Dopo lo scandalo Seymandi, Massimo Segre al centro di un’indagine su frodi finanziarie


Un’inchiesta che scuote il mondo della finanza e dell’intermediazione bancaria: la Guardia di Finanza ha notificato 25 avvisi di chiusura indagini nell’ambito di un procedimento avviato dalla Procura di Torino. Sotto la lente degli inquirenti vi sarebbero presunte frodi legate ad attività di trading e di intermediazione bancaria, con ipotesi di reati che spaziano dall’abusivismo bancario al falso in bilancio, dalla corruzione tra privati all’abusiva attività di mediazione creditizia.

Tra gli indagati figurano non solo singoli operatori del settore finanziario, ma anche quattro società che, a vario titolo, sarebbero coinvolte nelle operazioni finite sotto la lente della magistratura. Si tratta della Directa Sim (con sede a Torino), della Argos Corporate Finance (Milano), della Framat (Trento) e della Gt Advisory (Roma).

Particolare attenzione viene riservata alla Directa Sim, realtà di spicco del settore e quotata sul mercato Euronext Growth Milan gestito da Borsa Italiana. La società, che si occupa di trading online, è riconducibile al finanziere torinese Massimo Segre, noto al grande pubblico non solo per le sue attività imprenditoriali, ma anche per il clamoroso episodio di cronaca rosa che lo vide protagonista nell’estate del 2023: durante una festa privata con amici, Segre annunciò pubblicamente la rottura del fidanzamento con Cristina Seymandi, episodio divenuto virale sui social.

Secondo le prime ricostruzioni investigative, il fulcro dell’inchiesta riguarda pratiche opache nel trading e nella mediazione bancaria, con operazioni che potrebbero configurarsi come illeciti finanziari. Tra le accuse mosse agli indagati vi sono l’abusivismo bancario, ossia l’esercizio di attività di raccolta del risparmio e concessione del credito senza le necessarie autorizzazioni, il falso in bilancio, con irregolarità nella contabilizzazione dei dati economici delle società coinvolte, la corruzione tra privati, che fa riferimento a presunti accordi illeciti tra soggetti operanti nel settore finanziario, e l’abusiva attività di mediazione creditizia, ossia intermediazione nel credito senza la regolare iscrizione agli albi previsti dalla normativa vigente.

Gli investigatori ipotizzano che le società coinvolte abbiano agito al di fuori dei parametri stabiliti dalla legge, con schemi operativi che potrebbero aver danneggiato clienti e investitori. Il meccanismo sospetto, ancora in fase di accertamento, avrebbe garantito indebiti vantaggi economici ai soggetti coinvolti, con effetti distorsivi sul mercato finanziario.

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La Guardia di Finanza ha operato attraverso accertamenti documentali e perquisizioni, cercando di far luce su un giro d’affari che potrebbe avere ramificazioni ben oltre il territorio torinese. Gli indagati avranno ora la possibilità di presentare memorie difensive o chiedere di essere interrogati prima della decisione finale della Procura in merito all’eventuale rinvio a giudizio.

Nonostante la delicatezza dell’indagine, le società coinvolte potrebbero difendersi sostenendo la legittimità delle loro operazioni, puntando sulla regolarità delle attività svolte e sulla correttezza dei loro bilanci.

L’inchiesta della magistratura torinese, se confermerà le ipotesi accusatorie, potrebbe segnare un altro capitolo scottante nelle vicende finanziarie italiane, sollevando interrogativi sulla trasparenza delle operazioni nel mondo del trading e dell’intermediazione bancaria. Restano da chiarire gli effetti reali di queste presunte condotte illecite sugli investitori e sul mercato finanziario nel suo complesso.

Secondo gli accertamenti della guardia di finanza, il meccanismo prevedeva la raccolta di liquidità da banche e la redistribuzione ad altri istituti che, momentaneamente, avevano difficoltà ad approvigionarsi attraverso i canali tradizionali.
Fra il 2019 e il 2023, sempre secondo gli investigatori, la Directa avrebbe custodito e amministrato l’equivalente di 300 milioni di euro all’anno, affidati dalla propria clientela istituzionale (bancaria e corporate), per finanziare altri istituti di credito in gravi difficoltà finanziarie, i quali avrebbero riconosciuto alla Sim tassi di interesse superiori (in media il 2%) a quelli che quest’ultima corrispondeva ai propri depositanti.

Il meccanismo è considerato illecito per il mancato rispetto del prescritto vincolo di accessorietà: la Sim avrebbe dovuto utilizzare tali somme esclusivamente per l’esecuzione di ordini di negoziazione di strumenti finanziari, in realtà mai avvenuta.
Altre irregolarità riguardano la mancata iscrizione a bilancio dei rischi di credito (dal 2019 al 2022) e i rapporti con alcune persone che fecero da ‘segnalatori di pregio’ individuando gli istituti potenziali clienti.
Due sono gli spunti che hanno originato l’indagine: le informazioni acquisite dalla polizia giudiziaria nell’ambito di accertamenti finalizzati alla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, un’ispezione condotta nel 2021 nei confronti della Sim da parte della Banca d’Italia. 

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