sulla mancanza dei titoli abilitativi per l’attività


Il contributo analizza l’applicabilità della disciplina del contratto di locazione al contratto di affitto di azienda, con particolare riguardo all’imputazione del rischio connesso alla mancanza dei titoli abilitativi necessari all’esercizio dell’attività cui l’immobile oggetto di contratto è destinato, alla luce del recente orientamento espresso dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 1 febbraio 2025 n. 416.


1. Il caso concreto esaminato dalla Corte di Appello

La sentenza in commento tra origine da un contratto d’affitto, stipulato da due società concedenti (successivamente fuse per incorporazione), avente a oggetto il godimento delle rispettive aziende costituite dalle attività di campeggio turistico con balneazione e di ristorazione. In costanza di rapporto, l’affittuaria ometteva il pagamento di alcuni ratei del canone di affitto, adducendo come motivazione la mancata consegna da parte della concedente di tutti i titoli abilitativi (autorizzazioni, concessioni e certificazioni) prescritti per l’esercizio dell’attività aziendale.

La concedente agiva in giudizio per ottenere, dunque, in via principale la risoluzione del contratto per grave inadempimento da parte dell’affittuaria, con conseguente sua condanna al rilascio delle aziende concesse in godimento, in via gradata, la concedente domandava altresì la condanna dell’affittuaria al pagamento dei canoni di affitto rimasti insoluti, nonché gli ulteriori che sarebbero maturati fino all’effettiva riconsegna.

Con separato ricorso, a sua volta la società affittuaria conveniva in giudizio la concedente, allegando la violazione di quest’ultima dell’obbligo, prescritto dall’articolo 1617 cod. civ., di consegnare l’azienda in stato idoneo a servire all’uso e alla produzione per cui erano destinata, con conseguente impossibilità di dare avvio alla stagione balneare. L’affittuaria domandava quindi la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni, comprensivi del danno emergente, costituito dalle spese sostenute per l’avvio dell’attività, nonché dal lucro cessante, corrispondente ai mancati introiti patiti per l’omesso esercizio dell’attività.

A seguito della riunione dei due giudizi e disposto l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza n. 1209 pubblicata il 28 luglio 2020, il Tribunale di Torre Annunziata dichiarava la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’affittuaria, stante il mancato pagamento dei canoni di affitto, condannandola al risarcimento dei danni, essendo già intervenuta nelle more la riconsegna del complesso aziendale. Al contempo, il primo giudice accertava e dichiarava il diritto della stessa affittuaria al risarcimento per i danni derivanti dall’inadempimento della concedente, non avendo quest’ultima realizzato gli interventi convenuti, necessari a rendere la struttura concessa in affitto idonea al pieno svolgimento dell’attività aziendale.

La concedente proponeva dunque appello, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado, contestando l’erronea valutazione del proprio inadempimento e chiedendo di conseguenza il rigetto delle domande avanzate dall’affittuaria. Da parte sua, l’affittuaria proponeva appello incidentale, sostenendo che la sentenza di primo grado era viziata dalla violazione del principio inadimplenti non est adimplendum di cui all’articolo 1460 cod. civ., ritenendo giustificata la sospensione del pagamento del canone di affitto dall’inadempimento della concedente. L’affittuaria concludeva, dunque, per il rigetto dell’appello principale e in via incidentale domandava altresì la riforma della sentenza di primo grado, insistendo affinché fosse accertata e dichiarata la risoluzione del contratto per grave inadempimento della concedente e la sua conseguente condanna al risarcimento dei danni.

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2. Il principio elaborato nella riforma della sentenza di primo grado

Nell’esaminare i motivi di impugnazione sottoposti, la Corte di Appello di Napoli si è preoccupata di precisare che «la disciplina dell’affitto va ricercata, ove la fattispecie non sia regolata da una norma specifica, mediante ricorso alle disposizioni generali sulla locazione, contenute nella sezione I dello stesso capo VI, in quanto compatibili, onde nel caso in esame deve porsi mente agli articoli 1575 e 1578 c.c., per i quali il locatore deve consegnare e mantenere la cosa in istato da servire all’uso convenuto, onde qualora essa sia affetta da vizi che ne diminuiscano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili».

Sempre con particolare riferimento al contratto d’affitto d’azienda, nel medesimo contesto la Corte ha chiarito che «l’esistenza dei titoli amministrativi necessari per lo svolgimento dell’attività d’impresa cui l’azienda stessa è destinata costituisce un requisito essenziale per l’uso pattuito».

Per ciò che attiene, infine, ai rimedi esperibili dall’affittuario, la Corte ritiene inoltre che non ogni vizio o difetto dell’azienda concessa in affitto costituisce causa di risoluzione del contratto o giustifica la riduzione del corrispettivo «deve trattarsi di vizi che diminuiscano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito (art. 1578 c.c.) sì da alterare l’equilibrio delle obbligazioni reciproche, e che non siano conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore, con l’uso dell’ordinaria diligenza, al momento della consegna del bene».

A fronte di questi principi, pur accertando sussistente parte dei vizi lamentati dall’affittuaria, la Corte di Appello ha ritenuto l’inidoneità degli stessi a integrare il grave inadempimento della concedente ai fini della risoluzione del contratto d’affitto ai sensi degli articoli 1453 e 1455 cod. civ., considerato il loro impatto temporaneo sull’operatività aziendale, senza che tali vizi avessero inciso, quindi, in modo radicale e irreversibile sull’equilibrio contrattuale, tenuto conto anche della durata pluriennale del rapporto.

Oltre a ritenere che parte dei vizi e difetti denunciati fossero conosciuti e conoscibili dall’affittuaria, stante il pregresso godimento dell’azienda in forza di un anteriore contratto, il Giudice del gravame ha valorizzato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado, nella quale l’ausiliario aveva accertato la presenza delle autorizzazioni essenziali allo svolgimento dell’attività economica cui l’azienda era destinata, nonché la generazione di ricavi da parte dell’azienda medesima, verificata sulla base delle scritture contabili dell’affittuaria.

Seppure non sufficienti a integrare le condizioni per la risoluzione del contratto d’affitto, la Corte d’Appello ha ritenuto ad ogni modo rilevante parte dei vizi denunciati dall’affittuaria dal punto di vista risarcitorio. In conclusione, per un verso, in parziale accoglimento dell’appello principale, la Corte ha ridotto l’importo dovuto dalla concedente all’affittuaria a titolo di risarcimento dei danni, disponendo la sua compensazione con il residuo controcredito per i canoni scaduti. Per altro verso, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’affittuaria, il giudice del gravame ha pronunciato la risoluzione consensuale del contratto, valorizzando la riconsegna dell’azienda oggetto di causa, ricevuta dalla concedente senza alcuna eccezione riguardo l’inosservanza del termine di preavviso, condotte delle parti ritenute incompatibili con la volontà di proseguire regolarmente il rapporto.

3. Gli orientamenti alternativi nel panorama giurisprudenziale

Il principio elaborato dalla Corte d’Appello nella sentenza in commento ritiene applicabile, nel silenzio del dato normativo, la disciplina del contratto di locazione a quello di affitto d’azienda. Sulla base di questa premessa procede poi a valutare le rispettive condotte di concedente e affittuaria.

Rispetto alle motivazioni della Corte, è interessante osservare, anzitutto, come anche in materia di contratto di locazione non vi sia un orientamento che attribuisce univocamente al locatore o al conduttore (o meglio, per quanto rileva in questa sede, alla concedente o alla affittuaria) l’obbligo di garantire la presenza di tutti i titoli abilitativi necessari all’esercizio dell’attività cui l’immobile oggetto di contratto è destinato.

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Merita di essere menzionato, infatti, un primo orientamento più favorevole al conduttore, secondo cui l’inidoneità dell’immobile all’uso convenuto nel contratto e la mancanza delle necessarie autorizzazioni amministrative configurano grave inadempimento del locatore [1].

Secondo un altro orientamento, questo più favorevole al locatore, costituisce un obbligo del conduttore verificare le caratteristiche tecniche dell’immobile e la sua idoneità allo svolgimento dell’attività che intende esercitare all’interno. Sulla base di questa premessa, si esclude che la mancanza di tali caratteristiche valga a integrare grave inadempimento del locatore, salvo il caso in cui l’obbligo di conseguire le autorizzazioni necessarie all’esercizio dell’attività sia stato esplicitamente pattuito a suo carico in forza del contratto [2].

Si registra, infine, un terzo orientamento – presumibilmente elaborato nel tentativo di contemperare i primi due – secondo cui sussiste il grave inadempimento del locatore, non solo qualora abbia espressamente assunto l’obbligo di ottenere le autorizzazioni necessarie allo svolgimento delle attività cui l’immobile è destinato, ma anche quando l’impossibilità di conseguire siffatte autorizzazioni derivi dalle caratteristiche intrinseche dell’immobile [3].

Ripercorse brevemente le variegate elaborazioni che convivono con riferimento al contratto di locazione, relativamente alla mancanza dell’autorizzazioni necessarie all’esercizio dell’attività cui l’immobile è destinato [4], merita di essere ricordato inoltre l’orientamento che pone rilievo rispetto all’affitto d’azienda le speciali prescrizioni (in particolare gli articoli 1617 e 1621 cod. civ.) dettate in materia di affitto di beni produttivi [5]. Sulla base di tale ultimo principio, si registrano diversi precedenti che hanno ritenuto sussistente il grave inadempimento del concedente all’obbligo di consegnare l’azienda in condizioni idonee all’uso previsto, laddove essa sia sprovvista delle autorizzazioni necessarie all’esercizio dell’attività o queste non possano essere conseguite [6].

Ultimata questa panoramica, è interessante soffermarsi, infine, sulle modalità in cui, sempre in mancanza di apposite clausole contrattuali, opera la ripartizione tra concedente e affittuario degli obblighi connessi ai titoli abilitativi necessari all’esercizio dell’azienda oggetto di contratto, con riguardo, oltre che alla fase originaria (la consegna dell’azienda) alla fase di esecuzione del contratto.

Si tratta di un argomento, infatti, che può essere ricondotto ragionevolmente alla disciplina degli oneri di manutenzione e riparazione dell’azienda concessa in affitto, materia in cui l’orientamento prevalente si è discostato dall’applicazione delle norme prescritte con riferimento al contratto di locazione.

Nell’individuare la disciplina integrativa dell’affitto d’azienda sul tema, si registra un ricorso frequente, infatti, alle norme dettate in materia di usufrutto d’azienda, orientamento che tende a valorizzare il rinvio testuale operato dall’articolo 2562 cod. civ. all’articolo 2561, secondo comma, cod. civ. Come noto, quest’ultima norma impone all’usufruttuario (ovvero all’affittuario) di gestire l’azienda in modo da «conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti».

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È stato affermato ad esempio che proprio sulla base del cd. principio di conservazione dell’azienda debbano essere delimitati, sempre in mancanza di particolari pattuizioni convenzionali, gli obblighi di manutenzione e di riparazione dell’affittuario, che è tenuto al rinnovo dei componenti dell’azienda, mentre si ritiene esuli da tale obbligo la sostituzione degli impianti obsoleti ([7]).

Sempre secondo la giurisprudenza, costituiscono interventi di manutenzione ordinaria (a carico dell’affittuario) quelli volti alla conservazione della destinazione economica dell’azienda e al ripristino della sua attitudine produttiva. Sono invece manutenzioni straordinarie a carico del concedente quelle che esulano da tale scopo. In mancanza di un criterio distintivo convenzionalmente pattuito, si ritiene applicabile inoltre l’articolo 1005 cod. civ. dettato in materia di usufrutto, ma considerato di portata generale [8].

In altre parole, secondo la ricostruzione della giurisprudenza, sono a carico dell’affittuario gli interventi volti alla conservazione ed al godimento della cosa, mentre sono riservate al concedente le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della stessa. Ai fini della qualificazione come intervento di manutenzione straordinaria, lo stesso deve avere natura strutturale e deve essere inoltre strumentale alla stabilità o al rinnovamento del bene o di parte di esso [9]. Sul punto è stato chiarito, inoltre, che per rinnovamento deve intendersi «la sostituzione di entità preesistenti, ma ormai inefficienti con altre pienamente efficienti» volto «alla prevenzione o eliminazione di cedimenti e deterioramenti legati alla vetustà» [10].

4. Conclusioni

Le oscillazioni della giurisprudenza circa l’imputazione al concedente o all’affittuario dei rischi connessi alla presenza e al mantenimento dei titoli abilitativi necessari all’esercizio dell’azienda concessa in affitto, confermano la particolare attenzione che, nella pratica professionale, deve essere dedicata alla redazione delle clausole contrattuali connesse a tali profili. La predisposizione di un insieme dettagliato di dichiarazioni e garanzie, riguardanti il possesso di tutti i titoli abilitativi necessari all’esercizio dell’attività aziendale, nonché ulteriori clausole finalizzate a convenire sin dall’inizio tra concedente e affittuario quale di essi sia poi tenuto a eseguire eventuali interventi di adeguamento necessari ad assicurare (anche dal punto di vista del mantenimento dei titoli abilitativi) la continuità aziendale nella fase esecutiva del rapporto, possono contribuire senz’altro a prevenire i rischi di un contenzioso che, per i motivi che si ha avuto modo di trattare, si presenta senz’altro dagli esiti incerti.

 

[1]  Nella  giurisprudenza  di  legittimità  si  vedano  ad  esempio:  Cass.  9  febbraio  2012  n.  3726;  Cass.  7  giugno  2011  n.  12286;  Cass.  19  luglio  2008  n.  20067;  Cass.  28  marzo  2006  n.  7081;    Cass.  13  dicembre  1980  n.  6484.

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[2]  Sempre  in  giurisprudenza  si  vedano,  tra  le  altre,  Cass.  7  giugno  2018  n.  14731;  Cass.  14  agosto  2014  n.  17986;  Cass.  25  gennaio  2011,  n.  1735;  Cass.  1°  dicembre  2009  n.  25278;  Cass.  8  giugno  2007  n.  13395.

[3]  In  termini  si  vedano  le  seguenti  pronunce  della  Suprema  Corte:  Cass.  26  luglio  2016  n.  15377;  Cass.  18  gennaio  2016  n.  666;  Cass.  16  giugno  2014  n.  13651.

[4]  Oltre  la  sentenza  in  commento  in  dottrina  si  veda  ad  esempio  M.  P.  Nastri,  L’affitto  di  azienda,  l’usufrutto  e  la  locazione,  in  Notariato,  2010.

[5]  Nella  giurisprudenza  di  legittimità  si  vedano  ad  esempio:  Cass.  27  marzo  2020  n.  7574;  Cass.  21  settembre  2015  n.  18450.  Nella  giurisprudenza  di  merito  si  veda  anche  Trib.  Brindisi,  18  dicembre  2017,  in  De  Jure.  In  senso  favorevole  all’applicazione  delle  norme  su  affitto  di  beni  produttivi  e  locazione  all’affitto  d’azienda  in  quanto  compatibili  in  dottrina  si  vedano:  V.  Roppo,  Trattato  dei  contratti,  II,  2014,  1333;  C.  Ferrentino  –  A.  Ferrucci,  Dell’azienda,  2014,  268.

[6]  In  questi  termini  e  con  particolare  riferimento  alle  difformità  dell’azienda  dal  punto  di  vista  della  prevenzione  incendi,  si  vedano  ad  esempio:  Trib.  Bologna,  28  settembre  2022;  Trib.  Ravenna,  14  febbraio  2022;  entrambe  in  De  Jure.  Per  l’opinione  contraria  in  merito  all’inapplicabilità  dell’articolo  1621  cod.  civ.  all’affitto  di  azienda  si  veda  G.U.  Tedeschi,  L’usufrutto  e  l’affitto  d’aziendaTratt.  Rescigno,  IV,  2012,  143.

[7]  M.  Cian,  Dell’azienda  –  commento  sub  art.  2562  c.c.,  in  Comm.  Schlesinger,  2018,  265;  F.  Fimmanò  –  A.  Picchione,  L’affitto  dell’azienda  –  commento  sub  art.  2561  c.c.,  in  Comm.  Gabrielli,  2014,  907.

[8]  Nella  giurisprudenza  di  legittimità  si  vedano:  Cass.  27  maggio  2022  n.  17226;  Cass.  18  settembre  2020  n.  19632.  Dello  stesso  avviso,  nella  giurisprudenza  di  merito  si  vedano:  App.  Firenze,  26  luglio  2022;  Trib.  Firenze,  6  ottobre  2022,  entrambe  in  De  Jure.

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[9]  In  termini  si  vedano:  Cass.  12  settembre  2019  n.  22797;  Cass.  6  novembre  2015  n.  22703.

[10]  Nella  giurisprudenza  di  legittimità  si  vedano  Cass.  12  settembre  2019  n.  22797;  Cass.  28  novembre  1998  n.  12085.



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