Un nuovo modello di social housing in legno a Monza


Il progetto di social housing della Fondazione Don Angelo Bellani a Monza rappresenta un esempio virtuoso di innovazione e integrazione tra esigenze sociali, soluzioni sostenibili e tecnologiche avanzate.

L’edificio di cinque piani fuori terra per un totale di 4.000 mq, in fase di realizzazione in viale Romagna a Monza, è stato progettato per offrire un’accoglienza temporanea a persone in difficoltà abitativa. La struttura prefabbricata in legno con sistema a telaio, realizzata da Wolf Haus, permette di coniugare elevate prestazioni di efficienza energetica, rapidità di esecuzione e sicurezza, mantenendo al contempo un forte focus sulla sostenibilità ambientale.

Per approfondire le peculiarità di questo intervento e comprendere le scelte progettuali e costruttive, ho incontrato Vanni Bottaro, Direttore Commerciale di Wolf Haus, il quale mi ha illustrato il funzionamento del sistema prefabbricato a telaio e i suoi vantaggi rispetto ad altre tecniche costruttive. Inoltre, l’Ing. Pier Carlo Beretta e l’Arch. Cristina Pezzaglia, che si sono occupati della progettazione dell’edificio, mi hanno raccontato la genesi dell’intervento, nato da un lungo percorso di analisi e sviluppo per rispondere al meglio alle esigenze della committenza e della comunità monzese.

Il cantiere del progetto della Fondazione Don Angelo Bellani a MonzaIl cantiere del progetto della Fondazione Don Angelo Bellani a Monza
Il cantiere visto dall’alto

Dalla scelta del legno come materiale costruttivo all’approccio NZEB (Nearly Zero Energy Building), fino alle soluzioni per garantire la sicurezza strutturale e il comfort abitativo, il progetto può diventare un punto di riferimento per il futuro del social housing in Italia. Un cantiere innovativo, che punta a consegnare l’intero edificio in soli otto mesi, grazie alla prefabbricazione avanzata e all’ottimizzazione delle fasi di montaggio, di realizzazione dell’impiantistica e di tutte le finiture.

Vi racconto le caratteristiche di questo ambizioso intervento analizzando le soluzioni costruttive adottate, i benefici in termini di sostenibilità e le sfide affrontate dal team di progettazione.

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Vanni Bottaro, Direttore Commerciale di Wolf Haus: il sistema prefabbricato a telaio

Uno degli aspetti più innovativi del progetto di social housing della Fondazione Don Angelo Bellani è l’adozione del sistema prefabbricato a telaio, una tecnologia costruttiva che consente di ridurre i tempi di realizzazione, migliorare le prestazioni energetiche e garantire elevati standard di sicurezza. 

Un nuovo modello di social housing sostenibile: il progetto della Fondazione Don Angelo Bellani a MonzaUn nuovo modello di social housing sostenibile: il progetto della Fondazione Don Angelo Bellani a MonzaVanni Bottaro, Direttore Commerciale di Wolf Haus, ci ha spiegato nel dettaglio il funzionamento di questa tecnica, le sue peculiarità rispetto ad altri sistemi in legno e i vantaggi concreti in termini di efficienza, qualità e sostenibilità.

Trattandosi di un edificio per il terzo settore c’è l’enorme vantaggio che è possibile rientrare nel Superbonus 110 fino a 31 dicembre 2025, motivo per cui il rispetto delle tempistiche è fondamentale. Oltre a ingegnerizzare il progetto, Wolf Haus ha collaborato per le asseverazioni tecniche e per il computo metrico con prezziario DEI. Inoltre l’azienda farà lo sconto in fattura alla Fondazione.

Il sistema telaio, cosiddetto platform frame, è una struttura formata da traversi orizzontali – uno inferiore e uno superiore – che servono per il fissaggio, e montanti verticali, che hanno la funzione di pilastri che assolvono ai carichi verticali e vengono dimensionati e distanziati l’uno dall’altro in funzione dei carichi e dei piani.

Schema della parete costruttiva a telaioSchema della parete costruttiva a telaio
Schema della parete costruttiva

“Quindi di solito – ci spiega Vanni Bottaro – l’interasse tra montante e montante va dai 41 cm ai 65 cm, mentre lo spessore dei montanti può essere di 12 o di 16 cm a seconda dei carichi e dei piani superiori”. La struttura viene poi tamponata da entrambi i lati con dei pannelli che svolgono una funzione strutturale, servono per i carichi trasversali e possono essere in OSB  classe 3  oppure in gesso fibrorinforzato.

Quali sono i vantaggi di costruire con prefabbricazione a telaio rispetto agli altri sistemi? 

“La tecnica da utilizzare dipende dal progetto, dall’esigenza strutturale. Rispetto all’X-LAM il vantaggio dei sistemi a telaio è che in cantiere le pareti arrivano già con gli infissi premontati, ci sono addirittura le tapparelle, i davanzali, tutte le nastrature e la sigillatura dell’infisso che deve garantire la tenuta all’aria, fondamentale anche per l’efficienza energetica. Questo livello di prefabbricazione viene realizzato presso il nostro stabilimento, il che garantisce tempi più rapidi e di lavorare in qualsiasi condizione climatica, cosa non possibile in un cantiere in cui si è condizionati dalle intemperie e dalle temperature esterne.

Prefabbricazione delle case wolf haus in fabbrica con sistema a telaioPrefabbricazione delle case wolf haus in fabbrica con sistema a telaio

Anche dal punto di vista della sicurezza, lavorare sempre a quota zero è diverso che lavorare sul ponteggio. Ma non solo, la prefabbricazione a telaio permette di fare anche le predisposizioni per la parte impiantistica ed elettrica. Arriviamo a mettere il cappotto finito al 90%”. 

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Il rivestimento a cappotto progetto della Fondazione Don Angelo Bellani a MonzaIl rivestimento a cappotto progetto della Fondazione Don Angelo Bellani a Monza
Una parte degli edifici di questo cantiere si caratterizza per il particolare rivestimento a cappotto con un telo di protezione anti antipioggia e antivento.

L’X-LAM non permette una prefabbicazione così spinta?

“Con l’X-LAM si prefabbrica solo la parete portante in legno grezzo, già predisposta con i fori per porte e finestre, ma priva di infissi e cappotto esterno. Per questo motivo lo definisco un sistema di semi-prefabbricazione.
Il sistema a telaio è ideale fino a 6 piani di altezza, perché oltre questa altezza dovremmo costruire pareti con montanti estremamente ravvicinati. In edifici oltre i 6 piani, dunque, l’X-LAM offre un vantaggio strutturale. Utilizziamo l’X-LAM quando abbiamo singole pareti interne con elementi come gradini a sbalzo e quando costruiamo vani ascensore e vani scale. In questo progetto il vano scala e il vano ascensore sono stati realizzati in cemento armato per una scelta statica, ma è possibile costruirli anche in legno, specialmente con l’X-LAM, che grazie alla sua struttura piena garantisce un miglior fissaggio. Negli edifici oltre i 10 piani è preferibile scegliere sistemi misti, quindi legno-calcestruzzo o sistemi ibridi”.

Quali sono le eventuali criticità in un cantiere come questo?

“Abbiamo lavorato in un lotto circondato da strade e palazzi, un cantiere come questo va gestito con estrema attenzione. Le pareti arrivano in cantiere pronte per essere montate, già predisposte nell’ordine corretto. Durante il trasporto vengono posizionate in verticale e si utilizzano dei distanziatori morbidi, in modo che gli infissi non subiscano danni. Naturalmente possono capitare degli inconvenienti, ma è davvero molto raro. Gli imprevisti possono capitare in qualsiasi cantiere e la prefabbricazione in stabilimento li riduce”. 

Questa struttura è divisa in tre parti, come mai? 

“La suddivisione in tre blocchi è stata dettata da esigenze della committenza e da alcuni adattamenti al progetto. Rispetto al cronoprogramma che c’eravamo dati, ci sono stati dei rallentamenti dovuti alle condizioni meteo e a una modifica progettuale: dopo l’approvazione del progetto esecutivo, il vano corsa ascensore è stato ampliato per renderlo idoneo a un porta-lettighe, in modo da garantire un accesso adeguato anche a persone con mobilità ridotta. Si tratta di un edificio adibito a Social Housing, che deve poter rispondere alle esigenze di un’utenza con problemi di mobilità e di persone anziane. Questa modifica ha inciso sul completamento della fondazione, quindi abbiamo rivisto le fasi di montaggio, dividendolo in tre blocchi per non ritardare la consegna. Il montaggio del primo blocco è iniziato il 26 di novembre, il secondo blocco il 13 di gennaio e il terzo blocco è partito il 24 febbraio”.

Il cantiere del progetto di social housing della Fondazione Don Angelo Bellani a MonzaIl cantiere del progetto di social housing della Fondazione Don Angelo Bellani a Monza
La realizzazione del primo blocco

Quando è prevista la consegna “chiavi in mano”?

“Tutto l’edificio sarà consegnato il 18 di luglio, sono tempistiche davvero straordinarie per un edificio di 4.400 metri quadri. Un risultato legato al livello spinto di prefabbricazione delle pareti, ma anche alla possibilità di portare avanti tutte le lavorazioni, dalle pareti interne non portanti in cartongesso, agli impianti e ai pavimenti, in tutta sicurezza, contemporaneamente e in modo indipendente dall’involucro. Un lavoro di queste dimensioni in edilizia tradizionale richiederebbe un anno e mezzo. Noi lo consegneremo in otto mesi di cantiere”.

Il cantiere del progetto di social housing della Fondazione Don Angelo Bellani a MonzaIl cantiere del progetto di social housing della Fondazione Don Angelo Bellani a Monza

Parliamo di aspetti fondamentali quali sicurezza, efficienza energetica e antisismica. Come li avete affrontati? Quali sono gli accorgimenti in una struttura di questo genere? 

“La progettazione è stata sviluppata su misura, rispettando tutte le normative vigenti, in particolare il DM 2018 per la sicurezza strutturale. Il nostro sistema garantisce resistenza ai carichi e al vento, ed è stato sottoposto a severi test di simulazione sismica. Da un punto di vista antisismico il nostro sistema è stato testato su una tavola vibrante all’Eucentre di Pavia nel 2011, nell’ambito di un progetto di ricerca che è durato 15 mesi. Inizialmente abbiamo testato gli elementi singoli (pareti, solai, pareti con aperture), poi un edificio completo di quattro piani, che rappresentava la massima altezza testabile in laboratorio. Abbiamo sottoposto la struttura a vibrazioni progressive, verificando che mantenesse integrità ed efficienza delle connessioni. In seguito, per renderlo realistico al 100%, abbiamo testato l’edificio completamente rifinito con cappotto, infissi, massetti e pavimenti, portandolo a un’accelerazione di 1,48g, superando di cinque volte il massimo valore previsto dalla normativa italiana (ag = 0,28g, NTC18) e gli accelerogrammi registrati nei terremoti di L’Aquila e Kobe. Il risultato? L’edificio non solo ha resistito senza crolli, ma non ha riportato alcun danno strutturale, ottenendo così una certificazione antisismica e anti-danno che ne conferma l’affidabilità anche in condizioni estreme”.

Spesso si pensa che le case in legno da un punto di vista dell’antincendio siano meno sicure delle costruzioni tradizionali…

“Il legno naturalmente brucia, ma essendo un ottimo isolante ha il grosso vantaggio che non trasmette il calore, per cui le fibre interne conservano la propria capacità portante. Nelle strutture a vista la velocità di carbonizzazione è ben conosciuta, il che permette di sovradimensionare la sezione portante per garantire la stabilità della struttura in caso di fuoco. Al contrario dell’acciaio, che invece per rimanere a vista deve essere protetto con vernici intumescenti che devono essere periodicamente rinnovate perché l’acciaio quando arriva sui 750-760° collassa. Negli edifici in legno destinati all’uso residenziale, le strutture non rimangono mai a vista, ma sono protette da lastre in gesso, che rallentano notevolmente l’azione del fuoco. Noi abbiamo certificato la resistenza al fuoco con ETA, riconosciuta a livello europeo, e abbiamo condotto test specifici presso l’Istituto per il Legno in Austria: dopo 2 ore di esposizione al fuoco, il pannello e il montante della parete testata erano intatti. Non solo non è passato fumo, ma la temperatura sulla superficie esterna della parete, esposta a oltre 1000°C, è rimasta tra 14°C e 24°C, senza alcuna perdita delle proprietà statiche e meccaniche”.

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La committenza vi ha dato delle indicazioni precise, visto che appunto è un progetto di social housing, oppure avete avuto totale libertà?

“Abbiamo collaborato con tutto il gruppo di progettazione coordinato dall’ Ing. Pier Carlo Beretta e dall’Arch. Cristina Pezzaglia che hanno curato il progetto preliminare e la successiva gara d’appalto. Il progetto definitivo è stato sviluppato congiuntamente, con l’obiettivo di rispettare il budget stabilito, una scelta a mio avviso strategica. Un progetto esecutivo ben definito permette di ottimizzare i calcoli strutturali e di integrare al meglio il sistema prefabbricato in legno Wolf Haus, riducendo il rischio di imprevisti in fase di costruzione.
Sebbene la fase di progettazione richieda un investimento iniziale maggiore, questo metodo consente di evitare ritardi e costi extra in cantiere. Nello sviluppo del progetto esecutivo abbiamo rispettato le indicazioni date dalla Fondazione, garantendo che la struttura rispondesse pienamente alle esigenze del social housing”.

Lei dott. Bottaro è all’interno anche dell’associazione Filiera Legno. Come sta andando il settore?

“Filiera Legno è una Federazione che raggruppa solo quattro associazioni: Legno Edilizia, che comprende circa 330 aziende operanti nella filiera delle prime lavorazioni (dalle segherie ai costruttori di edifici in legno), AssopannelliAssoimballaggi e Assocofani. Questa tipologia di aziende ha delle dinamiche, anche a livello normativo, diverse da quelle del settore arredo (che rientrano in Assolegno), quindi era giusto avere una propria identità. Il primo osservatorio relativo al mercato 2023 segnala una crescita del mercato del legno del 3,2% rispetto al 2022. Le aziende con fatturato sopra i 20 milioni di euro sono quelle che sono cresciute di più, con una media del 4,6% e un incremento del costo del personale del 7%, segnale di un aumento dell’occupazione. I dati a preconsuntivo dicono che nel 2024 c’è stato un calo dovuto principalmente alla fine del Superbonus e all’aumento dei tassi di interesse che hanno rallentato l’erogazione dei mutui. A sostenere il comparto c’è però il settore degli appalti pubblici, in particolare quello scolastico: circa il 40% delle scuole realizzate con il PNRR sono in legno.
Fortunatamente, dalla scorsa estate i tassi di interesse hanno iniziato a calare, favorendo una ripresa del mercato privato. Tuttavia, l’eliminazione dello sconto in fattura e della cessione del credito ha avuto un impatto negativo significativo. Noi di Wolf Haus, che fortunatamente abbiamo chiuso il 2023 con risultati migliori rispetto all’anno precedente, abbiamo scelto di supportare molti clienti per agevolare il loro accesso agli incentivi rimanenti”. 

La parola ai progettisti: l’evoluzione di un progetto tra esigenze sociali, sostenibilità e innovazione

Dietro la realizzazione del nuovo complesso di social housing della Fondazione Don Angelo Bellani c’è un lungo percorso di studio e progettazione, iniziato oltre 12 anni fa. L’Ing. Pier Carlo Beretta, direttore dei lavori e coordinatore del progetto, e l’Arch. Cristina Pezzaglia ci hanno raccontato la storia di questo edificio, nato come pensionato per le infermiere di un ospedale, poi diventato sede della Questura fino al suo trasferimento in un nuovo immobile. Dall’iniziale volontà di riqualificare l’edificio esistente si è poi passati a un intervento di demolizione e ricostruzione per garantire maggiore efficienza, sicurezza e sostenibilità.

“Iniziamo a parlare della tipologia di progetto – spiega l’Ing Beretta – nato dalle esigenze della committenza che voleva che l’edificio fosse coerente con la propria natura di Fondazione che si occupa di RSA, da tanti anni gestisce un Fondo, che risale al 1800, con il vincolo di fare assolutamente delle opere sociali “a favore dei veri poveri di Monza” dice l’Abate Don Angelo Bellani, indicazione a cui il Consiglio di Amministrazione si è sempre attenuto. Nella valutazione delle iniziative che occorreva mettere in campo si sono passate in rassegna tutte le varie ipotesi di natura sociale”. 

A quale utenza è destinato questo progetto?

Arch. Cristina PezzagliaArch. Cristina PezzagliaL’Arch. Cristina Pezzaglia spiega che “è un social housing che prevede una certa articolazione. Abbiamo optato per questa soluzione un po’ aperta, in stretta collaborazione naturalmente con il Comune. Il cuore di questa iniziativa è quello di offrire degli alloggi in natura temporanea per far fronte alle esigenze immediate di chi è sfrattato e si trova in strada. Tutta la progettazione è stata impostata 12 anni fa intorno a questo obiettivo. Nel 2013 sono stati fatti i primi studi di fattibilità e dopo tanti anni finalmente si è partiti. Nell’intervento di demolizione la normativa ci ha aiutato perché ci ha consentito non solo di recuperare la volumetria che c’era, ma anche di fare un leggero aumento. Anche il fatto che la committenza sia una ONLUS ci ha aiutato molto salvaguardando la possibilità di beneficiare del Superbonus 110. Naturalmente questo ci obbliga a rispettare certe scadenze, formalità e burocrazia infinite, però niente di insormontabile”.

Perché avete scelto un sistema costruttivo prefabbricato in legno?

“Prima di tutto la rapidità, sottolinea l’Arch. Pezzaglia . Abbiamo investito molto tempo negli studi di fattibilità per decidere come ristrutturare l’immobile e la decisione su questa morfologia e questo progetto è stata lunga. Di fatto abbiamo iniziato i lavori da pochissimo e in sostanza il termine posto dal Superbonus è il 31 dicembre 2025: quindi tempi brevi massimo risultato”.

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Ing. Pier Carlo Beretta, direttore dei lavori e coordinatore del progetto di Social housing a MonzaIng. Pier Carlo Beretta, direttore dei lavori e coordinatore del progetto di Social housing a Monza“Ci sono state naturalmente anche altre considerazioni – aggiunge l’Ing. Beretta – soprattutto a livello di risparmio energetico e di comfort abitativo, tanto più che l’utenza a cui noi ci rivolgiamo è ‘un po’ fragile’. Seppur comportando un leggero aumento dei costi iniziali rispetto ai sistemi tradizionali, i benefici a lungo termine, sia in termini di efficienza energetica che di tempi di realizzazione ridotti, hanno reso questa soluzione la più vantaggiosa. Il Consiglio di Amministrazione ha condiviso questa visione e supportato la scelta. Pur trattandosi di un’iniziativa privata, abbiamo adottato un approccio rigoroso tipico delle opere pubbliche, con criteri stringenti sia nella progettazione che nella selezione dell’impresa esecutrice, scelta attraverso una gara molto complessa.
Io, l’Arch. Pezzaglia  e altri colleghi siamo anche andati a vedere materialmente le sedi dove queste imprese lavorano il legno. Alla fine abbiamo scelto in modo oggettivo la soluzione Wolf Haus”.

E’ un edificio che risponde alle richieste della direttiva Case Green?

“E’ un edificio NZEB, in classe A2, quindi i consumi sono bassissimi. L’obiettivo è di arrivare a consumi pari a zero. Bisogna vedere come gli inquilini gestiranno i consumi” –  Arch. Cristina Pezzaglia

Quali soluzioni avete utilizzato per arrivare all’NZEB ?

L’Arch. Pezzaglia mi spiega che su tetto verranno installati “pannelli fotovoltaici su tutta la superficie disponibile del tetto, in linea con le normative vigenti al momento della progettazione. Per garantire un’elevata efficienza energetica, abbiamo scelto lana minerale come materiale isolante, preferendola alle plastiche per ottenere una prestazione ottimale anche nella stagione estiva, che in questa zona rappresenta la sfida più impegnativa in termini di comfort abitativo e contenimento dei consumi per il raffrescamento.
Il sistema impiantistico è basato su pompe di calore, integrate con una serie di automatismi e regolatori che consentiranno al gestore di ottimizzare i consumi, ad esempio bloccando le fasce di mobilità degli utenti. Abbiamo previsto oscuranti frangisole su tutti i lati dell’edificio, quindi senza concentrarci solo sulla parte calda”. 

“L’aspetto energetico – spiega l’Ing. Beretta  – è stato effettivamente molto curato. A questo progetto hanno contribuito una decina di professionisti ognuno con la propria specializzazione: oltre a me e all’Arch. Pezzaglia, due ingegneri impiantisti, il geologo, l’esperto per il suono, l’esperto per la sicurezza che è anche il rappresentante della committenza, lo strutturista in legno e lo strutturista in cemento armato. Abbiamo un po’ battagliato con i Vigili del fuoco, una battaglia solo parzialmente vinta perché avremmo voluto che anche il vano scale fosse in legno – come in diverse parti d’Italia viene accettato, mentre i Vigili del fuoco di Monza  hanno preteso il cemento armato. La committenza ha seguito con interesse i lavori, adeguandosi a qualche piccola variante”.

L’Arch. Pezzaglia aggiunge che in tutte le fasi è stato un cantiere attento alla sostenibilità, nonostante la demolizione – che per sua natura non è un processo ecologico – e la costruzione delle parti in cemento armato. Entrambe le imprese coinvolte hanno aderito al protocollo “Cantiere a Impatto Sostenibile”, adottando pratiche per ridurre l’impatto ambientale.

“In particolare, la fase di demolizione è stata gestita con estrema precisione grazie all’uso di attrezzature altamente specializzate. Un dettaglio che mi ha colpita è stata l’adozione di un enorme telo di gomma alto circa 20 metri, sollevato da un’autogru, che ha permesso di contenere le schegge e proteggere l’area circostante per tutta l’altezza dei 5 piani.
Anche la raccolta differenziata dei materiali di risulta è stata effettuata con grande attenzione, confermando un livello di accuratezza raro per un cantiere di questo tipo. Si tratta quindi di un progetto che ha puntato alla sostenibilità fin dalle prime fasi, con un’ottima gestione degli aspetti ambientali e logistici”. 

Quante persone ospiterà questa struttura? 

“130 più o meno, ci dice l’Arch. Pezzaglia, ma siamo ancora in fase di revisione delle offerte sociali con la Fondazione e con l’assessorato ai servizi sociali, quindi il numero potrebbe variare”. 

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Ci saranno degli spazi comuni? 

“L’edificio è stato progettato per rispondere a una pluralità di bisogni, ospitando persone con diverse fragilità. Alcuni ospiti necessitano di una socializzazione più aperta, mentre altri trovano maggiore beneficio in spazi più protetti. I servizi sono stati distribuiti ai piani cercando di rispettare un mix che è già stato sperimentato: il progetto sociale è stato fatto dalla cooperativa che avrebbe dovuto gestire la struttura e che gestisce diverse case con questo mix di funzioni, che garantisce sostenibilità gestionale e un equilibrio tra diverse categorie di utenti: persone in emergenza abitativa (mamme con bambini, padri separati, minori non accompagnati, lavoratori e studenti fuori sede), anziani autosufficienti sfrattati o che hanno venduto la loro casa, ma che verrebbero danneggiati se andassero in una RSA e persone con disabilità leggere. Per i disabili ad esempio, è stata adottata una soluzione prevista dalla Regione Lombardia, che prevede grandi appartamenti con spazi di socializzazione interna e protetta. La Fondazione vorrebbe inserire anche una parte di anziani parzialmente autosufficienti, come fosse una pre RSA” – Arch. Pezzaglia

“Per tornare agli spazi comuni abbiamo una sala multifunzione tipo teatro che può essere utilizzata per vari scopi e anche essere aperta al quartiere e alla città. A livello 1, uno spazio inizialmente pensato come coworking potrebbe essere destinato a ambulatori o attività ricreativo-culturali, coinvolgendo sia gli ospiti della struttura che utenti esterni. Non sarà un centro diurno in senso stretto, ma un luogo di aggregazione e socializzazione. Un’altra area fondamentale è il centro di supporto psicologico per le famiglie degli ospiti, dove abbiamo previsto quattro ambulatori dedicati a questo servizio” – Ing. Beretta  

Un bellissimo progetto anche complesso dal punto di vista sociale e tornando alla mia curiosità iniziale sulla visione architettonica alla base del progetto, l’Arch Pezzaglia mi dice che è stato “cucito un  vestito su misura per questa complessità. L’obiettivo non era solo creare un edificio funzionale, ma anche un luogo riconoscibile e integrato nel quartiere, capace di rappresentare la diversità e l’inclusione che caratterizzano sia la comunità esterna che gli ospiti della struttura.
Abbiamo immaginato un mix di popolazione che possa favorire la socializzazione e lo scambio tra generazioni e categorie diverse. Ad esempio, gli studenti e i lavoratori potrebbero offrire un supporto agli anziani non completamente autosufficienti, mentre questi ultimi potrebbero aiutare mamme sole con bambini, creando un sistema di sostegno reciproco.”

“Da questo punto di vista – mi dice l’Ing. Beretta – la committenza gioca un ruolo fondamentale. La Fondazione ha sempre avuto una forte vocazione sociale, e tra le varie ipotesi da valutate c’è anche la possibilità di creare una sinergia con la RSA situata a 100 metri di distanza, integrando alcuni servizi medico-assistenziali leggeri tra le due strutture. Questa connessione potrebbe ampliare le opportunità di assistenza e migliorare la qualità della vita degli ospiti di entrambe le realtà”.

Direi che collaborazione fra tutti questi attori è una parola chiave in questo progetto, perché senza una buona collaborazione non sareste arrivati questo risultato

“Diciamo anche che nessuno ha mollato e 13 anni sono molti, mi spiega l’Arch. Pezzaglia. Il progetto è stato rifatto tantissime volte, e ogni volta che il consiglio di amministrazione ha fatto nuove proposte queste sono state condivise con tutti gli attori coinvolti, dai committente al comune”.

Avete usato dei software che nell’ambito della progettazione?

L’Arch. Pezzaglia chiarisce di essere 100% BIM dal 2005, “uso Revit, però gli altri gli altri progettisti non lo usano ancora, quindi c’è stata un’integrazione. Per esempio la società degli strutturisti del cemento armato con cui stiamo collaborando ha iniziato a lavorare in BIM, portando in azienda il software, facendo dei corsi e le certificazioni.  Sostanzialmente iniziare a usare il BIM in Italia è molto più faticoso rispetto a iniziare con un altro qualsiasi software. Io, per esempio, per tre anni ho portato avanti i progetti in CAD e in BIM in parallelo”.

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