Intervista all’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia: «La nuova Commissione intervenga per tutelare le imprese e la manifattura»
L’automotive, la siderurgia, la chimica, i dazi. Temi cruciali che impongono all’Europa di non restare a guardare, è il momento di reagire e agire, prima che sia davvero troppo tardi. Lo sostiene Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia, presidente di Ara – Automotive Regions Alliance e presidente di Ecrn – European Chemical Regions Network.
Le regole europee sulla transizione ecologica rischiano di impattare pesantemente sulla manifattura lombarda. Qual è la strategia di Regione Lombardia? «Abbiamo già fatto alcune grandi operazioni di transizione dal punto di vista ambientale. Nel 2023, anno del picco occupazionale, tra i nuovi ingressi il 35% è stato impiegato nei green job, a conferma del fatto che questa transizione è già una realtà. Un altro esempio è la nostra siderurgia che al 90% utilizza forni elettrici alimentati da energia proveniente da fonti rinnovabili. Questo ha comportato ingenti investimenti, supportati anche dagli strumenti messi a disposizione da Regione Lombardia. Oggi, guardando proprio alla siderurgia, ci troviamo di fronte a una situazione complessa: un prodotto siderurgico realizzato in Lombardia, ambientalmente sostenibile, costa il 30% in più rispetto a un prodotto cinese già soggetto a dazi. Il tema è economico, la sostenibilità ambientale deve andare di pari passo con quella economica e sociale. Finora questo equilibrio non è stato garantito ed è proprio su questo che stiamo lavorando, affinché la nuova Commissione Europea intervenga con i cambiamenti necessari per tutelare sia l’economia sia il tessuto sociale. Un esempio emblematico è il settore automotive, non vogliamo che altri comparti subiscano lo stesso destino».
C’è davvero la possibilità di rivedere la road map sull’elettrificazione della mobilità? «Secondo me è doveroso, perché l’industria dell’automotive in Europa sta producendo al 25% delle sue potenzialità, la situazione commerciale è sotto gli occhi di tutti, c’è stato un ingresso pesante di veicoli cinesi nel mercato e c’è un sostanziale rifiuto da parte dei cittadini rispetto al solo elettrico. La discussione oggi non è più “elettrico sì o no”, ma “automotive sì o no”. Dobbiamo salvare il settore e per farlo bisogna cambiare. Abbiamo avanzato diverse proposte, puntando sulla neutralità tecnologica e sulla pluralità di soluzioni per una mobilità sostenibile. Ciò significa garantire diverse tipologie di trazione, compresa la continuità del motore endotermico alimentato con biocarburanti, un’opzione cruciale dal punto di vista ambientale poiché permette di trasformare le raffinerie in bioraffinerie. Attendiamo che, come annunciato, nella prima settimana di marzo vengano introdotti cambiamenti significativi come una maggiore flessibilità e la cancellazione delle sanzioni che gravano sul settore. Speriamo che la Commissione abbia recepito le nostre proposte e agisca di conseguenza».
Sulle multe ai produttori per il mancato raggiungimento dei target nel 2025 e nel 2026 c’è margine di discussione? «Per forza, perché altrimenti verrebbero stravolti i piani economici dei costruttori, con il rischio concreto di chiusura degli stabilimenti in Europa».
Come è andato il recente incontro con il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzitzikostas? «È sicuramente positivo che abbia accettato il nostro invito al confronto, ma devo ammettere che ci aspettavamo molto di più. Vista la difficile congiuntura economica che il settore sta affrontando, ci saremmo aspettati un impegno più concreto sui cambiamenti necessari, quelli di cui parlavo prima. C’è grande attesa per le prossime mosse della Commissione, la speranza è che non si perda tempo, ma si passi rapidamente alle decisioni. Il tempo a disposizione è finito. Se le regole attuali resteranno invariate, in Europa il settore automotive rischia di perdere 440mila posti di lavoro entro il 2040. I dazi Usa minacciano di colpire duramente alcuni settori produttivi, cosa può fare l’Europa per rispondere a questo tipo di strategia e tutelare la propria manifattura? Non può e non deve restare ferma, deve reagire. Una guerra commerciale non porterebbe vantaggi a nessuno, nemmeno agli Stati Uniti. Ciò che auspico è un accordo diplomatico tra Europa e Stati Uniti, un vero e proprio patto atlantico anche sul piano economico, in modo che il mercato atlantico diventi un punto di riferimento per le nostre aziende. Se gli Stati Uniti concretizzeranno l’annuncio dei dazi, l’impatto sulla nostra economia sarà inevitabile e servono risposte immediate. Va detto, inoltre, che i primi a imporre dazi in Europa sono stati gli europei stessi, aver lasciato il mercato automotive in mano ai cinesi si è rivelato, oggi in modo evidente, un suicidio dal punto di vista economico. Lei ha invocato un cambio di rotta, esiste il pericolo di una deindustrializzazione del continente? È evidente nel settore dell’automotive, ma anche nella siderurgia dove i costi di produzione sono insostenibili, e nella chimica, dove alcune attività non possono più essere svolte. Non ammettere gli errori commessi dalla precedente Commissione e non correggerli in maniera rapida e radicale, potrebbe portare alla deindustrializzazione dell’Europa. Attendiamo di vedere come si svilupperà il programma dei primi cento giorni della nuova Commissione, la “bussola della competitività”, l’Industrial Deal Act e tutte le iniziative annunciate per rispondere all’emergenza economica che sta colpendo la manifattura e l’intera economia europea. Tuttavia, al momento, si tratta solo di dichiarazioni di intenti. Se nei prossimi mesi non verranno attuati cambiamenti concreti, il rischio di deindustrializzazione si trasformerà purtroppo in qualcosa di molto più concreto».
In merito alla chimica, giovedì ad Anversa si è svolta l’assemblea annuale dell’Ecnr da lei presieduto, quali punti sono emersi? «Il giorno precedente, la presidente von der Leyen ha incontrato, oltre alla nostra associazione, anche le principali aziende della chimica europea. In queste due giornate di confronto le aspettative riposte nella nuova Commissione sono state, con grande amarezza, disattese. La presidente non ha messo sul tavolo alcuna proposta concreta, alimentando una crescente preoccupazione. Ci troviamo in una fase di stagnazione, non solo economica, ma anche decisionale a livello europeo. Il problema è che non c’è più tempo da perdere. Se questa Commissione seguirà integralmente le scelte della precedente, il futuro della chimica e, più in generale dell’industria in Europa, sarà gravemente compromesso. La nostra battaglia è quella di scongiurare questo scenario».
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