Nulla aiuta la mafia più del silenzio. E infatti sugli arresti di Catania i politici tacciono


Operazione “Mercurio” (febbraio 2025) tra Catania e Siracusa: tra gli arrestati figurano un deputato regionale siciliano, due consiglieri comunali e un sindaco.

Camporeale (provincia di Palermo, febbraio 2025): un’operazione antimafia ha portato all’arresto di sei persone ritenute esponenti della locale organizzazione mafiosa. Tra gli indagati figura anche il sindaco.

Custonaci (provincia di Trapani): le indagini hanno rivelato infiltrazioni mafiose nel comune da parte di boss locali, evidenziando una pervasiva presenza della criminalità organizzata nel tessuto politico e amministrativo.

Petrosino (provincia di Trapani, marzo 2023): arrestato un consigliere comunale con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso. Le indagini hanno rivelato un presunto accordo per ottenere voti in cambio di favori al clan mafioso.

Randazzo (provincia di Catania, Operazione “Terra Bruciata”): indagine contro il clan Sangani. Durante le investigazioni sono emerse interferenze del clan nelle elezioni amministrative del 2018 a Randazzo, con ipotesi di scambio elettorale politico-mafioso che avrebbero coinvolto il sindaco e altri politici locali.

Questo è un piccolo e assolutamente non esaustivo elenco delle operazioni recenti che hanno evidenziato stretti rapporti tra politica e cosche mafiose. In tutte queste indagini, che ovviamente seguiranno il proprio corso giudiziario, la dinamica è sempre la stessa: il politico di turno cerca il rapporto con i clan, chiede voti e paga promettendo favori e mettendo a disposizione la macchina comunale. Appalti, assunzioni, favori e riconoscimento del proprio potere da un lato; elezione e sostegno dall’altro. Non c’è nulla di troppo piccolo per gli interessi mafiosi, che si tratti di una licenza o di un appalto per il cimitero.

Ciò che colpisce, spesso, è la spregiudicatezza e la trasversalità di questi rapporti. A Misterbianco, stando a quanto si legge nelle carte dell’operazione “Mercurio”, la famiglia mafiosa locale si occupava anche di aiutare nella composizione della lista per favorire il politico protetto. In altri comuni indicava assessori e suggeriva strategie; in altri ancora sfiduciava amministrazioni poco compiacenti.

E tutto questo nel silenzio. Con qualche eccezione, sia chiaro. Ma non un silenzio imbarazzato, piuttosto un silenzio costruito, voluto, cercato. Prima, durante e dopo. Come se fossero casi isolati, mele marce, singoli uomini e donne che perdono il lume della ragione.

Facile. Troppo facile.

E così la difesa del deputato regionale Castiglione da parte dell’ex governatore Raffaele Lombardo, nelle cui liste era candidato ed eletto, si limita a insistere sull’ingenuità dello stesso Castiglione. Come se un politico con un pedigree chilometrico potesse non capire con chi stesse parlando e di cosa stesse trattando. Ingenui anche i consiglieri comunali e i sindaci che, seduti al tavolino di un bar, promettevano appalti. Forse. Ingenui anche quei candidati che chiedevano di entrare in contatto con autorevoli esponenti mafiosi.

Una pagina che potrebbe arricchirsi di dettagli nelle prossime settimane.

Silenzioso Schifani. Silenzioso il leghista Centineo, che trova il tempo per rilasciare dichiarazioni di fuoco contro il cantante estone dell’Eurofestival, reo di scherzare con la mafia, ma evidentemente senza il tempo per leggere i giornali di queste ore. Eppure, mai come adesso, servirebbe prendere parola. Provare a costruire anticorpi. Partendo dal brodo di coltura comune a quasi tutti gli episodi degli ultimi anni: la costruzione di alleanze ibride, basate non sulla politica e la visione, ma solo sul potere e il governo degli enti locali.

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Magari usando il paravento di un civismo falso e peloso, che maschera alleanze indicibili politicamente e, di conseguenza, altrettanto indicibili con poteri criminali. Una miscela di portatori di voti e interessi che, proprio per questo, non possono prescindere dal controllo della macchina comunale e amministrativa. Con partiti troppo spesso distratti o, il più delle volte, interessati solo a piazzare una bandierina e qualche procacciatore di voti per le elezioni superiori.

La prova plastica di questa disattenzione sta nelle reazioni a tutto ciò. Qualche giorno prima degli arresti nel Catanese, a Palermo si è svolto un maxi-blitz come non se ne vedevano da anni: 181 arresti nel territorio della provincia. Estorsioni, droga, controllo del territorio. Business tipici di Cosa Nostra. Le agenzie di stampa sono state invase da decine e decine di comunicati, quasi ciclostilati, di apprezzamento e condanna, ferma, contro mafia e malaffare. All’indomani degli arresti di Catania, invece, in pochi – pochissimi – hanno parlato. All’Assemblea Regionale Siciliana, solo qualche esponente delle opposizioni ha preso la parola, in un’aula vuota e distratta da altro.

A testimoniare, in maniera chiara, come di mafia si possa parlare quando si tratta di criminalità sul territorio, ma non certo quando si tratta di discutere della capacità mafiosa di infiltrarsi e permeare politica e istituzioni. Troppo scivoloso.

Eppure, proprio in un periodo in cui la mafia spara meno e cerca di inabissarsi, tentando di scomparire dall’agenda delle priorità della politica, servirebbe un’attenzione maggiore. Una capacità di analisi rinnovata. E la consapevolezza che nulla aiuta di più le cosche del silenzio e della riduzione a fatti isolati di episodi che, ormai, sono parte costitutiva delle dinamiche di potere nell’isola.

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