Patrick, Patricia, carcere di Pescara: morti di Stato


 

«Il carcere brucia» e si resta a guardare ha denunciato Claudio Bottan, vicedirettore di Voci Di Dentro, lo scorso 12 febbraio. «Le fiamme si alzano spesso» è sottolineato nell’articolo pubblicato sul sito dell’associazione. Una realtà drammatica, che pone tanti interrogativi e che denuncia quel che accade nei non luoghi nel silenzio omertoso e colpevole di tanti supposti defensori fidei della Costituzione Italiana.

La morte è «una componente di cui sono permeate le pareti delle celle» tra «l’odore ferroso del sangue che cola, gli occhi sbarrati di chi ha trovato la scorciatoia per la libertà inalando il gas della bomboletta o stringendosi al collo un nodo scorsoio» ha testimoniato Claudio Bottan (ex detenuto, attivista e redattore di Voci di Dentro) l’11 agosto dell’anno scorso su Il Dubbio.

«Immagini che continuano a popolare i miei incubi notturni» tra «autolesionismo, suicidi tentati e – troppo spesso – riusciti» e «diventano routine, soprattutto d’estate quando le poche attività che si svolgono in carcere sono sospese e ad abbondare rimane solo il tempo» prosegue nel suo racconto da quelli che appaiono gironi infernali, «un tempo vuoto in cui si affollano i pensieri e sale la tensione per il caldo e per le mancate risposte».

Patricia è morta nel carcere di Pagliarelli a Palermo, come abbiamo raccontato lo scorso 30 gennaio. La sua morte approderà in Parlamento con l’interrogazione presentata da Ilaria Cucchi. «La 54enne è morta in una cella del carcere palermitano il 12 gennaio, appena quattro giorni dopo avervi fatto ingresso trasferita dal femminile di Rebibbia. È arrivata in ambulanza ed è stata collocata in una cella con altre tre detenute, una delle quali le avrebbe dovuto fare da piantone per assisterla nei bisogni quotidiani. Non è stato necessario: il suo corpo malato ha ceduto presto. Quali erano le reali condizioni di salute della donna al momento del trasferimento da Rebibbia? Solo una settimana prima era stata dimessa dopo un ricovero e rimandata in cella per poi, l’8 gennaio, partire per Palermo. Era nelle condizioni per affrontare il lungo viaggio?

E, infine, al Pagliarelli avrebbe potuto essere adeguatamente assistita per le molte gravi patologie di cui era affetta? – scrive Claudio Bottan in un nuovo articolo sul sito web di Voci di Dentro il 13 febbraio scorso – Di Patricia Nike sappiamo ben poco, probabilmente quello non è neppure il suo vero nome stando a quanto trapela dalla comunità nigeriana. Un fantasma, l’ombra di una donna che a Roma trascinava le sue sofferenze fisiche e mentali da una struttura d’accoglienza all’altra senza pace. Nella storia della donna nigeriana sono concentrati tutti gli elementi che caratterizzano la maggior parte degli abitanti del pianeta carcere: povertà, emarginazione, fragilità, dipendenze e malattia. Persone di cui ci importa poco e preferiamo sapere ben nascoste alla nostra vista. Ma pur sempre persone».

«Patrick era un ragazzo di 20 anni, sordo muto, autistico e con ritardo cognitivo. Viveva con una fragilità che avrebbe dovuto garantirgli protezione, ma invece ha trovato la morte nel carcere di Castrogno. Il 13 marzo 2024, nel giorno del suo ventesimo compleanno, è stato violentemente picchiato.

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Procedura celere

 

Ci sono prove concrete che dimostrano le aggressioni subite nell’inferno di Castrogno – denuncia Marie Helene Benedetti, presidente di Asperger Abruzzo, nel comunicato del 18 febbraio «Torturato e ucciso nel carcere di Castrogno: la verità nascosta su Patrick Guarnieri» il carcere di Castrogno è stato segnalato più volte come uno degli istituti più problematici d’Italia. Le condizioni in cui versano i detenuti sono state oggetto di numerose denunce, eppure nulla sembra cambiare. Il caso di Patrick Guarnieri è la dimostrazione più drammatica di un sistema che fallisce proprio dove dovrebbe proteggere. Un sistema che non tutela i più vulnerabili, ma che li spinge in una spirale di abbandono e sofferenza, fino a renderli invisibili. Quando una prigione non garantisce nemmeno il diritto alla vita, può ancora essere considerata un’istituzione giuridica funzionante? O è piuttosto un luogo di annientamento, dove chi entra con fragilità non ha alcuna possibilità di uscirne indenne?».

«Patrick non è solo Patrick. In lui rivediamo i nostri figli, i nostri ragazzi, lasciati soli in un mondo che non li comprende e che troppo spesso li abbandona. La sua storia è la dimostrazione di quanto, ancora oggi, la disabilità venga ignorata, la fragilità venga punita e il sistema fallisca nel proteggere chi avrebbe più bisogno di tutela. Quando uno Stato permette che un ragazzo come Patrick venga incarcerato invece di essere aiutato, noi genitori ci poniamo una domanda inquietante: chi proteggerà domani i nostri figli?» ha sottolineato Marie Helene.

Poco più di una settimana fa il carcere di Pescara ha vissuto una giornata drammatica: dopo il suicidio di un egiziano si è scatenata una rivolta, l’incendio ha intossicato diversi detenuti. Nei giorni precedenti erano state chiuse le indagini sulla direttrice per l’ipotesi di reato di omissione di atti d’ufficio perché, riporta Il Messaggero Abruzzo il 14 febbraio, «in tempi diversi, dal 12 aprile 2023 indebitamente rifiutava il compimento di atti del proprio ufficio che, richiesti dal magistrato di sorveglianza, dovevano essere compiuti senza ritardo». Rifiuti di concedere in un determinato giorno ad un detenuto il colloquio con la moglie, autorizzazione ad una perquisizione “con denudamento” e quanto avvenuto dopo le proteste dei detenuti sulla scarsa qualità di cibo e altro.

«Siamo sereni e confidiamo di poter giustificare ogni addebito – ha dichiarato l’avvocato difensore a Silvia Pollice di Il Messaggero Abruzzo – Non so perché siano contestate queste mancanze alla direttrice Rossi, che fa parte della catena di montaggio insieme ad altre figure professionali interne ed esterne alla casa circondariale» aggiungendo «Credo che riusciremo a giustificare la maggior parte delle contestazioni e confido nella capacità delle memorie difensive che presenteremo di integrare la documentazione mancante nel fascicolo del pubblico ministero». Nelle ore successive il suicidio e la rivolta la direttrice è stata spostata dal DAP ad altro incarico.

«Una giornataccia che è la conseguenza diretta di una politica del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che usa il carcere come il luogo del concentramento di persone in stato di disagio, di giovani sofferenti per problemi di dipendenza, di emarginati sociali e stranieri – ha denunciato Francesco Lo Piccolo, direttore di Voci di Dentro – In definitiva quello accaduto a Pescara è il punto d’arrivo di una mala gestione che ha accatastato (tra sezione penale e giudiziaria) oltre 440 persone quando i posti sono appena 270, facendo crescere il numero dei detenuti di giorno in giorno. Il risultato è che tanti sono costretti a dormire per terra sulle strisce di poliuretano perché mancano brande a sufficienza, e altri vengono rinchiusi in locali senza il gabinetto come le sale colloqui avvocati, la stanzetta barberia o nelle stesse celle in disuso perché inagibili. Senza dimenticare che oltre alle brande mancano anche gli sgabelli e che nel carcere di Pescara o si mangia a turno o seduti sulle brande. E queste cose le ho viste di persona, come di persona ho visto gli agenti di polizia penitenziaria, anche questi in numero ridotto: appena 100 quando la pianta organica ne prevede 170 costringendoli così a tripli turni, oltre venti ore di lavoro di seguito».

«Io stesso lo scorso anno dopo una visita con Nessuno Tocchi Caino in una conferenza stampa avevo pubblicamente denunciato la situazione nel carcere di Pescara: 401 detenuti di fronte ad appena 276 posti, topi nelle celle, muffe alle pareti, perdite d’acqua sotto i lavandini, areazione insufficiente, poca luce, corridoi pieni di giovani e vecchi, poveri e malati, in stampelle, ciabatte e accappatoio, celle con 6 brande e solo 4 sgabelli, mancanza di lavoro e pochissime attività –  ha denunciato Lo Piccolo appresa la notizia della conclusione delle indagini sulla direttrice del carcere di Pescara – è da oltre due anni che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è a conoscenza delle disfunzioni e inefficienze e in questi due ultimi anni sono state diverse le ispezioni dei funzionari.

A cosa sono servite le indagini amministrative partite da Roma? Perché il Dap non ha risolto subito? E perché mai l’opinione pubblica deve venire a sapere queste cose solo perché intervengono le Procure? E che ruolo ha avuto l’ex garante regionale dei detenuti professor Cifaldi? Non sapeva delle violazioni dei diritti, diritti che invece doveva garantire? E che cosa dire dell’informazione locale che raramente ha preso in considerazione i comunicati di Voci di dentro “fidandosi” solo delle veline delle fonti ufficiali?».  

 

 

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