Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Il giovane Hitler che ho conosciuto” di August Kubizek, Bibliotheka, 2025. Traduzione di Alessandro Pugliese
Quando gli americani gli chiesero perché non gli avesse sparato,
Kubizek rispose che non lo avrebbe mai fatto in quanto Hitler era suo amico.
Ammetto che è stato difficile approcciarsi con “Il giovane Hitler che ho conosciuto”, perché la prima cosa che tacitamente viene chiesta al lettore è di immergersi in questa storia senza pregiudizi. August Kubizek fu il migliore amico di Adolf Hitler per quasi cinque anni, ossia tra il 1904 e il 1908. I due adolescenti vissero tra Linz e Vienna.
Le origini
Kubizek è un aspirante musicista, Hitler non sa cosa vuole fare della sua vita. Prima vuole intraprendere la carriera da artista, poi quella da architetto; fatto sta che non finirà neanche l’istituto tecnico. Insomma, non è solo confuso, ma è anche un ragazzo atipico. È un solitario, tant’è che l’amicizia con August, che chiama affettuosamente Gustl, diventa morbosa. Adolf ha improvvisi e violenti cambi di umore, ma è anche un appassionato di musica nonché un accanito lettore.
Odia la borghesia, l’impero asburgico, il suo apparato burocratico e il suo esercito. A un certo punto comincia a ridisegnare Linz e Vienna; butta giù idee e programmi che, appena diventerà Cancelliere, nel 1933, realizzerà riportando alla mente quei progetti che aveva esposto al suo amico durante le chiacchierate notturne.
Ed è proprio questo aspetto che l’autore di “Il giovane Hitler che ho conosciuto” ripeterà in più occasioni: è come se quel ragazzo misantropo, a cui nessuno avrebbe dato un minimo di fiducia, fosse guidato da un’entità invisibile che gli svelava il futuro. Ho ragione di credere che Kubizek non abbia voluto edulcorare le cose, anche perché è stato il primo a non dare troppa retta al suo compagno.
Sempre da quanto ci racconta August, Adolf è un adolescente imperscrutabile, impossibile da decifrare, capace di alternare attimi di ira e di fanatismo a momenti di gentilezza e di raffinatezza. Sta lontano dagli uomini e dalle donne, soprattutto dalle prostitute. Solo di una ragazza si innamora e tenta di farla cadere ai suoi piedi incrociando il suo sguardo durante le passeggiate pomeridiane che lei fa insieme alla madre. Ripeterà questo rito ogni giorno, senza però arrivare al dunque, nonostante lei risponda con le sue occhiate a quei tentativi di approccio. Questo giovane infatti ha una dote: due occhi luminosi che sanno infiammare chiunque. In poche parole: Adolf riesce a ipnotizzare le persone.
Terminato il suo anno all’accademia di Vienna, Kubizek continuerà gli studi musicali affiancando ad essi il lavoro da tappezziere nella bottega del padre. Hitler rimane invece a Vienna e farà perdere le sue tracce. August lo cercherà per anni senza ottenere risultati. Quando Hitler diventerà l’uomo più potente della Germania gli scriverà e lui lo riceverà con tutti gli onori. Da qui nacque il mito di Kubizek, colui che conobbe il Führer in quegli anni che lo stesso fondatore del nazismo cercò di nascondere.
Storia e declino di un amico speciale
“Il giovane Hitler che ho conosciuto” è un libro particolare, raccontarlo è semplice, ma riuscire a descrivere ciò che suscita è difficile. Logicamente, nessuno vuole riabilitare la figura di uno dei più feroci dittatori della storia, ma di sicuro, leggendo, scoprendo alcuni lati del carattere del giovane Führer, ci domanderemo come sia stato possibile che un popolo intero abbia deciso di seguirlo.
Neanche Kubizek crederà al nazismo e alle idee del suo amico, infatti si iscrisse al partito Nsdap solo nel 1942. Neanche Hitler glielo chiese mai. L’autore è sempre stato convinto di una cosa: furono gli anni nei sobborghi, quelli passati tra i miserabili e le prostitute, che alimentarono la fame di dominio del suo migliore amico.
Il giovane Hitler era ossessionato dal fallimento, bastava davvero poco per trasformare i suoi deliri in declamazioni in cui annunciava il suo suicidio. Quando sparì nel nulla, ci spiega Kubizek, lo fece per pudore, perché era povero e non poteva più permettersi di pagare il fitto di una stanza che entrambi avevano diviso con gli insetti e l’umidità.
Insomma, il futuro Hitler nacque da una tribolazione giovanile non indifferente. Come detto, ciò non deve farci guardare a quest’uomo con occhi pietosi, anzi, ma deve servirci per riflettere sull’origine di alcuni fenomeni che rendono la follia contagiosa.
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