mentre le tre missioni del Tavolo asilo, durante i tre trasferimenti forzati tentati finora, ci dicono che quello che il la presidente Meloni vuole è fuori da qualsiasi contesto giuridico, ma anche umano e politico. Sono stati spesi un sacco di soldi per nulla”.
Conclude Danesh: “Su questo tema, però, ci sarà presto il pronunciamento della Corte di giustizia europea, che molto probabilmente ci darà un’ulteriore conferma di tutti gli errori commessi finora. Perché non potrà essere molto differente rispetto a quello già espresso dalla stessa corte del novembre scorso. Quello italiano è un modello in netto contrasto con le direttive europee e con tutto quello che viene sancito dal diritto europeo”.
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