L’arcivescovo siro-cattolico di Homs parla del momento che attraversa il Paese mediorientale, che cerca di costruire il dopo-Assad tra profonde incertezze e speranze di ripresa
Jean-Charles Putzolu – Città del Vaticano
Sono passati quasi tre mesi dalla caduta del regime siriano, tre mesi da quando il nuovo presidente Ahmed al-Sharaa ha cercato di convincere che una nuova Siria è possibile, intercomunitaria e interreligiosa. È con questo obiettivo che lunedì scorso, e fino ad oggi 26 febbraio, si è svolta a Damasco una conferenza sul dialogo nazionale con l’ambizione di rappresentare tutti i siriani che per 14 anni sono stati in sanguinosa opposizione: i sostenitori del regime alawita del partito Baath di Bashar al Assad, le diverse fazioni ribelli, i combattenti curdi e i movimenti islamici radicali da cui proviene il nuovo autoproclamato capo dello Stato. Ma la realtà, vista dall’interno, presenta ancora grandi fragilità accompagnate da incertezze. Mentre le nuove autorità cercano di unirsi, lo spirito di vendetta è ancora in agguato e l’ombra della legge islamica incombe sul Paese. Per l’arcivescovo di Homs dei Siri, monsignor Jacques Mourad, «il periodo che stiamo attraversando è delicato perché la Siria si trova in uno stato di totale debolezza» e in una specie di «caos, soprattutto sul fronte della sicurezza». Ma «abbiamo ancora speranza per il futuro del nostro Paese e del nostro popolo».
Le sfide per la Siria di oggi
La gioia delle prime ore della “liberazione dal regime”, è ancora molto presente. Ciò ha «cambiato tutti i cuori» e ha dato la forza per affrontare le enormi sfide che il Paese è chiamato ad affrontare. La Siria deve dotarsi di una giustizia transitoria, di una nuova costituzione, riformare le sue istituzioni e la sua economia, garantire l’unità del territorio. Dal 1° marzo dovrebbe vedere la luce un nuovo governo che riflette la diversità del popolo siriano. Con un segnale incoraggiante, l’Ue ha deciso di revocare parte delle sanzioni, che erano in vigore dal 2011, nei settori bancario, energetico e dei trasporti. Il popolo siriano «ama la vita e si assume la responsabilità», ha affermato l’arcivescovo, che si dice fiducioso della capacità delle forze vive di impegnarsi per lo sviluppo e il rinnovamento del Paese. «In molte occasioni (le nuove autorità) — ricorda il presule — hanno espresso il loro impegno e il desiderio che noi facessimo parte di questa nuova Siria». Nonostante le assicurazioni ricevute e rinnovate da Ahmed al-Sharaa, monsignor Mourad è rammaricato perché i fatti non corrispondono alle promesse: «La Sharia e tutte le altre leggi non sono realmente il segnale di una Siria aperta a tutti, ma solo di alcuni». Infatti, sottolinea l’arcivescovo, «non è abitudine delle donne indossare l’hijab, è fuori dalla nostra logica». Così come uomini e donne non frequentano separati i luoghi pubblici e non lo sono sui mezzi di trasporto. «Lo hanno già imposto, ma fino ad oggi la gente obbedisce, ma non è contenta, non è convinta».
La Siria, esempio di convivenza
È chiaro che un tale clima di incertezza e di violenza sporadica, talvolta combinato con uno spirito di vendetta nei confronti dei collaboratori del regime di Assad, e in assenza di un sistema giudiziario operativo, il clima non favorisce il ritorno dei milioni di siriani espatriati. «Affinché gli sfollati e i cristiani possano ritornare — ha spiegato monsignor Mourad — devono essere soddisfatte determinate condizioni. In primo luogo, abbiamo bisogno di uno Stato rappresentante di tutte le comunità e di tutte le fedi», poi «serve una Costituzione stabile, chiara, accettata da tutti. Se la Costituzione si basasse sulla legge islamica, allora ritornerebbero solo i sunniti, e non tutti». Altra questione cruciale, quella della giustizia: «per noi resta un sogno perché in Siria non c’è una vera giustizia». L’arcivescovo conclude ricordando che la Siria è sempre stata un esempio di convivenza pacifica e di armonia tra comunità, etnie e religioni. Così dovrà essere anche in futuro, «nonostante tutte le difficoltà, tutte le sfide da superare che aumentano la tensione». La gente è «buona e generosa» e «la politica non ha la forza di cambiare il cuore del popolo siriano».
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