COP16, qualche timido passo avanti ma non si appianano le divisioni


Si apre oggi a Roma il terzo e ultimo giorno di negoziati sulla biodiversità, un’occasione extra-ordinaria per cercare di appianare i disaccordi e colmare le lacune sulle quali si era interrotta la COP16 a Cali. Lì, in Colombia, durante l’ultima notte di lavori si era manifestato lo spettro di tutti i negoziati internazionali: la mancanza di quorum, che si verifica quando a negoziare sono meno dei due terzi dei rappresentanti dei Paesi accreditati presso una Convenzione. Nel caso della CBD, la Convenzione per la Diversità Biologica, sotto la cui guida si tiene la Conferenza delle Parti sulla biodiversità, il quorum si attesta a 131 Paesi.

A Roma, tra le molte incertezze e tensioni – su cui torneremo a breve – che pesano sui negoziati, la prima giornata è stata segnata da questo rischio: se il quorum non fosse stato raggiunto, non si sarebbe potuto prendere alcuna decisione e l’incontro sarebbe fallito a monte. Fortunatamente, questa evenienza non si è realizzata: la scadenza data ai Paesi per inviare le credenziali (cioè, dare mandato ufficiale ai propri delegati) era fissata alle 9.59 di mercoledì 26 febbraio, e il quorum è stato raggiunto poco prima, e poco più che per il rotto della cuffia, con 139 Paesi ufficialmente partecipanti.

A Cali, a valle di alcuni risultati importanti, erano rimasti irrisolti dei nodi fondamentali, tutti incentrati sulla questione delle risorse (chi dà i soldi e attraverso quali meccanismi finanziari) e sull’organizzare del monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi di tutela della natura da qui al 2030. Sono i temi più complessi e più divisivi, che vedono opporsi, in senso lato, Nord e Sud globale.

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Questa spaccatura si è ripresentata, in tutta la sua evidenza e intensità, fin dalla prima delle tante plenarie-fiume che caratterizzano questo negoziato in versione concentrata. L’obiettivo dichiarato della Presidenza (impersonata dalla carismatica ministra colombiana Susana Muhamad) è quello di chiudere il testo e arrivare a un accordo definitivo, appianando le differenze e raggiungendo un compromesso sui temi salienti. A differenza di Cali, quindi, niente eventi collaterali, niente incontri di gruppi ristretti: solo tante ore di sessione plenaria, corredate da “consultazioni informali” che avvengono prima delle 10 di mattina, momento in cui si aprono i lavori, e durante le ore notturne.

La questione del meccanismo di gestione dei finanziamenti

La spaccatura tra Nord e Sud del mondo, dicevamo, si è ripresentata in tutta la sua forza fin dalla mattina del 25 febbraio. La prima plenaria si è aperta con una discussione sulla questione principale, la “mobilitazione delle risorse”: moltissimi Paesi hanno preso la parola e ribadito il proprio punto di vista, che, un po’ grossolanamente, può essere riassunto in due macro-posizioni. Da una parte ci sono i Paesi in via di sviluppo – un ampio gruppo che riunisce una varietà di attori, da economie forti come i BRICS al gruppo dei Paesi africani e agli Stati meno sviluppati (Least Developed Countries, LDCs) – che chiedono l’istituzione di un meccanismo dedicato al finanziamento della biodiversità sotto la diretta autorità dalla COP. Dall’altra parte, invece, sono schierati i Paesi industrializzati, che ritengono che la GEF (Global Environmental Facility), ad oggi usata come meccanismo ad interim (cioè provvisorio, anche se svolge questo ruolo fin dalla COP1 senza sostanziali scossoni), sia più che sufficiente, e che anzi costruire una nuova architettura finanziaria sia inefficiente sul piano pratico, viste le ristrettezze temporali e l’esigenza di chiudere il “divario di finanziamento della biodiversità”, che ammonta a circa $700 miliardi l’anno.

Questa opposizione non riguarda solo il tema specifico (già di per sé amplissimo e legato a tutti gli altri item in discussione) delle risorse e dei meccanismi finanziari, ma percola in tutti gli altri dibattiti. Durante il primo giorno di negoziato, ad esempio, chi scrive ha avuto la netta percezione che alcuni Paesi facessero deliberatamente ostruzionismo, prolungando la discussione su questioni tecniche del tutto minoritarie che, forse, avrebbero potuto essere risolte in breve tempo – nello spirito di compromesso e cooperazione più volte invocato dalla presidente Muhamad – e che invece hanno richiesto ben più dell’intero pomeriggio del 25 e hanno occupato anche l’intera mattina del secondo giorno di discussioni.

Dopo una brusca e inaspettata – almeno, a quanto è parso, alla presidente – conclusione della sessione plenaria pomeridiana, interrotta dalla fine del turno degli interpreti (no, i negoziati non sono condotti interamente in inglese: molte Parti parlano la propria lingua e si ascolta la traduzione in simultanea, disponibile in inglese, francese e spagnolo), le negoziazioni sono proseguite in modo informale nel corso della serata, coinvolgendo rappresentanti politici “di alto livello” (ministri e viceministri, alti funzionari, e così via).

Colpi di scena e ricuciture diplomatiche

Il secondo giorno si è aperto con un (ennesimo) richiamo allo spirito di cooperazione e compromesso da parte della Presidente. Non tutti, però, sembrano aver recepito il messaggio. Mentre proseguivano le uggiose trattative sulle questioni tecniche di cui sopra, la Repubblica Democratica del Congo ha preso la parola e, lamentando il poco avveduto uso del tempo a disposizione, ha avanzato una mozione d’ordine proponendo che si mettessero da parte le questioni e si affrontasse il nodo della mobilitazione delle risorse, lasciato in sospeso a Cali. Seguendo le regole procedurali, la presidente ha respinto la mozione e deliberato di proseguire seguendo l’Agenda approvata il giorno precedente. Sempre in ottemperanza alle regole, il Congo ha allora fatto appello alla decisione della presidenza: una mossa che implica necessariamente che il contenuto della mozione venga votato dall’assemblea.

Si vota, solitamente, per alzata di mani: ma a quel punto il Camerun ha specificato che, poiché alcune delegazioni erano più nutrite di altre, questo metodo sarebbe risultato confusionario e potenzialmente iniquo, e ha proposto di votare a chiamata. Si è alzato un forte brusio di disappunto, perché chiamare una per una 153 Parti (tutte quelle registrate per l’incontro) e annotarne il voto avrebbe richiesto moltissimo tempo, e fin dall’inizio si ripete che di tempo, in una negoziazione di tre giorni, non ce n’è. Il Brasile ha proposto un compromesso: 5 minuti di dialogo informale tra il Congo, che sollevava la questione, e la presidenza, per provare a superare la necessità del voto e risparmiare più tempo possibile.

I cinque minuti sono diventati un’ora e mezza, il Congo è stato supportato da tutto il gruppo dei Paesi africani. Ma alla fine si è giunti a un accordo: il Congo ha ritirato la sua mozione, e si è proseguito come se nulla fosse accaduto. Non proprio, in realtà: parlando con delegati e osservatori alla fine della sessione mattutina, alla luce del molto tempo perso a causa di questo diversivo la speranza di raggiungere un accordo concreto è apparsa più flebile.

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Il pomeriggio di ieri è stato dedicato alle consultazioni informali tra le parti: accordi bilaterali, accordi regionali, dialoghi con la presidente hanno contribuito alla stesura di una versione revisionata del documento “L34”, il pezzo dell’accordo che si concentra sulla spinosa questione della mobilitazione delle risorse. In serata – con un’ora e mezza di ritardo sulla tabella di marcia – il documento è stato condiviso e si è ripresa la sessione plenaria. La nuova bozza contiene modifiche soprattutto nei paragrafi che riguardano lo strumento attraverso il quale si dovrebbero mobilitare le risorse, e prova a sciogliere alcuni dei disaccordi barcamenandosi tra le diverse posizioni, mantenendo un linguaggio vago il tanto che basta per non scontentare troppo tutte le parti.

La presidente ha chiesto alle Parti di condividere i propri commenti a caldo su questa nuova versione del documento. Gli interventi dei Paesi sembrano indicare verso quale lato pende la bilancia: la maggior parte dei Paesi industrializzati si è detta piuttosto soddisfatta del testo di compromesso, considerandolo un importante passo avanti per raggiungere un accordo, mentre dai Paesi in via di sviluppo sono arrivate molte doglianze, più o meno dure, ma coerenti sul forte rischio che le nuove diciture diluiscano troppo l’impegno per l’implementazione degli obiettivi della Convenzione sulla Diversità Biologica e facciano degli impegni di tutela della biodiversità entro il 2030 lettera morta.

Egitto e Congo hanno chiesto una breve sospensione della plenaria per un consulto informale del gruppo dei Paesi africani, così da poter avere una posizione condivisa sul testo. La richiesta è stata negata dalla presidente, e quasi tutti i Paesi africani che hanno preso la parola hanno denunciato questo diniego – il Congo, in un lungo intervento, ha chiesto che la negazione di questa semplice richiesta venisse messa agli atti, e che venisse specificato che, a causa di questa impossibilità di dialogo interno, il gruppo africano considera il documento come non pervenuto loro per un’analisi preliminare; anche il Togo ha dichiarato la propria indignazione per questa “mancanza di flessibilità” da parte della presidenza.

Intanto, in fondo alla lista degli interventi (troppo numerosi rispetto alle poche ore a disposizione) si collocano gli esponenti del Global Youth Biodiversity Network, la coalizione che rappresenta la voce dei giovani del mondo, che, sempre ultima nella lista degli interventi per il suo ruolo di “osservatore”, non ha finora mai ricevuto il via libera per parlare.

Oggi è l’ultimo giorno di negoziati supplementari: sono le ultime ore in cui le Parti avranno la possibilità di raggiungere un compromesso sulla strada comune da seguire per finanziare la tutela della biodiversità da qui al 2030. Fin dall’inizio, la presidenza ha adottato l’approccio secondo cui “non si concorda nulla finché non si concorda tutto”. Per questo, fino ad oggi i testi dell’accordo sono stati discussi ma non sono state prese decisioni formali sulla loro adozione: l’obiettivo sarebbe una ratifica cumulativa prima della chiusura dei lavori, tassativamente entro questa sera.

Ma le divergenze sono ancora profonde, e non è chiaro quanto alcune Parti siano disposte a discostarsi dalla propria posizione. In fondo, come hanno sostenuto in plenaria i delegati di alcuni Paesi in via di sviluppo, la questione è semplice: si tratta di smettere di procrastinare e impegnarsi seriamente per la messa a terra degli strumenti economici che devono finanziare, soprattutto nei Paesi più vulnerabili e con le economie più deboli, ambiziosi progetti di protezione della biodiversità. Il 2030 è davvero dietro l’angolo, e così è anche il punto di non ritorno nella perdita di biodiversità.


Gli approfondimenti de Il Bo Live sulla COP16 di Cali:

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La copertura de Il Bo Live della COP16.2 di Roma:





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