Reggio Calabria: sequestrò e costrinse a prostituirsi una connazionale nigeriana: condannato in Appello a 19 anni


È caduta l’associazione a delinquere, ma l’inchiesta coordinata dal sostituto della Dda Sara Amerio ha retto anche in secondo grado e la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria ha condannato Favour Obazelu a 19 anni di carcere per i reati di riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani, sequestro e violenza sessuale. Si è concluso così il processo a uno dei presunti boss della mafia nigeriana arrestato nel febbraio 2022 dalla squadra mobile perché accusato di aver reclutato una ragazza del suo Paese, di averla fatta entrare in Italia con l’inganno promettendole un posto di lavoro per poi costringerla a prostituirsi.

Il tutto dopo averle praticato il rito juju che, come ha più volte detto il pm in aula, “non ci deve fare sorridere. È qualcosa di violentissimo, di brutale: il taglio delle unghie, il taglio dei peli pubici, il sangue mescolato a una pozione che viene fatta bere. È caratterizzato da tutta una serie di rituali che ci sembrano usciti da un film dell’orrore. Eppure, sono reali”.

Considerato il capo di un culto chiamato Supreme Vikings Confraternity e già coinvolto in un’inchiesta per associazione mafiosa della Dda di Bari, Favour Obazelu era stato condannato in primo grado a 26 anni di carcere. Secondo i magistrati, l’imputato era l’aguzzino di una ragazza nigeriana, una donna giovanissima che ha attraversato un viaggio nel deserto, è stata tenuta in campi di detenzione e sottoposta a vessazioni. Tutto questo prima di salire su un barcone e arrivare in Italia. Giunta a Reggio Calabria nel 2014 a bordo di una nave militare, la vittima è poi scappata dal centro di accoglienza grazie all’aiuto di alcuni connazionali ed è finita a Bari, in una “connection house” in cui le ragazze nigeriane venivano violentate e picchiate. Costretta a prostituirsi per ripagare il proprio debito di 25mila euro, la ragazza non è riuscita a farlo e le è stato sottratto anche un figlio nato dopo uno stupro subito da Favour Obazelu, l’imputato che si faceva chiamare coi soprannomi “Fred” e “Friday”. Per la Procura di Reggio Calabria, era lui che aveva organizzato tutto: dal rito voodoo al viaggio della speranza, fino allo sfruttamento della ragazza che, durante il processo, ha avuto il coraggio di ripetere in aula le angherie subite.

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