Il futuro della flessibilità del lavoro: tra smart working e settimana corta


Secondo la definizione coniata dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il lavoro agile è «una filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati». 

Si tratta di un modello organizzativo che ha portato notevoli vantaggi alle imprese in termini di miglioramento della produttività, riduzione dell’assenteismo e dei costi per gli spazi fisici, nonché maggiore soddisfazione dei lavoratori che godono di livelli più elevati di benessere fisico, psicologico e relazionale rispetto ad altre categorie di dipendenti.

Come emerge dallo Studio condotto dal Politecnico, lo smart working in Italia è tutt’altro che in declino nonostante a fine marzo 2024 sia venuto meno l’obbligo – introdotto nel corso della pandemia di Coronavirus – per i datori di lavoro di consentire il lavoro agile a specifiche categorie, come i lavoratori con figli di età inferiore a 14 anni e i lavoratori “fragili”. 

In che direzione stiamo andando? Come vedremo, sembra che si stiano consolidando diverse tendenze a seconda che si tratti di grandi imprese, di PMI o di pubbliche amministrazioni. Negli ultimi tempi, inoltre, parlare di flessibilità del lavoro implica valutare anche strumenti diversi dal lavoro agile, come la settimana corta.

Lo smart working (o lavoro agile) è disciplinato dalla L. 81/2017 e dal protocollo Nazionale del 7 dicembre 2021 – sottoscritto dal Ministero del lavoro e da 26 organizzazioni rappresentative di datori e lavoratori – che indica le linee direttrici per la contrattazione collettiva.

Si tratta di una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, finalizzata a incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro

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Tale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa è possibile mediante accordo delle parti e presenta alcune caratteristiche fondamentali ovvero:

  • assenza di una postazione fissa con esecuzione della prestazione in parte all’interno e in parte all’esterno dei locali aziendali;
  • assenza di precisi vincoli di orario, fermi restando i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
  • svolgimento della prestazione lavorativa con possibile utilizzo di strumenti tecnologici e possibile ricorso a forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi.

Pertanto, per adottare lo smart working il datore deve:

  • stipulare un accordo scritto con il dipendente che disciplini l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, l’esercizio del potere direttivo e di controllo del datore e gli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo – che può essere a tempo determinato o indeterminato – deve anche individuare i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche;
  • consegnare al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale siano individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro;
  • comunicare in via telematica al Ministero del lavoro i nominativi dei lavoratori e la data di inizio e di cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile, entro cinque giorni dalla data di avvio del periodo oppure entro i cinque giorni successivi alla data in cui si verifica l’evento modificativo della durata o della cessazione del periodo di lavoro svolto in modalità agile (tale termine per le comunicazioni obbligatorie è stato introdotto dall’art. 14 L. 203/2024, noto anche come Nuovo Collegato Lavoro).

Secondo uno Studio condotto dall’Osservatorio del Politecnico di Milano il numero di lavoratori da remoto nel 2024 è sostanzialmente stabile: 3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni del 2023. 

In particolare, lo smart working 

  • cresce nelle grandi imprese, dove coinvolge quasi 2 milioni di lavoratori (+1,6% sul 2023),
  • cala nelle PMI, passando a 520mila lavoratori dai 570mila del 2023,
  • resta sostanzialmente stabile nelle microimprese (625mila nel 2024, 620mila nel 2023) e nella PA (500mila nel 2024, 515mila nel 2023).

Per il 2025 si prevede una crescita del +5% che porterebbe a interessare 3,75 milionidi lavoratori e che riguarderà soprattutto le grandi imprese (35%) seguite dalle P.A. (23%) e dal 9% delle P.M.I. 

Come vanno letti questi dati?

Probabilmente nelle piccole realtà aziendali la fine dell’obbligo dello smart working per alcune categorie di dipendenti ha riportato in ufficio molti lavoratori in quanto il lavoro agile è ancora percepito come un modello organizzativo occasionale e non come una stabile innovazione nell’organizzazione del lavoro. 

Esistono, tuttavia, anche altre forme di flessibilità che le imprese possono sperimentare, come la settimana corta.

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Che cos’è la settimana corta?

Si tratta di una rimodulazione dell’orario di lavoro che tendenzialmente avviene secondo due modelli: 

  • compressed work week, in cui restano invariate le ore lavorate a settimana e la retribuzione, ma viene rimodulato l’orario lavorativo così da godere di mezza giornata o di una giornata libera a settimana; 
  • short work week che prevede una riduzione del numero di ore lavorative giornaliere o del numero di giorni lavorativi settimanali senza mutamento della retribuzione.

Tale forma di flessibilità consente di migliorare il bilanciamento fra lavoro e vita privata, aumentare la soddisfazione lavorativa e l’attrattività sul mercato del lavoro e, dunque, può diventare uno strumento di attrazione e retention di profili professionali altamente qualificati.

La settimana corta può essere adottata, inoltre, per compensare il rientro in ufficio dei lavoratori nelle realtà aziendali che abbiano optato per un superamento del lavoro agile. Non solo. Può anche aiutare a ridurre il divario tra lavoratori che svolgono mansioni che possono essere svolte da remoto e che, dunque, hanno accesso allo smart working, e le altre categorie di dipendenti, tenute necessariamente alla presenza e al rispetto di un orario. In questo modo si consentirebbe a tutti di sperimentare una qualche forma di flessibilità.

Non esiste ancora una disciplina della settimana corta, ma sono state presentate diverse proposte di legge in materia che promuovono nuove forme di organizzazione del lavoro, suscettibili di rappresentare il futuro della produttività sostenibile in termini ESG

In particolare, va monitorato l’A.C. 2067 presentato alla Camera il 1° ottobre 2024, recante disposizioni per favorire la stipulazione di contratti collettivi volti alla riduzione dell’orario di lavoro.

Il disegno di legge evidenzia come le giornate di lavoro più brevi per uomini e donne e la diffusione di una diversa concezione del lavoro possano produrre un riequilibrio di genere, tramite una maggiore assunzione di responsabilità lavorative da parte delle donne e, viceversa, familiari da parte degli uomini. Inoltre, la riduzione dell’orario significa anche riduzione dell’impatto ambientale del lavoro dovuto a consumi insostenibili (si pensi ai cibi confezionati e ai pasti pronti) e ad emissioni di CO2 legate agli spostamenti.

Il testo attualmente in discussione alla Camera

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  • favorisce la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali «volti alla definizione di modelli organizzativi che comportino una progressiva riduzione dell’orario normale di lavoro fino a 32 ore settimanali, a parità di salario, anche nella forma di turni distribuiti su quattro giorni settimanali»;
  • prevede, nei primi 3 anni dall’entrata in vigore, un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori, con riferimento ai rapporti di lavoro ai quali trovino applicazione i contratti collettivi di cui al punto precedente;
  • incrementa la dotazione del Fondo Nuove Competenze per sostenere la sottoscrizione di contratti collettivi che prevedano una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Per accedere al Fondo Nuove Competenze, infatti, è già oggi richiesta la sottoscrizione di accordi collettivi di rimodulazione dell’orario di lavoro recanti l’indicazione delle competenze obiettivo, del numero di lavoratori coinvolti, del numero di ore destinate alla formazione e dei percorsi di verifica delle competenze acquisite. Si tratta di un’opportunità strategica per le imprese che, adeguando l’orario di lavoro, possono investire sulla formazione dei dipendenti in ambiti come la transizione digitale ed ecologica rafforzando la competitività nel mercato e motivando il personale.

Conclusioni

Lo smart working e la settimana corta rappresentano dei modelli organizzativi orientati alla flessibilità del lavoro, capaci di produrre effetti positivi su persone, organizzazioni e società. 

Lo Studio Toffoletto De Luca Tamajo è a disposizione per qualsiasi chiarimento e per supportarvi nella individuazione del sistema organizzativo più adatto alle esigenze e agli obiettivi aziendali.

Per maggiori informazioni: comunicazione@toffolettodeluca.it



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