Dazi, ecco le “armi” a disposizione dell’Ue per rispondere a Trump


Giorgetti non esclude possibili trattative “bilaterali”

Roma, 1 mar. (askanews) – I dazi del 25% sulle importazioni dall’Ue annunciati da Donald Trump (ma ancora non specificati nei dettagli, a parte il riferimento alle automobili e più in generale all’acciaio e all’alluminio) stanno creando apprensione e timori soprattutto nei paesi (Germania, Italia e Irlanda) con il più alto attivo commerciale nello scambio di merci con gli Stati Uniti. La risposta della Commissione europea, che sul commercio ha una competenza esclusiva nell’Ue, è stata finora molto prudente, per mantenere aperto il negoziato con gli Usa, anche se ferma nel ribadire che le contromisure scatteranno immediatamente se i dazi verranno imposti, quando si saprà esattamente quali esportazioni dall’Ue saranno prese di mira.

Innanzitutto va detto che l’Ue è un’unione doganale, e quindi, mentre i paesi terzi possono imporre dazi all’importazione differenziati secondo i paesi di provenienza, la risposta dell’Ue non può essere nazionale, con contromisure diverse e magari negoziate da Stato membro a Stato membro, ma solo comunitaria, con dazi unici e uguali per tutti i Ventisette.

Va precisato poi che gli strumenti Ue di difesa commerciale (‘trade defense’) sono sottoposti a un meccanismo decisionale diverso sia da quello riguardante la politica estera e di difesa (dove vige la regola paralizzante dell’unanimità dei paesi membri per l’approvazione), sia dal normale processo co-legislativo per la maggior parte delle politiche comuni (che richiede la maggioranza qualificata degli Stati membri).

La competenza comunitaria esclusiva per il commercio significa che le misure di ‘trade defense’, in particolare in risposta a dazi sproporzionati e ingiustificati imposti da paesi terzi alle importazioni dall’Ue, possono essere decise su iniziativa della Commissione con ‘regolamenti di esecuzione’ secondo il meccanismo della ‘comitologia’: le proposte sono formulate dall’Esecutivo Ue e sottoposta all’approvazione dei rappresentanti degli Stati membri nel ‘Comitato degli strumenti di difesa commerciale’. Qui il meccanismo decisionale prevede che le proposte di contromisure commerciali possano essere respinte solo se è contraria la maggioranza qualificata dei rappresentanti dei Ventisette (il 55% dei paesi che rappresenti almeno il 60% della popolazione totale dell’Ue). In assenza di una maggioranza qualificata contraria o favorevole, la proposta viene ripresentata in un ‘comitato di appello’: se anche in questo caso non c’è una maggioranza qualificata contraria, la Commissione può procedere senz’altro all’esecuzione delle misure.

A questo punto bisogna puntualizzare che delle contromisure commerciali comunitarie riguardo ai dazi americani sull’acciaio erano già state decise all’epoca della prima Amministrazione Trump, e successivamente sospese durante l’Amministrazione Biden. La prima azione di ritorsione commerciale che l’Ue può prendere, in questo caso specifico, consisterebbe nel non prorogare la sospensione, prevista fino a fine marzo, di questi vecchi dazi, che tornerebbero quindi in vigore automaticamente entro l’inizio di aprile, se i dazi americani su acciaio e alluminio europei verranno applicati come annunciato da Trump, il 12 marzo. Il timing, tuttavia, è imprevedibile, perché il presidente americano continua a moltiplicare le minacce, ma anche a negoziare contropartite in cambio della sospensione o del rinvio dell’attuazione dei dazi annunciati.

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Per quanto riguarda le altre importazioni, la Commissione ha già pronta una lista completa di prodotti americani che potrebbero essere colpiti da dazi nell’Ue, come contromisure di difesa commerciale nell’Ue. La scelta sui prodotti americani da prendere di mira sarà calibrata, in modo proporzionale, in base alle importazioni specifiche dall’Ue che verranno penalizzate dai nuovi dazi eventualmente notificati dall’Amministrazione Trump.

In questo quadro, i singoli Stati potrebbero avviare trattative bilaterali per ridurre l’impatto dei dazi? Secondo il ministro italiano dell’Economia Giancarlo Giorgetti sì. ‘La risposta alla politica protezionistica dell’amministrazione Trump penso che possa essere bilaterale, perchè può essere bilaterale’, ha detto in conferenza stampa il 28 febbraio (creando qualche allarme a Bruxelles). Cosa intende Giorgetti con questa frase ‘sibillina’? Che i dazi possono essere usati come uno strumento negoziale, in una logica ‘transazionale’. Ovvero gli Stati Uniti potrebbero decidere di imporre dazi minori (o nessun dazio) a un paese specifico in cambio di alcune contropartite.

Contro questa possibilità, la Commissione dispone di un altro strumento, molto più recente (è in vigore dalla fine del 2023), ma anche più complicato da usare, lo ‘strumento anti coercizione’, a cui si può ricorrere quando sono soddisfatte due condizioni cumulative: 1) un paese terzo interferisce nelle legittime scelte sovrane dell’Unione o di uno Stato membro cercando di impedire o di ottenere la cessazione, la modifica o l’adozione di un atto legislativo specifico Ue o nazionale; 2) l’interferenza comporta l’applicazione o la minaccia di applicare misure che incidono sugli scambi o sugli investimenti. Anche in questo caso le misure sono decise in base alla procedura di ‘comitologia’.

Lo strumento anti coercizione potrebbe essere usato, in particolare, nel caso in cui l’Amministrazione Trump decidesse, come si teme nell’Ue, di prendere di mira esplicitamente, con ordini esecutivi e divieti imposti alle imprese, l’applicazione delle normative comunitarie che regolano il settore digitale, e in particolare i due regolamenti ‘Digital Services Act’ (Dsa – Ue 2022/2065) e ‘Digital Markets Act’ (Dma – Ue 2022/1925), il regolamento Gdpr sulla protezione dei dati personali (‘General Data Protection Regulation’ – Ue 2016/679) e il recentissimo regolamento sull’Intelligenza Artificiale (Ue 2024/1689). E’ noto come esponenti dell’Amministrazione Trump abbiano già accusato proprio il regolamento Dsa di imporre forme di censura, mentre alcune piattaforme americane dei social media come X e Meta hanno annunciato di non applicare più il ‘fact checking’ sui loro contenuti, previsto dalle normative Ue.

Un caso di scuola di coercizione economica accaduto in passato (2021-2022) è stato quello delle discriminazioni commerciali della Cina contro la Lituania (rifiuto di sdoganare o di accettare domande di importazione di merci lituane e pressioni sulle aziende dell’Ue esportatrici in Cina al fine di escludere eventuali input lituani dalle loro catene del valore), causate dall’apertura di un’ambasciata di Taiwan a Vilnius, capitale dello Stato baltico. All’epoca non era ancora stato istituito lo strumento anti coercizione, e il caso fu portato dall’Ue davanti all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto).

In realtà, nei rapporti con gli Stati Uniti, l’aspetto delle contromisure di difesa commerciale e quello dello strumento anti coercizione potrebbero essere entrambi coinvolti nella risposta dell’Ue, se si confermerà che dietro l’annuncio dei dazi, così come dietro la minaccia di ritirare o ridurre drasticamente l’impegno americano nella difesa europea attraverso la Nato, ci sarebbe in realtà una precisa strategia di Trump, volta a costringere i paesi sotto pressione e i loro sistemi finanziari ad acquistare massicciamente titoli del Tesoro Usa a bassi rendimenti e a lunghissimo termine.

Insomma, come ha spiegato molto bene Federico Fubini sul Corriere della Sera (17 febbraio, ‘Trump e il complotto contro l’Europa: le due strategie per dare l’assalto all’euro’), basandosi su un lungo documento strategico del nuovo presidente del ‘Council of Economic Advisors’ della Casa Bianca, Stephen Miran, i dazi di Trump non sarebbero altro che un potente strumento negoziale per una gigantesca operazione di coercizione economica contro l’Europa e il resto del mondo.

L’obiettivo di questa operazione andrebbe ben al di là delle finalità puramente commerciali: si tratterebbe di garantire la stabilizzazione dell’ingente debito pubblico americano (120,7% del Pil nel 2024, con un deficit al 6,3%), assicurandone il finanziamento ‘forzato’ dall’estero, a lungo termine e con rendimenti poco remunerativi, nonostante il forte aumento previsto (2.000 miliardi di dollari all’anno) del debito stesso. Questo consentirebbe anche a Trump di rispettare la promessa di ridurre ulteriormente (fino al 15%) le tasse sui profitti delle imprese (con un costo aggiuntivo per il bilancio americano calcolato a 5.000 miliardi di dollari in 10 anni), e di scongiurare il rischio che la Federal Reserve aumenti i tassi d’interesse, ciò che causerebbe grossi problemi all’economia del Paese. Dagli sviluppi delle prossime settimane si capirà se questo ‘Piano Miran’ è davvero il piano del presidente degli Stati Uniti.

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Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese



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