Moralità e ordine pubblico: quali sono i marchi vietati dalla legge


Marchi illeciti: come si determina la violazione dell’ordine pubblico e del buon costume?

La CP14 definisce criteri specifici per stabilire se un segno violi l’ordine pubblico o il buon costume, fornendo anche esempi pratici per chiarire questi principi. L’analisi si articola in quattro fasi fondamentali, che permettono agli esaminatori di valutare i marchi in modo oggettivo e coerente.

Analisi del segno in sé

Il primo passo consiste nell’identificare e valutare tutti i possibili significati del segno, concentrandosi sugli elementi verbali e figurativi, senza considerare i prodotti o servizi associati. L’obiettivo è verificare se uno dei significati possa risultare contrario all’ordine pubblico o al buon costume.

Un esempio emblematico è il termine PUSSY, che, pur potendo significare “gattino”, ha una connotazione volgare e sessualmente esplicita. Per il pubblico medio, il significato volgare potrebbe prevalere, rendendo il segno potenzialmente inammissibile.

Anche gli elementi aggiuntivi, siano essi verbali o figurativi, possono influenzare la percezione del marchio. In alcuni casi, possono attenuare il carattere controverso del segno; in altri, invece, potrebbero enfatizzarne l’inappropriatezza. Un esempio è LITTLE DICK, che potrebbe essere accettabile se accompagnato da un’illustrazione di un bambino (dove “Dick” è inteso come diminutivo di Richard). Tuttavia, se la lettera “i” venisse sostituita da una banana, il riferimento sessuale diverrebbe evidente, rendendo il segno inaccettabile.

Anche le modifiche nella grafia o nella sintassi possono incidere sulla percezione pubblica. Alcuni errori intenzionali di ortografia possono attenuare il potenziale offensivo di un segno, ma non sempre sono sufficienti se la pronuncia resta identica. Un caso significativo è THE.RAPIST JOHN: l’inserimento di un punto tra “The” e “Rapist” può creare un’ambiguità semantica, facendo percepire il segno come offensivo e suggerendo che John sia uno “stupratore”. Senza il punto, invece, potrebbe essere interpretato come “terapista John”, risultando accettabile per la registrazione.

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Infine, è fondamentale valutare se il significato di un segno sia mutato nel tempo. Alcune espressioni un tempo considerate offensive possono aver perso il loro carattere lesivo. Ad esempio, JOLLY ROGER, in passato simbolo della pirateria e della criminalità, è oggi percepito principalmente come un elemento culturale o decorativo, non più soggetto a rilievi da parte del pubblico.

Relazione tra il segno e i prodotti/servizi

Il contesto in cui un marchio viene utilizzato è altrettanto cruciale. Un segno che in un determinato ambito risulta innocuo può diventare del tutto inappropriato in un altro.

Un esempio chiaro è il marchio Kill Them All: se utilizzato per un insetticida, il messaggio appare contestualizzato e accettabile. Tuttavia, se associato a prodotti destinati ai bambini, il significato cambia radicalmente, entrando in contrasto con i valori generalmente condivisi nel settore dell’intrattenimento per l’infanzia.

Valutazione dell’ordine pubblico

Per stabilire se un marchio sia contrario all’ordine pubblico, gli esaminatori devono fare riferimento a fonti autorevoli e oggettive, come i principi generali del diritto, i trattati internazionali, la normativa europea e la giurisprudenza consolidata.

L’attenzione non si concentra sulla percezione soggettiva del pubblico, ma sulla possibilità che il segno contraddica principi fondamentali della società. Ad esempio, i marchi che incitano alla violenza, glorificano regimi totalitari o promuovono attività criminali sono tipicamente rifiutati. Un caso particolarmente interessante è quello trattato nell’articoloIl caso dei “marchi illeciti” registrati per difendere la legalità”, che analizza come alcuni simboli possano essere registrati con il dichiarato intento di limitarne la diffusione, ma al tempo stesso generare interrogativi etici e giuridici sulla loro accettabilità.

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La valutazione di questi marchi, quindi, non può prescindere dal bilanciamento tra libertà di espressione e tutela dei valori fondamentali riconosciuti dalla comunità internazionale.

Valutazione del buon costume

Il concetto di buon costume si basa sui valori condivisi dalla società in un determinato momento storico. Gli esaminatori, nella loro valutazione, devono basarsi su informazioni verificabili, evitando interpretazioni soggettive o arbitrarie. In alcuni casi, il richiedente ha la possibilità di presentare prove concrete per dimostrare che il pubblico rilevante non percepisce il segno come offensivo.

Se un marchio venisse contestato per volgarità o offensività, il richiedente potrebbe produrre evidenze oggettive, come sondaggi o analisi sociali, per dimostrare che la maggioranza del pubblico non lo ritiene contrario ai valori morali.

È fondamentale distinguere tra cattivo gusto e moralità. La Corte di Giustizia ha chiarito che un marchio non può essere rifiutato solo perché sgradevole o poco elegante. Per essere considerato contrario al buon costume, un segno deve entrare in conflitto con le norme morali fondamentali riconosciute dalla società nel contesto storico e sociale attuale.

Ciò significa che un’espressione di cattivo gusto, per quanto volgare o provocatoria, non raggiunge automaticamente il livello di offesa necessario per giustificarne il rifiuto. La valutazione dipende sempre dalla percezione del pubblico medio: ciò che può essere giudicato sconveniente o grossolano non rappresenta necessariamente un’offesa alla sensibilità collettiva o ai parametri di tolleranza della società.

La CP14, con i suoi criteri strutturati e i suoi esempi pratici, aiuta a bilanciare libertà di espressione e tutela dei valori fondamentali, garantendo maggiore coerenza nelle decisioni dell’EUIPO.

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