Donne più istruite ma meno retribuite, la strada per una vera parità sul lavoro è ancora lunga


Emerge un quadro a tinte fosche dal rendiconto di genere presentato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps

ROMA – Sono ancora “rilevanti” le condizioni di svantaggio delle donne nell’ambito lavorativo, familiare e sociale. Un’amara constatazione che emerge, plasticamente, dal rendiconto di genere presentato dal consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps, che contiene dati relativi alla presenza delle donne nel mercato del lavoro e nei percorsi di istruzione, ai livelli retributivi e pensionistici, agli strumenti di sostegno al lavoro di cura, alla violenza di genere. Nel 2023 il tasso di occupazione femminile si è attestato al 52,5% rispetto al 70,4% degli uomini, evidenziando un divario di genere “significativo” pari a 17,9 punti percentuali. Inoltre, le assunzioni femminili hanno rappresentato il 42,3% del totale.

Stipendi delle donne inferiori di oltre 20 punti percentuali

Anche l’instabilità occupazionale coinvolge soprattutto il genere femminile, in quanto solo il 18% delle assunzioni di donne sono a tempo indeterminato a fronte del 22,6% degli uomini. Le lavoratrici con un contratto a tempo parziale sono il 64,4% del totale e anche il part time involontario è prevalentemente femminile, rappresentando il 15,6% degli occupati rispetto al 5,1% dei maschi. Il gap retributivo di genere rimane un aspetto critico, con le donne che percepiscono stipendi inferiori di oltre venti punti percentuali rispetto agli uomini. In particolare, tra i principali settori economici, la differenza è pari al 20% nelle attività manifatturiere; 23,7% nel commercio; 16,3% nei servizi di alloggio e ristorazione; 32,1% nelle attività finanziarie, assicurative e servizi alle imprese.

Appena il 21,1% dei dirigenti è donna

Appena il 21,1% dei dirigenti è donna, mentre tra i quadri il genere femminile rappresenta solo il 32,4%. Per quanto riguarda il livello di istruzione nel 2023 le donne hanno superato gli uomini sia tra i diplomati (52,6%) che tra i laureati (59,9%), ma questa superiorità nel percorso di studi non si traduce in una maggiore presenza nelle posizioni di vertice nel mondo del lavoro. Le donne continuano a farsi carico della maggior parte del lavoro di cura. Nel 2023 le giornate di congedo parentale utilizzate dalle donne sono state 14,4 milioni, contro appena 2,1 milioni degli uomini.

L’offerta di asili nido rimane insufficiente

L’offerta di asili nido rimane insufficiente, con solo l’Umbria, l’Emilia Romagna e la Valle d’Aosta che raggiungono o si avvicinano all’obiettivo dei 45 posti nido per 100 bambini 0-2 anni. Le denunce per violenza di genere sono aumentate, evidenziando una problematica ancora radicata. Il reddito di libertà, erogato dall’Inps alle donne vittime di violenza in ambito familiare, nel 2021 ha coinvolto 2.418 donne, mentre negli anni successivi, per mancanza di risorse, sono stati confermati i trattamenti solo nelle regioni Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia (circa 233 in tutto nel 2023) grazie a risorse regionali.

Differenze anche nelle prestazioni pensionistiche

Per quanto concerne le prestazioni pensionistiche, sebbene le donne siano numericamente superiori tra i beneficiari di pensioni, essendo 7,9 milioni le pensionate rispetto ai 7,3 milioni di pensionati, permangono “significative differenze” negli importi erogati. Nel lavoro dipendente privato gli importi medi delle pensioni di anzianità/anticipate e di invalidità per le donne sono rispettivamente del 25,5% e del 32% inferiori rispetto a quelli degli uomini, mentre nel caso delle pensioni di vecchiaia il divario raggiunge il 44,1%. Questi dati sono il riflesso di una condizione di svantaggio che le donne hanno nel mercato del lavoro. Le donne prevalgono numericamente nelle prestazioni pensionistiche di vecchiaia e ai superstiti. Il numero limitato delle donne che beneficiano della pensione di anzianità/anticipata (solo il 27% fra i lavoratori dipendenti privati e il 25,5% fra i lavoratori autonomi) evidenzia le difficoltà delle donne a raggiungere gli alti requisiti contributivi previsti, a causa della discontinuità che caratterizza il loro percorso lavorativo.

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“Affrontare il problema delle discriminazioni di genere – affermao Roberto Ghiselli, presidente del Civ dell’Inps – significa agire su tutte le dimensioni del problema, che riguardano il mercato del lavoro e i modelli organizzativi nel lavoro, la rete dei servizi, la dimensione familiare e quella culturale. Viene pertanto chiamata in causa la responsabilità e l’impegno di tutti gli attori istituzionali, politici e associativi per far sì che i timidi passi avanti che si sono registrati in questi anni, diventino al più presto l’affermazione di una piena condizione di parità, rimuovendo gli ostacolo che ne sono di impedimento”.





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