Il sequestro Gancia e l’omicidio del carabiniere Giovanni D’Alfonso nel 1975: il brigatista Lauro Azzolini, 82 anni, davanti ai giudici. Il pm: “Fu lui a sparare”


Milano, 26 febbraio 2025 – “Lauro Azzolini è l’uomo che ha sparato all’appuntato Giovanni D’Alfonso e lo ha ucciso. Ha lasciato le sue impronte digitali sulla relazione che il brigatista, fin qui anonimo, ha scritto per i suoi capi”. Ad accusarlo, oggi, è il pm di Alessandria, Emilio Gatti, nell’aula dell’Assise che processa il Br reggiano (quattro ergastoli alle spalle e 82 anni di età) con Renato Curcio e Mario Moretti, capi storici dell’organizzazione, 84 e 79 anni. Azzolini è già stato indagato, ma un’istruttoria l’ha scagionato nel 1987. Il fascicolo, però, è finito a mollo, distrutto con tutto l’archivio del tribunale della città piemontese dall’alluvione del 1994. Per il suo legale, Davide Steccanella, un paradosso: la sentenza non c’è più e il processo (bis) si può fare. 

Una Fiat 127 fra le colline

La storia risale a cinquant’anni fa. E per capirla bisogna fare un balzo indietro, riannodando il filo di immagini in bianco e nero. Una Fiat 127 blu con targa dell’Esercito che arranca in salita, sovraccarica del peso di quattro persone. Dalla provinciale che costeggia la Bormida si infila su una ripida stradina a tornante, nel mezzo del bosco di una collina dell’Alto Monferrato. Il motore dell’utilitaria ringhia imballato, poi si ferma a pochi metri dalla facciata di una cascina, pietra e mattoni, che sembra deserta. Sono le 11.30 del 5 giugno 1975 e di lì a un istante si scatenerà la guerra. Il giorno prima, l’industriale vinicolo Vittorio Vallarino Gancia è stato sequestrato dalle Brigate rosse.

Mara Cagol (Trento, 1945) rimase uccisa nel corso di uno scontro a fuoco coi carabinieri alla cascina Spiotta d’Arzello, nel Monferrato, dov’era stato nascosto l’industriale Vittorio Vallarino Gancia

Uno dei loro è stato fermato poco dopo, svelando la matrice dell’azione. Umberto Rocca, 35 anni, tenente reggente della Compagnia di Acqui, il suo maresciallo, Rosario Cottafi, 50 anni, e l’appuntato Giovanni D’Alfonso, dopo una notte di ricerche, si sono rimessi al lavoro. Non sono né dell’antiterrorismo, né delle forze speciali. Sono della territoriale e di certo non pensano di avere scoperto il covo delle Br. Con loro, in borghese, anche l’appuntato Pietro Barberis, 50 anni, che li ha incontrati in Procura e ha deciso di accompagnarli in un “rastrellamento“, roboante definizione per un discreto controllo di cascinali sparsi nella campagna. Hanno visitato le rovine di un castello. 

L’intuizione

A uno dei militari viene l’idea di verificare anche quei tre casolari che si vedono dall’alto. Cascina Spiotta è l’ultima, quella davanti alla quale si presentano i quattro carabinieri. Dentro c’è il sequestrato, dal quale le Br sperano di ottenere un miliardo di lire. Con lui, Margherita (Mara) Cagol, trent’anni, moglie del fondatore delle Brigate rosse Renato Curcio, che lei stessa ha fatto evadere. C’è anche un terzo uomo, trent’anni circa, 1.75 di altezza, che per il pm è Azzolini. I carabinieri bussano, sorprendono i brigatisti che tentano una sortita. Parte una bomba a mano che sconcia il braccio del tenente e lo accieca. L’appuntato D’Alfonso resta a terra, falciato dai proiettili. I due brigatisti raggiungono una 127 e una 128 in sosta sotto un portico. Partono, ma l’auto dei carabinieri blocca la strada. Le vetture si bloccano, la 128 tampona la 127. Cagol e il compagno scendono, fingono la resa e parte un’altra bomba a mano. Barberis, rimasto vicino all’auto di servizio, è pronto a schivarla. Altri spari. A terra c’è il corpo di Mara Cagol. L’altro brigatista svanisce nel bosco, prima che qualcuno possa fermarlo. 

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La foto segnaletica dell'epoca di Lauro Azzolini, oggi 82enne. Assieme a Mario Moretti, Rocco Micaletto e Franco Bonisoli faceva parte del Comitato esecutivo, il massimo organo dirigente delle Brigate Rosse

La foto segnaletica dell’epoca di Lauro Azzolini, oggi 82enne. Assieme a Mario Moretti, Rocco Micaletto e Franco Bonisoli faceva parte del Comitato esecutivo il massimo organo dirigente delle Brigate Rosse

Zona Ticinese

Dissolvenza e nuova scena. Milano, zona Ticinese, 18 gennaio 1976. In via Maderno, al civico 5, si nascondono Renato Curcio e la nuova compagna, Nadia Mantovani. Un blitz dei carabinieri. Ancora una volta i militari non immaginano ci sia il fondatore delle Br in quella casa neorinascimentale, elegante, a lato di una chiesa. Si spara. Curcio è ferito a una spalla, ma vivo. Dentro l’appartamento, carte e prove. Anche la diligente relazione che il compagno misterioso ha steso, con tanto di schizzi della cascina, delle posizioni di tiro e delle auto, sulla tragica vicenda della Spiotta. 

L’esposto all’Antimafia

Oggi, su quei fogli, spuntano le impronte digitali di Azzolini. Nel 2021 il figlio di D’Alfonso, Bruno, presenta un esposto alla Dda di Torino suggerendo, fra l’altro, di sottoporre ad analisi quel dossier, scritto a macchina e integrato dai disegni, scovato nel covo milanese. Diciotto le impronte trovate dal Ris, undici corrispondono a quelle di Azzolini, che avrebbe lasciato anche il segno della mano. “Già una prova di colpevolezza”, dice il pm. Non lo mette al riparo neppure quella sentenza affogata nel fango dell’alluvione nel ’94. Gli contestano anche l’aggravante del terrorismo, contro cui si scaglia Steccanella: “Nel 1975 non esisteva, non potete applicarla”, sostiene, prima che la Corte respinga le eccezioni. “Questo non sarà un convegno di sociologi o di storici. Sarà un’occasione per affermare la giustizia”, dice il legale di parte civile Sergio Favretto.

  



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