I giudici argentini dicono sì all’estradizione di Bertulazzi


Il tribunale penale federale di Buenos Aires ha accolto la richiesta di estradizione in Italia per l’ex brigatista 73enne Leonardo Bertulazzi. La decisione è arrivata nella notte italiana tra giovedì e venerdì e precede di poco la visita in Argentina del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che nella giornata di lunedì incontrerà il suo omologo Mariano Cuneo Libarona. Un primo contatto tra i due era già avvenuto il 18 febbraio a Roma, quando venne sottoscritta una dichiarazione congiunta per aggiornare la Convenzione italoargentina per l’assistenza giudiziaria in materia penale e di estradizione. Si tratta di un trattato in vigore dal 1987 e che ora va rivisto anche alla luce della nuova legge approvata ad ottobre dal presidente Javier Milei, che prevede il diniego dello status di rifugiato in Argentina per chi ha commesso atti di terrorismo.

BERTULAZZI, nome di battaglia «Stefano», esponente della colonna genovese delle Br, è latitante dal 1980 e deve scontare in Italia una condanna a 27 anni per sequestro di persona, associazione sovversiva e banda armata. Lo scorso 28 agosto era stato arrestato a Buenos Aires dopo che le autorità argentine gli avevano revocato lo status di rifugiato concesso nel 2004. Meno di tre settimane dopo gli sono stati concessi i domiciliari, ma lo scontro legale è andato avanti. Ora, dopo l’ok dei giudici alla richiesta italiana, Bertulazzi ha ancora un’ultima carta da giocare: il ricorso alla Corte suprema federale (l’equivalente della nostra Cassazione), che tornerà a valutare il caso dopo averlo già fatto lo scorso novembre, quando aveva dato torto alla Corte penale federale e annullato i precedenti dinieghi alla sua scarcerazione. Questa volta la partita si giocherà probabilmente su un altro dettaglio: Bertulazzi in Italia è stato condannato in contumacia, cosa che la legge argentina non consente. Parallelamente a questo iter corre anche il ricorso del 75enne contro l’annullamento del suo status di rifugiato, presentato prima della nuova legge voluta da Milei, che dunque non avrebbe effetto sulla vicenda. Per gli avvocati dell’ex Br, in ogni caso, il punto della questione è quello già individuato dalla Corte suprema federale: l’arresto di agosto fu un atto arbitrario basato su una revoca illegittima.

E POI bisognerebbe pure tener conto del fatto che Bertulazzi risiede in Argentina da 20 anni, non ha mai commesso reati nel paese e ha sempre lavorato. Ma se a livello giudiziario l’intreccio è particolarmente complicato, la partita politica appare lineare e ha molto più a che fare con la propaganda che con la giustizia. I quotidiani argentini, infatti, parlano con frequenza sempre maggiore delle intenzioni di Milei di regolare i conti con gli ultimi reduci della stagione dei Montoneros, il gruppo armato peronista che negli anni ’70 si rese responsabile di una serie di azioni contro le giunte militari del paese. Mentre il governo italiano sembra tenere molto ai destini di quest’uomo di 75 anni la cui storia è del tutto secondaria in quella delle Brigate rosse e che, da militante irregolare, non ha sul suo capo condanne per fatti di sangue: la latitanza di Bertulazzi, infatti, è cominciata nel settembre del 1980 dopo una sparatoria con la polizia a Genova, davanti alla casa dell’allora sindaco Fulvio Cerofolini. E solo in seguito sarebbero arrivate le sentenze: 15 anni per il sequestro di Pietro Costa del 1977 e 19 anni per reati associativi. Alla fine la Cassazione ha stabilito che, in virtù della continuazione, la pena totale ammonta a 27 anni. Un’enormità che a distanza di tanti decenni dai fatti non meriterebbe tanta insistenza. L’obiettivo, però, è lo show a favore di telecamere dell’ex Br che torna ammanettato, magari accolto da ministri in divisa come fu per Cesare Battisti nel 2019.

ANCORA PROPOSITO di spettacoli, poi, va segnalato che il nome di Bertulazzi era rispuntato fuori pochi anni fa nel mare delle dietrologie e dei complottismi sul caso Moro. Nonostante all’epoca dei fatti lui fosse in prigione (era stato arrestato nel 1976 e scarcerato nel 1979), il collegamento venne trovato nel fatto che i soldi ottenuti dalle Brigate rosse per la liberazione di Costa – discendente della famosa famiglia di armatori – sarebbero stati usati, tra le altre cose, anche per acquistare l’appartamento di via Montalcini a Roma dove venne tenuto prigioniero il presidente della Democrazia cristiana nel 1978. Un collegamento esile, insignificante sia dal punto di vista della giustizia sia da quello della storia e che però è stato molto enfatizzato sia dalle autorità argentine sia dalla polizia italiana al momento dell’arresto dello scorso agosto.

UN TRATTAMENTO in tutto e per tutto opposto rispetto al penultimo caso di scambio giudiziario tra Roma e Buenos Aires. Era il gennaio del 2024 infatti quando Nordio, malgrado le sentenze, decise di non concedere l’estradizione in Sud America del sacerdote Franco Reverberi, accusato di aver preso parte alle torture della guerra sucia contro i nemici politici della dittatura militare argentina: anni di violenze indiscriminate ai danni della popolazione civile che hanno causato almeno duemila morti e trentamila desaparecidos.



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